SALISBURGO - 2011
Qualche considerazioneNon ero attratto da questa nuova produzione, tanto che non ho nemmeno organizzato una trasferta Wanderer (andremo a vedere solo il Macbeth, quest'anno).
Le ragioni erano varie. Intanto il cast - a parte la Herlitzius, che comunque avevo già sentito ad Amsterdam - era tutto sbagliato.
E poi non mi fidavo né di Thielemann, né di Loy.
Alla luce della diretta satellitare dello spettacolo, le mie perplessità mi si sono rivelate fondate...
NON MI FIDAVO DI THIELEMANN
Ma come? Uno Straussiano doc come lui!
Appunto! Io propongo di sottoscrivere una petizione: togliere ai direttori "straussiani", ai maestri della retorica e dello sfarzo, ai cultori dell'effettone grandioso il controllo su quest'opera meravigliosa.
Thielemann è il capofila (non solo a Salisburgo ma anche a Bayreuth) di quel ritorno nostalgico ai veri "direttori di una volta" che certo pubblico rimpiange:
quei direttori forti e corrucciati che, con virile potenza e muso severo, prendono l'ascoltatore, lo sculacciano con fortissimi assordanti, ottoni megafallici, esplosioni telluriche e poi lo coccolano voluttuosamente con pianissimi di velluto, portamenti lacrimosi, violini ansimanti;
quei direttori che su ogni modulazione (ogni!) rallentano e gongolano come in un orgasmo;
quei direttori che dilatano i tempi all'inverosimile (perché tutto deve essere enorme, gigantesco, fecondante);
quei direttori che non sanno mai ridere, mai scherzare, mai ironizzare (persino in un'opera coma la Frau, così carica di gioco e di grottesco), perché il sorriso sminuirebbe la loro potenza metasessuale.
Capisco che possa piacere: Thilelemann è il direttore giusto per chi vede nella Frau non uno dei più raffinati miracoli culturali del primo Novecento, ma una sorta di rituale erotico, una sacrificale disposizione a essere preda della bacchetta "grande così".
E questo spiega gli applausi fragorosi che - da questo punto di vista - Thielemann si è effettivamente meritato: metà del pubblico salisburghese ha goduto tanto da averne abbastanza per qualche anno.
Intendiamoci: non c'è niente di male a procurare al pubblico più nostalgico e sessualmente confuso una lunga serie di orgasmi multipli (e almeno Thielemann sa come procurarli: Mehta invece ci prova, ci prova...), purché non si cada nella trappola di trasfromare la Frau nella colonna sonora di un vecchio colossal hollywoodiano.
Il rischio di questa partitura sta principalmente in quella patina di magniloquenza e di edonismo che ne ricopre la parte orchestrale.
Non è una critica: l'edonismo straussiano è, per certi versi, indispensabile a creare quell'atmosfera magica (anche se non sempre in sintonia con la naturalezza e umanità dei versi) che aiuta a trasformare i concetti in astrazioni, la vicenda in parabola, l'emozione in sintesi morale.
Ci vuole! Ci sta.
Ma è necessario che il direttore sia consapevole che di "patina" si tratta: e invece purtroppo molti "straussiani" doc ci si buttano come se fosse l'essenza stessa dell'opera, con voluttà autocelebrativa, compiacimento e megalomania logorroica.
Invece di sfruttare quella patina, la esasperano al punto da soffocare ciò che dovrebbe filtrare in controluce e che veramente conta.
L'orchestra dovrebbe come essere un vetro trasparente, filtro opacizzante della verità retrostante, e invece - con i direttori alla Thielemann - diventa un muro invalicabile, anzi... uno specchio che riflette il loro narcisismo.
Sono anni che dico che la Frau dovrebbe essere tolta ai direttori "esperti di Strauss" e affidata a interpreti abituati ad andare oltre il suono, a temperare il machismo sinfonico invece di esaltarlo; interpreti abituati alle stratificazioni sonore ed emotive di Strawinsky e Bartok.
Boulez sarebbe stato l'interprete ideale della Frau (e in un'intervista, anni fa, ammise anche che il libretto gli sembrava il più bello mai scritto).
Oggi lo sarebbe un Salonen e, con molta probabilità, anche un Rattle (purché NON con i Berliner).
Ma nulla di tutto questo a Salisburgo: finché ci saranno direttori come Thielemann, metà del pubblico uscirà instupidito dagli orgasmi mutlipli e non avrà capito nulla della Frau, l'altra metà uscirà nauseata dall'elefantiasi orchestrale, ne darà la colpa a Strauss e, ancora una volta, non avrà capito nulla della Frau.
NON MI FIDAVO DI LOY.
Ormai possediamo elementi sufficienti per sapere qual'è il problema di Loy.
Sarebbe (purtroppo per lui) un tipico regista tedesco, il che significa cresciuto - come quasi tutti i registi tedeschi - a suon di totem ideologici e logore iterazioni simboliche un po' freudiane, un po' marxiste, un po' brechtiane, un po' cabarettiste.
Se potesse fare questo e basta sarebbe felice: farebbe le sue belle mostruosità come Neuenfels e Stein e tutto andrebbe bene.
Invece il poveretto rappresenta la "maglia rotta" di Montaliana memoria.
A differenza dei soliti tedeschi, costui - forse per la giovane età - si è guardato intorno.
E quel che ha visto (purtroppo per lui) gli è piaciuto.
Ha visto l'emotivà figurativa, la tenerezza dissacratoria, la mobilità moderna di Carsen; ha visto il genio dissimulatore e la ricerca nelle fibre più segrete dell'umanità di Jones; ma soprattutto ha visto il genio ricontestualizzatore e destrutturante di Cerniakov e soprattutto di Guth.
Guht è il suo spettro! Per molti il suo più acerrimo nemico.
Tedesco come lui, pressapoco della stessa età, Guth è stato il primo regista tedesco a liberarsi completamente (o quasi) dell'eredità tedesca e a sviluppare uno stile moderno e vitalissimo, tanto da essere divenuto uno dei massimi esponenti della regia musicale attuale.
Il suo segreto, l'abbiamo visto, consiste nella capacità inaudita di destrutturare un testo, stravolgerne il plot, le dinamiche psicologiche, le prospettive etiche.
Le sue non sono solo "ricontestualizzazioni" lavorate fin nel più infimo dettaglio, sconcertanti di coerenza e verità (altro aspetto in cui Guth è un maestro); è proprio tutta la vicenda a trasformarsi sotto le sue mani in qualcosa di incredibilmente vivo e autonomo.
Prima che all'orizzonte si profilasse Cerniakov (l'altro destrutturore di genio del nostro tempo), nessuno era arrivato ai livelli di Guth in questo senso.
Ed è così che il povero Loy (che non è nè un ricontestualizzatore, nè un destrutturatore) invece di continuare con i suoi confortevoli vecchiumi alla tedesca, si è messo in testa di emulare il rivale, con risultati semplicemente catastrofici.
Facciamo un passo indietro.
Qual'è l'abilità di un "ricontestualizzatore-destrutturatore"?
Verrebbe da dire l'intuito di immaginare storie e contesti alternativi.
No! Non è questo.
Se fosse tutto qui saremmo veramente capaci tutti.
Volete un esempio? Guardate come sono bravo io!
Allora, la Kaiserin in realtà è un'idealista francese dai sogni rivoluzionari e segretamente innamorata di Fidel Castro (il Kaiser). La moglie di Barak è una profuga cubana, fuggita dalla dittatura, trasferitasi in francia e corteggiata dai servizi segreti americani (la Nutrice è Condoleeza Rice sotto mentite spoglie).
Bello no?
Volete un altro esempio?
Ok, Barak è un osso e sua moglie è un cane che l'ha seppellito ma non si ricorda dove.
Il Kaiser è un allevatore di cani e la Nutrice una veterinaria.
E l'imperatrice? Una strana creatura metà cagna, metà donna.
Come vedete il gioco è di una facilità disarmante. Ci potremmo provare tutti.
Non di meno, nessuno di noi è Guth!
Semplicemente perché la bravura nel ricontestualizzare e destrutturare non sta nel partorire idee più o meno buffe, più o meno simpatiche.
La bravura la si vede piuttosto:
1) nella capacità di raccontare la nuova storia col solo mezzo dell'immagine (e anzi dell'immagine che scaturisce dalla musica) E FARLA CAPIRE PERFETTAMENTE AL PUBBLICO!
2) nella capacità di far aderire la nuova storia a ogni singola articolazione della vecchia, in modo che tutti i punti "topici", i climax, le rivelazioni, gli scioglimenti, le catarsi e ogni altro snodo del plot orginale (regolarmente sottolineati dalla musica) fungano da tessitura alla nuova vicenda. Altrimenti tanto vale fare una regia su un'altra opera!
E' per la capacità di gestire maniacalmente questi due aspetti che Cerniakov e Guth sono due maestri.
Non per le storie che sanno inventare, ma per come le sanno raccontare col solo supporto delle immagini, per come sanno farle capire perfettamente a un pubblico che si aspetta tutt'altro e per come sanno farle aderire come un guanto a tutte le articolazioni della storia vecchia.
E' precisamente su questi fronti che, invece, Loy è un piccolo disastro!
Vediamoli uno alla volta.
1) raccontare la "nuova" storia
solo con le immagini.
Il regista destrutturatore ha tutto contro: le parole del libretto non lo aiutano (come è noto erano state pensate per un'altra vicenda, un'altra psicologia). Non è aiutato nemmeno dalle conoscenze pregresse del pubblico che, nella mente, ha impressa la storia "vera" di un'opera e tenderà a leggere ciò che vede in funzione di quella storia.
Quindi il regista d'opera ricontestualizzatore non ha che le immagini per portare il pubblico per mano a farsi raccontare una storia "nuova", a capirla, a riconoscercisi.
L'arte sta qui: come far "capire" la nuova storia, la nuova ambientazioni, i nuovi personaggi, non avendo altro supporto che le immagini, e dovendo combattere con le remore di un pubblico che si aspetta tutt'altro?
Eh... qui ti voglio.
Per prima cosa bisogna che scenografia e costumi siano perfettamente "chiari" tanto che il pubblico si senta immediatamente a suo agio col "nuovo" tempo e col "nuovo" spazio scelti dal regista.
Loy ci prova e, almeno all'inizio dell'opera, ci si mette con impegno e tutto sommato con buoni risultati!
In questo caso è bastato un secondo perché Maugham (espertissimo storico della discografia) riconoscesse la sala del Musikverein che funse da studio di registrazione della prima Donna Senz'Ombra discografica (Decca 1955, Bohem).
Anche i costumi (vistosissimamente anni '50) confermavano la nuova contestualizzazione.
Per lo studio si aggiravano persino personaggi "storici" della DECCA di quegli anni, tecnici, ingegneri, producer ben noti a chi conosce quella fase storica.
Ma già qui c'è il primo baco di Loy.
Quanti sono in grado di riconoscere quel contesto?
Quanti del pubblico possono sapere che negli anni '50 fu registrata la Donna senz'Ombra al Musikverein, in appena quattro giorni (quindi con take che duravano per un intero atto e senza la possibilità di ripetere)? Quanti sanno che quella registrazione fu effettuata di inverno e senza riscaldamento (e questo spiega perché tutti i cantanti indossino i soprabiti)?
Io credo solo Maugham!
Il vero "ricontestualizzatore" deve scegliere contesti che chiunque nel pubblico possa comprendere, non solo chi conosce la storia delle incisioni post-belliche!
Perché secondo voi ogni contesto scelto da Guth o da Cerniakov - non parliamo di Carsen - si capisce immeditamente?
Perché optano per contesti facilmente identificabili, simboli comprensibili, attinti al nostro patrimonio comune di esperienze.
Loy invece fa il fighetto
: lui vuole la contestualizzazione "colta", che dimostri le sue vaste conoscenze, ma che solo un'infima minoranza del pubblico potrà effettivamente decifrare.
Ora andiamo sul difficile: avendo cambiato il contesto, il destrutturatore è costretto a cambiare i personaggi, i quali infatti devono avere senso nel "nuovo" contesto.
E, ovviamente, è dura pensare che tintori e imperatori passeggino in uno studio di registrazione degli anni '50.
Bene!
Che quindi tutti i personaggi dell'opera divengano "cantanti professionisti" (impegnati nell'incisione della Frau) è chiaro.
Che il problema della "maternità" possa riguardare due giovani primedonne che stanno facendo carriera è altrettanto chiaro.
Che ci siano rapporti "amorosi" fra i vari cantanti (che guarda caso corrispondono agli stessi rapporti amorosi fra i personaggi) è magari un po' patetico, ma è comunque chiaro.
Se però cerchiamo di andare un po' a fondo, tutto diventa più confuso.
Ad esempio, quali motivazioni spingono la nutrice ad essere così crudele con la collega (moglie di Barak)? Quali legami la stringono alla Kaiserin?
In cosa consiste il rapporto amoroso tra il "nuovo" kaiser e la "nuova" Kaiserin" (sono sposati? sono solo amanti? Sono semplicemente attratti l'uno dall'altra)?
Perché la moglie di Barak è così ostile all'idea di avere dei figli?
Cosa la attrae veramente del mondo "operettistico" che la nutrice le propone in cambio (strano, peralto, che signorine in paillettes e penne di struzzo si palesino nel bel mezzo di una registrazione straussiana al Musikverein!)?
Su tutti questi punti Loy avrebbe delle idee (lo sappiamo perché lui stesso ce le spiega in testa alla trasmissione) ma la domanda é: è in grado di fornirci gli strumenti per capirle semplicemente dalle immagini?
Davvero pensa che il pubblico - senza la spiegazioncina - avrebbe potuto ricavarle solo dalle immagini?
La risposta è no e ne è la prova proprio il bisogno di Loy di spiegare... spiegare... spiegare... in TV, atto per atto, quello che vuole fare, addirittura facendo raccontare dall'annunciatrice televisiva non la trama "vera" della Frau, ma la trama per come l'ha pensata lui.
Non trovate che tutto questo sia assolutamente ridicolo?
Comodo fare la lezioncina prima dell'opera: è la prova del proprio fallimento.
Quello che ci interessa non è il "cosa" vuoi fare, ma il "come" lo fai, caro il mio Loy.
E, se hai bisogno di fare la lezioncina prima, vuol dire che il tuo "come" fa acqua!
Ma veniamo al punto 2: la seconda grande difficoltà del regista "destrutturante".
2) la
sovrapponibilità contrappuntistica (punctus contra punctum) della "nuova storia" su ogni singolo verso del libretto, ogni articolazione narrativa e drammaturgica, ogni snodo retorico ed emotivo, ogni sollecitazione musicale.
In pratica la nuova storia (non importa se bella o brutta) deve aderire come un guanto alla base statica (libretto e spartito), ai suoi tempi, alle sue dinamiche.
Su questo si giudica l'efficacia di una regia con velleità destrutturanti: ogni "novità" deve aver senso sul vecchio tessuto narrativo.
Voglio fare un esempio tratto da una produzione che penso tutti abbiamo visto: la Dama di Picche di Dodin, nata a Parigi e arrivata anche a Firenze.
Io non sono affatto un ammiratore di Dodin, ma devo ammettere che - da questo punto di vista - è un gigante rispetto a Loy.
Tutta la vicenda della "Pikovaya" fu da lui risolta come la farneticazione di un pazzo in manicomio.
Non un flash-back (come scrissero i soliti teneri critici italiani): non si trattava del passato che rivive in Hermann dopo che è stato internato.
Tutt'altro.
Era proprio un matto che si inventa nella sua testa una storia mai esistita e la costruisce pezzo per pezzo traendo spunto dalla realtà - opportunamente alterata - che gli sta intorno: avete presente
Shutter Island? Ecco!.
Per aiutarci a distinguere la realtà (il manicomio vero) e la fantasia (questa strana storia di ambientazione settecentesca di cui Hermann è protagonista) il regista faceva vestire i personaggi "reali" (ad esempio le infermiere, i medici, i malati) in modo moderno e inconfondibile, mentre i frutti delle farneticazioni di Hermann erano in sfarzosa foggia settecentesca.
Così, ad esempio, la Contessa.
Fin dalla prima scena la Dernesch appariva in scena col parruccone bianco, le crinoline, gli abiti maestosi di una nobildonna barocca.
Il pubblico la colloca immediatamente come frutto della fantasia di Hermann, semmai potrebbe chiedersi se questa fantasia ha o non ha un legame con la realtà...
Ok, come tutti sanno, uno dei punti topici della Dama di Picche è l'apparizione dello spettro della contessa al terzo atto, dopo che Hermann ne ha causato la morte.
Bene. Il vero destrutturatore non può prescindere dai punti topici, e li deve sfruttare: essi devono "restare" punti topici, anche nella nuova storia.
Se non lo facesse sarebbe un pessimo destrutturatore: infatti il pubblico noterebbe lo stridore fra il rilievo che (musicalmente e teatralmente) è dato a un certo momento e il fatto che, nella regia, non succede nulla.
Inoltre la contessa appare, nel libretto, sotto altre vesti: non più in carne e ossa, come prima, ma come spettro (o incubo di Hermann).
Nella sua "nuova storia" il regista destrutturatore dovrà comunque sfruttare il fatto che il pubblico si aspetta a quel punto una contessa "diversa" rispetto a prima ed è tutto fremente in attesa della metamorfosi.
Bene! Sapete come ha risolto Dodin l'apparizione dello spettro della Contessa?
Immaginate: schianti di fulmini, clangori di tempesta... il povero Hermann che si agita tutto solo nel suo manicomio con la camicia di forza.
Improvvisamente si accendono le luci nel corridoio, la porta a vetri si spalanca e, nel pieno dell'esplosione orchestrale, entra la Dernesch, ma questa volta senza abiti settecenteschi, senza parrucche e gioielli: no, semplicemente vestita da caposala.
Avete presente Louise Fletcher in "Qualcuno volò sul nido del cuculo"? Ecco.
Il punto "topico" è stato rispettato da Dodin in maniera geniale. Il pubblico ha subito la scossa elettrica della "rivelazione" servito sul piatto d'argento di un libretto e una musica pensati proprio in funzione del colpo di scena!
In quel momento è chiarissimo che la contessa per Dodin, lo spettro che ossessiona Hermann, questa chimera di morte e di riscatto che la sua testa malata ha partorito, ha la sua bella radice nella realtà: altri non è che una rivisitazione delirante di colei che detiene il "potere" all'interno del microcosmo ospedaliero.
Ecco cosa deve fare un vero destruttoratore.
E Loy cosa fa?
Dato che la sua "nuova storia", fin dal secondo atto, fa acqua da tutte le parti, Loy non è più in grado di farla aderire alla vecchia, tanto che persino i momenti "topici" (quelli in cui ogni regista dovrebbe battere la grancassa) finiscono puntualmente sperperati.
Prendiamo - ad esempio - il meraviglioso monologo dell'Imperatrice al terzo atto "Vater, bist du's".
Quello sarebbe il momento dell'opera in cui tutti i nodi si sciolgono.
Ovvio che Strauss e Hofmannsthal gli abbiano riservato un rilievo grandioso CHE DEVE RIMANERE TALE QUALUNQUE STORIA SI DECIDA DI RACCONTARE!!!
Loy però è già da molto tempo nel pallone! Nemmeno lui sa più, a questo punto, quale "nuovo scioglimento" far corrispondere allo scioglimento originale.
Chi sarebbe il misterioso "Keikobad" che questa giovane cantante (in uno studio di registrazione) chiama Padre? Perché si rivolge a lui?
Che rapporto ha con la storia? Come può rappresentare la ragione della disperazione della Kaiserin e come lei può sperare di ricevere grazia e aiuto da lui?
Se almeno fosse apparso Culshlaw, nume della Decca in quegli anni, o comunque un agente, un impresario, qualcuno....
Anche solo il medico che le porta il referto: è incinta!
E invece niente.
Il povero Loy è ridotto a circondare la Kaiserin in un occhio di bue (bello, suggestivo, ma che senso ha? Perché in uno studio di registrazione una cantante sola dovrebbe essere circondata da un occhio di bue?) e la fa cantare tutto il tempo da sola, magari rotolandosi un po' in terra (ci sta sempre bene) e farneticando di un Keikobad che nessuno capisce chi sia e cosa rappresenti.
Sempre nella stessa scena si trova uno dei climax più spettacolari della storia dell'Opera: l'orchestra da un mormorio di terrore approda a un gigantesco, tellurico fortissimo, mentre - da libretto - dovrebbe apparire l'atroce immagine dell'imperatore quasi completamente trasformato in pietra (tranne gli occhi che continauno a roteare all'impazzata, ricolmi di terrore e pieni di lacrime).
E' un momento che bisogna essere scemi per non sfruttare!
Con una simile musica sotto, qualsiasi immagine, qualsiasi concetto diventa grandioso!
Trattami bene questo punto e la tua regia è una vittoria!
E Loy?
Che domande? Ovviamente non succede niente: l'orchestra esplode, il ritmo narrativo si rallenta, l'orrore dilaga... e in scena tutto resta uguale.
Sempre lei da sola che, non si sa perchè, ora si è messa a urlare come una matta.
E che dire del momento in cui, da libretto, dovrebbe scaturire l'acqua della vita e formarsi per la prima volta l'ombra dell'imperatrice?
Anche quello è un momento "topico", anzi di più: catartico.
E' lì che tre ore di vicenda sciolgono i loro nodi e si approda alla chiusura finale.
Cosa fa Loy? Ma cosa può fare poveretto?
Ci piazza una bella luce radente e finalmente fa entrare in scena - pacioso e felice - l'imperatore (che doveva entrare per forza, visto che a quel punto deve cantare).
Ma perché la luce radente? Che senso ha con il resto della storia che Loy ha cercato di raccontare?
Che rapporto c'è con il dramma della "nuova" Kaiserin? In cosa consiste la catarsi?
E perché ora l'imperatore (ammesso che ci fossero tensioni prima) ci appare felice e innamorato?
Cosa è successo? Cosa ha cambiato lui o l'imperatrice o entrambi?
Inutile porsi simili domande...
Questo è semplicemente un naufragio drammaturgico.
E poi naturalmente c'è il finale! Il quartettone e il coro dei bambini che ancora devono nascere.
Lì Loy, completamente alla deriva, fa quasi tenerezza.
Sapete cosa ci piazza?
Un bel finalone carseniano di meta-teatro: il sipario si chiude, poi si riapre sul palcoscenico addobbato a concerto di Natale (ma non eravamo alla registrazione DECCA del 1955?) e i personaggi cantano il loro buonismo davanti a due file di un finto-pubblico in estasi, mentre la Nutrice - cacciata dal palcoscenico e ridotta a una specie di responsabile di sala - osserva sprezzante.
Uh.... che bell'effetto alla Carsen! (purtroppo ormai visto e stravisto).
Ma cosa c'entra con quello che Loy ha cercato di raccontare? Cosa c'entra con la sua nuova storia? Cosa c'entra con la tragedia dell'Imperatrice e della Faerberin? Cosa c'entra col loro rifiuto/bisogno di maternità? cosa c'entra con i loro contrastanti rapporti coi mariti?
Dove sta lo svolgimento? Dove sta l'approdo della narrazione? Dove sta il senso?
Come al solito con Loy (lo stesso era accaduto con l'Alceste) parte con un'idea solidissima poi, circa a un terzo dell'opera, non è più capace di far aderire la sua idea nè al testo, nè alla muisca: i significati si confondono, tutto comincia a muoversi a caso... e a quel punto, quando proprio la nave va alla deriva, allora si ricorda di essere un regista tedesco e ci piazza qualche simbolo, qualche denuncia, qualche luce radente e qualche sarcasmo moralistico.
E magari un bel "punto interrogativo" (alla Carsen appunto) sul finale.
Peccato che prima del punto interrogativo ci vorrebbe una domanda precisa...
Scusate la consueta logorrea.
E salutoni.
Mat