E' vero: c'ero anche io al super-concerto Ferrarese.
E devo dire che mi ritrovo molto nei commenti di Tucidide.
Tucidide ha scritto:nell'aria di Fidelio, sottoscrivo le perpessità, anche se ho apprezzato il recitativo per l'incisività degli accenti; nel cantabile e nella "cabaletta", ho avvertito problemi di legato e acuti che mancavano di fulgore e potenza.
In realtà, la Stemme - che è una delle massime artiste del nostro tempo, e che si è già collocata fra le maggiori interpreti d'opera della storia - ha cantato l'Abscheulicher fin troppo bene, considerato che la sua natura vocale e tecnica (come quella di tutte le wagneriane che l'hanno preceduta in questo ruolo) non è adatta al vocalismo rivoluzionario di Beethoven.
Sulle caratteristiche della vocalità di Leonore abbiamo parlato a lungo in altri thread; è inutile parlarne ancora qui.
A me pareva di sentire una Flagstad: ossia una cantante a disagio, che cerca di usare i propri pregi in una pagina che non glielo consente.
Conoscendo il valore della Stemme come raffinatissima declamatrice mi sono persino sorpreso del vigore con cui si disimpegnava nei passi agili e nell'abilità con cui riusciva a destreggiarsi in alto. Ma questo non è il suo repertorio.
Nei Vier Letzte Lieder, dove invece si entrava in una dimensione ben diversa, è purtroppo mancata - per me - l'intesa col maestro.
Abbado è un beethoveniano di livello stellare e lo conferma con la più incredibile quinta che si possa sentire.
Ma con Strauss ha un rapporto strano (e il fatto che se ne tenga distante anche come operista merita una riflessione).
Si destreggia male in tutto quell'edonismo, in quei cascami sonori; non ne condivide le ragioni... e forse (perdonate l'ironia) vi sente un retrogusto troppo "borghese".
E così resta in superficie; la superficie dei suoni "carini" e virtuosistici, della retorica da grandi magazzini della Musica.
Tutto il contrario della Stemme.
La quale Stemme non è assolutamente una straussiana da "effettoni"; non vuole, nè può cantare queste pagine come Abbado le dirige.
Come scrive Tuc, lei rifugge la retorica, il facile, il "bel suono fine a sè stesso" ed è invece penetrante come un fioretto: arriva al nocciolo dell'inquietudine, vi scava dentro con compostezza severa e spietata vocazione analitica, ne traduce i brividi con colori rarefatti, sobri e pregnanti.
Il tutto con grave scorno di chi ascolta questa musica alla ricerca di frasoni, legatoni, pianissimoni, acutoni e vagheggia i bei tempi in cui la bravura si misurava in decibels.
La Stemme è una poetessa femminile e severa; punta, come una Borkh, all'essenza più spoglia, severa, dilavata dell'emozione.
Persino i silenzi con lei assumono i connotati di una ricerca.
Ha quindi perfettamente ragione Tucidide quando afferma.
in "September" (le ultime note, leggermente tremolanti, sembravano fiammelle sul punto di spegnersi: momento magico), molto varia ed espressiva in "Im Abendrot" (tutto magnifico, dall'inizio alla fine)
Ma ha pure ragione, in certo senso, quando dice:
brava ma senza entusiasmarmi in "Fruehling", mentre mi ha un po' deluso in "Beim Schlafengehen", dove ha evidenziato qualche problema nel legato e i salti verso l'acuto mancavano un po' di rigoglio sonoro (ha però concluso bene il Lied).
Secondo me, mi correggerà l'interessato, la delusione di Tuc deriva dal fatto che Abbado non ha minimamente colto il valore e le caratteristiche di questa singolarissima artista, la cui verità sonora ndava cercata nel peso emozionale di ogni attacco, nella rarefazione dell'acquarello, persino nelle sfumature della pronuncia, nel respiro dell'eloquio.
Ha diretto come se la Stemme fosse un straussiana da effettistica sonora (come alcune strepitose vocaliste con cui ha già eseguito il ciclo).
Altri sono forse rimasti delusi dallo scoprire che la Stemme non è una Nilsson o una Flagstad, ossia una di quelle che spara note grosse così.
Da noi, si sa, se una viene incoronata "grande Isolde" tutti pensano che lo sia divenuta in virtù di una voce e proiezione spettacolare.
Che il medium della Stemme sia di un velluto fastoso è vero: ma non è questa la ragione per cui il mondo si è inginocchiato di fronte a lei.
E' per il suo acutissimo intuito di interprete, per la sua capacità di avvolgere il pubblico in atmosfere vivide e intense, per il suo calore maestoso, per la sua lucidità senza compromessi, che scava all'interno e cerca la verità ben oltre piacevolezze e facilità di effetti.
Aspetto che riproponga il ciclo, con un direttore più in sintonia.
Salutoni,
Mat