Eccomi tornato dal celebratissimo e discusso Macbeth Muti/Stein a Salisburgo.
Certo uno degli spettacoli più istericamente attesi dell'anno: non era ancora stato annunciato che i biglietti erano già spariti.
Tutta l'attenzione (a parte Stein) era concentrata su Muti e i Wiener, ed effettivamente da loro sono giunte le maggiori soddisfazioni.
Le uniche di questo allestimento.
Muti conosce ogni battuta di quest'opera. Ciò che ne ricava ha dell'incredibile.
Mai ho sentito dirigere il Macbeth in questo modo (nemmeno dallo stesso Muti) e mai più credo lo sentirò a questi livelli.
Gli equilibri sonori sono talmente millimetrici che ogni strumentino, il più insignificante accompagnamento (di quelli che ...anche se possiedi venti edizioni dell'opera non avevi mai notato) diventano protagonistici e rivelatori.
Si potrà odiare l'enfasi chiassosa e "colossal" con cui vengono risolte certe pagine (il finale primo, il coro degli esuli) e tuttavia ci vuole un titano della direzione per gestire una architettura tanto piramidale come un miracolo di equilibrismo, per non far scadere in rumore i climax più assordanti e per far sì che il più minuscolo suono partecipi a una struttura generale compatta come il cemento armato, specie laddove i ritmi si fanno improvvisamente vorticosi, turbinanti... senza che una semicroma dei violini vada persa.
L'ottimo rapporto fra il direttore e l'orchestra austriaca non si limita a questa sfida di virtuosismo, ma si concretizza in una comunanza di prospettive estetiche e di gusto che - per quanto snaturanti possano essere in rapporto al Macbeth di Verdi, non certo scritto per questi tardo-romantici e clangori mitteleuropei - suscita sbalordimento e ammirazione.
Davvero impossibile resistere a una direzione come questa. Non ci sono parole per elogiarla.
E tuttavia, fermo restando il mio entusiasmo, non posso esimermi dal contestare al direttore le sue solite colpe - alcune dirette, altre indirette - che alla fine e nonostante tutto hanno fatto di questo Macbeth la solita occasione sprecata.
Partiamo dalle prime: le critiche dirette.
Intanto (e il fatto che tanti altri direttori commettano lo stesso errore non assolve Muti) io non tollero più il pastrocchio testuale che ancora ci viene propinato.
Premesso che di Macbeth ce ne sono due (quello fiorentino del 47 e quello parigino del 65), perché non orientarsi sull'una o sull'altra versione?
Perché ad esempio non appoggiarsi semplicemente all'edizione francese, certamente più matura e moderna?
Ma perché Muti è difensore dell'italianità di Verdi e non accetterebbe di dirigerlo in Francese.
Bene, allora prenda la versione italiana del 1847.
Già, ma se così facesse dovrebbe dirigere un'orchestrazione meno sfarzosa e brillante... meno atta a valorizzarlo.
Così lui "sceglie" la versione francese però non solo la fa in Italiano, ma le impone il brutto finale del 1847, che tra l'altro avrebbe senso solo con un grande baritono alla Varesi (ovviamente non è il caso di Lucic).
Naturalmente Muti non può resistere alla tentazione di eseguire i ballabili delle streghe (scritti appositamente per Parigi) e tuttavia - forse vittima della vecchia tesi che Verdi in Francia si sia venduto alle pratiche del Grand-Opéra - il piazza ad apertura del terzo atto, come fosse un'Ouverture, come fosse una Leonore III, senza streghe in scena, senza coreografie e facendoli così apparire spaventosamente brutti, illogici, volgari.
Quanto all'interpretazione vera e propria, i vari numeri dell'opera (presi singolarmente) non mancano di una vera - talora fortissima - carica emozionale, tanto che non di rado si hanno i brividi lungo la schiena.
Ma è anche vero che questo avvitamento sul suono, sull'architettura del singolo tableaux, sull'emozione momentanea, non essendo sorretto da una più vasta visione drammaturgica, finisce per rendere tali emozioni slegate e incoerenti.
In sostanza, se è indubbio il potenziale teatrale del singolo brano (o del singolo effetto), l'insieme paradossalmente induce alla noia, mancando la forza di un'unità narrativa (non parliamo di coerenze psicologiche, simboliche, drammaturgiche...)
Questo Macbeth pare una lunga favoletta senza spessore, animata (questo sì) da innumerevoli sprazzi di impatto emozionale forte, fortissimo, ma che sembra spesso gratuito.
Il fatto è che Muti, invecchiando, non ha acquisito senso del teatro.
Il suo è sempre stato un teatro di emozioni possenti, abilmente descritte, ma di pelle, superficiali, sgangiate da percorsi superiori.
Nè l'età l'ha condotto a scoprire che le vere emozioni (teatrali e non) non sono quelle più sconquassanti ma quelle più complesse, sottili, interiorizzate e soprattutto giustificate da un'evoluzione nella quale sia possibile riconoscersi.
In quanto teatro d'effetti, quello di Muti resta un anti-teatro. Ne è prova il suo Macbeth che, dopo quasi quarant'anni, continua a sembrare poco più che un "
noir storico" particolarmente sanguinolento e torbido, con tanti cattivacci che alla fine saranno puniti.
Queste le critiche dirette a Muti.
Poi ci sono le critiche indirette, quelle ciò che si riflettono sugli ambiti che non gli competerebbero ma nei quali esige di metter becco.
Ossia i cast e gli allestimenti scenici.
Le capacità di Muti come direttore sono abbaglianti e tutti gliele riconosciamo.
Putroppo le sue prospettive critiche, drammaturgiche e culturali lo sono terribilmente di meno.
Basta sentirlo parlare di Macbeth per capire ....la superficialità un po' infantile della sua visione
NOn sarebbe un problema... a un direttore si richiede di dirigere.
E sono assai pochi i direttori che possono dirigere questo repertorio come lo dirige lui.
Se Muti lasciasse a gente che veramente "ne sa" (direttori artistici, registi, gli stessi interpreti) il compito di intervenire dove lui non può (e non dovrebbe) arrivare, il problema non si porrebbe.
Ne è stata la prova il fantastico Moise di due anni fa, sempre qui a Salisburgo: era la prima volta che assitevo a uno spettacolo con Muti il cui pensiero drammaturgico fosse affidato a un vero, grande intellettuale, limitandosi il direttore a ottenere dalla fossa i propri ben noti miracoli.
Il risultato è stato grandioso.
Poteva essere l'inizio di una nuova fase... ma così non è stato.
In questo Macbeth ho ritrovato il Muti che (ahimé) conoscevo, il direttore tanto inconsapevole dei propri limiti culturali e critici, quanto convinto di avere il diritto e il dovere di imporre la propria insindacabile autorità.
Il Muti che non si capacita di dover dirigere solo l'orchestra, il coro, i cantanti, ma che vorrebbe - bacchetta alla mano - dirigere anche i teatri, i critici, persino il pubblico (la sera in cui ero presente io si è persino permesso un battibecco col pubblico, colpevole di aver appluadito Banco pochi minuti prima che il brano finisse... immaginiamoci come il siparietto possa aver contribuito a migliorare la già latente tensione narrativa dello spettacolo).
Peccato che i tanti anni sulle spalle, le brutte esperienze e i (pur invisibili) capelli bianchi non abbiano insegnato a Muti che questa pretesa di dirigere tutti non porta bene né all'arte, nè a lui.
Partiamo dal cast: ovunque vada, deve essere lui a scegliere i cantanti.
I quali devono essere allineati alla sua idea di come la partitura debba essere cantata e del tipo di personaggi che egli ha in mente.
Per conseguire tutto ciò, Muti passa sopra al fatto che dispongano di adeguate personalità artistiche (e nel caso di Macbeth o Lady Macbeth sappiamo quanto è assurdo).
Quel che è peggio è che lui non dispone sempre degli strumenti per individuare vocalmente, stilisticamente e drammaturgicamente i cantanti giusti, né per partorire idee davvero vincenti su come rendere i personaggi.
Per esempio non ha mai capito chi o cosa sia Lady Macbeth.
La vede molto "cattiva" ma non comprende come questa cattiveria vada collocata nella poetica shakespeariana o nella drammaturgia ancora intrisa di romanticismo e belcantistmo di Verdi e Piave. Non si è ancora liberato dalla vecchia formula tedesca di farne una specie di Orturd (declamatoria, sillabante, possente).
E così la lista delle sue Lady mette tristezza.
La Jones a Firenze (per lo meno l'unica vera personalità del gruppo), poi la Cossotto in studio, la Dimitrova a Napoli, la Guleghina a Milano e ora la Serjan.
L'unica eccezione (giustamente non in Italia) fu la Scotto a Londra, vocalmente, tecnicamente e interpretativamente ideale.
La Serjan non ha nulla di una grande Lady.
Non ha il canto sbalzato sul ritmo e sul fraseggio, non ha l'ardimento vorticoso di una vera belcantista, non ha il virtuosismo, i suoi acuti sono grossi ma non svettanti.
Quel che è più grave è che non ha la forza di personalità scenica e musicale richieste da un simile ruolo.
Ha in compenso una bella e grande voce (come piace a Muti), un bellissimo re bemolle filato (che piace anche a me

) ed è di quelle cantanti mansuete e ubbidienti che Muti predilige per costurire i personaggi esattamente come li ha pensati.
Anche peggio il Macebth di Lucic, bass-baritono declamatore abusivamente imposto in Verdi, dalla retorica completamente fuori stile, per giunta oggi un po' calante e retorico... insomma un controsenso in un ruolo Varesi.
Ho risentito volentieri, dopo anni ormai, Filianoti, la cui voce è sempre bellissima e la cui presenza scenica (per lo meno in personaggi poco articolati psicologicamente) è nobile e altera.
Al contrario non capisco la ragione di affidare Banco a un basso immaturo e fuori parte come Dmitry Beloselskiy, già Zaccaria con lo stesso Muti.
Resta il discorso registico.
E qui, francamente, sono in difficoltà, oerché piaccia o non piaccia (e a me non piace) Stein di personalità ne ha da vendere.
Da lui non mi aspettavo una grande regia. Mi aspettavo la solita pappa alla Stein.
Ma quello che ho visto è qualcosa di diverso.
Questo Macbeth era esattamente ricalcato su una produzione areniana o newyorkese degli anni '80.
Un tipico "american trash" da anni '80 (l'espressione - felicissima - è di Maugham).
In un buio pressoché costante, i personaggi si muovevano goffamente, con gesti da B-movie storico degli anni '60, inseguiti da perenni (e ridicoli) occhi di bue.
I costumi erano un arruffato défilé di manti e armature da libro delle favole.
E Lady era conciata esattamente come la regina cattiva della Biancaneve di Disney.
Le streghe erano proprio streghe con tanto di pentolone fumante (salvo il fatto che erano solo tre, in quanto il resto del coro fungeva solo da sottofondo musicale; idem per i sicari).



Mai visto niente di più ridicolo, di più scemo...
Se penso ai Macbeth di Jones, di Cerniakov, di Carsen... non potevo credere che in pieno 2011 qualcuno proponesse una simile porcheria al festival di Salisburgo.
Il fantasma di Banco, tanto per dire, appare da una botola sul pavimento, facendo sghignazzare persino i tanti mutiani del pubblico.
Il coro si dispone regolarmente metà a destra e metà a sinistra del palcoscenico, come nelle peggiori zeffirellate per vecchietti da Blog, e lì resta immobile finché canta, salvo poi uscire ordinatamente (ognuno dalla sua parte) alla fine.
E non parliamo delle classiche idiozie da regia d'opera italiana... nessuna è stata dimentica da Stein.
Che so...
Macbeth che canta "giorno non vidi mai si fiero e bello" mentre in una scena completamente buia esplodono lampi e fulmini.
Il drappello che annuncia la morte di Glamis entra correndo, si dispone in fila per tre, e da lì dà il suo annuncio.
il messaggero che annuncia a Lady l'arrivo di Duncan entra in scena da sinistra e - congedato da Lady - esce a destra!
Macbeth che grida al fantasma (per ben due volte) di non agitargli contro i capelli insanguinati, mentre lo spettro resta puntualmente immobile.
Non parliamo della musica villereccia che accompagna l'arrivo del Re al castello di Macbeth.
Qui c'è una sfilata orripilante (sul corridoio antistante la fossa d'orchestra) con Duncan, seguito prima dai coristi - in fila per due - poi dagli strumentisti che suonano la fanfara, ovviamente vestiti in tenuta finto-medievale ma con luccicanti e modernissimi strumenti otto-novecenteschi.
Già alla fine del primo atto io avevo la sensazione che qualcosa non tornasse...
Quello non era per nulla lo stile di Stein; ci piaccia o meno, non è questo il suo linguaggio, il suo modo di fare teatro.
Più passava il tempo più questo spettacolo mi pareva strano... la gestualità troppo cretina, la scenografia troppo stupida (una porta nera che si eleva sul palcoscenico vuoto, il tavolo del banchetto era la solita lunga fratina per giunta illuminata)...
Poi, a partire dalla scena delle apparizioni, è accaduta una cosa che mi ha indotto a riflettere.
All'apparizione di Banco (ovviamente col suo bravo specchio in mano) immagini dei re "futuri" sono state proiettate sull'alto muro della Felsenreitschule.
Dapprima immagini medievali di antichissimi sovrani, poi - procedendo nella storia - monarchi più recenti.
La penultima immagine era della regina Vittoria.
L'ultima era di Elisabetta II, attualmente in carica.
Potete immaginarvi: il pubblico è scoppiato a ridere.
E io ho sbarrato gli occhi!
Che sta succedendo?
Poco dopo, appena svenuto Macbeth, parte il balletto. Tutta la scena si illumina di palline e stelline. Sembra una rappresentazione scolastica di Natale.
E infatti, puntualmente, entrano in scena tante bambine piccolissime che si lanciano in un balletto ovviamente patetico (ma tanto carino)...
L'ultima scuote Macebth, lo sveglia e poi scappa via...
I miei occhi erano ancora più sbarrati.
No! Qui Stein non "c'è". Stein "ci fa"!
E poi il colpo di scena finale.
Proprio al termine del coro dei liberatori scozzesi sul cadavere di Macbeth, all'ultima battuta prima che si spengano le luci.... un cannone posto dietro al coro fa esplodere una nuvola di coriandoli, che cade luccicando sui vincitori!
Anche in questo caso il pubbico ridacchia...
A questo punto non ho più dubbi.
Ciò in cui Stein si è lanciato, con vero divertimeno (suo e non nostro) è una parodia della regia d'opera "tradizionale".
Tutte le ingenuità e le scempiaggini (che i vecchietti anche austriaci rimpiangono) sono state pazientemente raccolte e riportate in vita.
Figuriamoci le matte risate che Stein si sarà fatto a leggere i giornali tedeschi (che lo hanno accusato di eccessivo "tradizionalismo") e - ancora di più, ma non credo li abbia letti - sui commenti degli ineffabili Soloni della stampa italiana, che hanno levato nubi di incenso alla sua regia (strehleriana, ha scritto Girardi), persino riportando le sue clamorose affermazioni in conferenza stampa ("il regista non conta nulla, dirige solo il traffico! Muti è un primus inter pares, e io sono un pares! Io non so nulla di teatro contemporaneo") senza rendersi conto dello spiritastro acido che c'era dietro.
Ora potremmo chiederci che bisogno c'è che un grandissimo regista, un decano dell'Intellighentsia tedesca, si riduca a fare una parodia invece di una grande opera di drammaturgia!
Che bisogno c'è?

Provateci voi a proporre qualcosa di diverso da tutto ciò a un Muti (già incattivito e furibondo con il Festival) e in un'opera come Macbeth e in un contesto come Salisburgo!
Se ci fosse stato lo scontro secondo voi chi avrebbe avuto partita vinta?
E chi glielo fa fare a Stein di mettersi tutti contro!
Volete una regia "senza stranezze"?
Io faccio di più: vi metto in scena tutto l'orrore della tradizione registica che i nostalgici rimpiangono!
Certo, Stein avrebbe potuto andarsene, rinunciando alle migliaia di euro del suo cachet.
Ha preferito montare una regia-caricatura, che avrebbe tranquillizzato Muti (che forse alla fine l'ha capita, considerato che ha impedito la diretta televisiva) pur infarcendola di piccoli e inequivocabili segnali del suo disprezzo.
Segnali che solo i nostri illuminati recensori (penso alla povera Moreni... lei sì che capisce le regie!

) non avevano gli strumenti per cogliere.
Salutoni,
Mat