Per inquadrare Jenufa occorre avere chiaro il complesso e torbido albero genealogico dei Burya.
La vecchia Burya (Hanna Schwarz) ha due figli dal matrimonio con il signor Burya, ricco possidente.
Uno (il primogenito) ha la testa a posto, mentre il secondo è uno spendaccione.
Il primo - quello con la testa a posto - sposa una vedova che ha già un figlio, Laca (Ventris). Con questa donna fa a sua volta un figlio, che chiamano Steva (Breslik). Ad apertura di sipario Laca e Steva sono orfani.
Lo spendaccione si sposa anche lui (nel dramma non si dice con chi) ed ha una figlia: Jenufa (Opolais). Rimasto vedovo si risposa con la Sagrestana (Martens). E' un rapporto turbolento. Si ubriaca, picchia la moglie. La loro unione è sterile. Muore anche lui lasciando Jenufa orfana.
Quindi, ad apertura di sipario, ci sono solo tre donne "superstiti" da questa genealogia di vedovanze: La vecchia Burya, la Sacrestana e Jenufa.
Bene.
Di solito il nodo drammaturgico di quasi tutti gli allestimenti di quest'opera è centrato sulla coppia composta da Jenufa e dalla Kostelnicka. Quest'ultima è, di fatto, la protagonista dell'opera. Jenufa, sedotta e abbandonata cade in balia della matrigna che, nel secondo atto, decide il destino della figliastra e il proprio macchiandosi di un infanticidio.
La vecchia Burya è invece di solito raffigurata come una paziente e bonaria nonna da fiaba, un po' rincoglionita. Una comprimaria.
Per Cerniakov invece anche la vecchia Burya diventa importante quanto Jenufa e Kostelnicka. Anzi, proprio su di lei è costruito il suo singolare e affasciante contributo alla storia interpretativa di quest'opera.
Tre donne.
Tre donne che vivono assieme in una grande casa luminosa e lussuosa. Minimal nell'arredamento. Una casa senz'anima.
Tre donne con uno strano rapporto con la maternità.
Ad apertura di sipario la scena è divisa in due.
Jenufa è in salotto, a pianterreno e guarda fuori dalla finestra.
La Kostelnicka è al piano superiore, nella stessa posa di Jenufa, in una camera da letto matrimoniale ordinatissima e pulita, ma anche gelida e spettrale. Una camera da letto testimone di squallide e frigide notti matrimoniali. Testimone di un rapporto che non ha mai funzionato.
Questa Kostelnicka non è la solita signora di mezza età tendente all'anziano che di solito siamo abituati a vedere in Jenufa. Non è la solita matrigna che potrebbe, anche anagraficamente, essere la madre naturale di Jenufa.
No, per Cerniakov la Kostelnicka è di poco più anziana della figliastra. Non più di una decina d'anni.
Anzi, si potrebbe dire che è "come" Jenufa, solo più grassa e goffa. Capiamo che lo "scriteriato"

Tomas Burya ha scelto -come seconda moglie- una giovane donna di poco più anziana della figlia. Forse anche per farci , dico io, quel figlio maschio che non era saltato fuori dal primo matrimonio mentre il fratello maggiore addirittura, di maschi, ne aveva due.
Questa poca differenza d'eta mette in moto, nella visione di Cerniakov, un dualismo fortissimo tra matrigna e figliastra, una rivalità non detta, una specularità sinistra e agghiacciante che colora ogni parola, ogni gesto della matrigna di inquietanti retropensieri.
Questa Kostelnicka, seppure di pochi anni più vecchia della figliastra, ha conquistato una maturità a suon di sberle e di rifiuti da parte del marito (nella totale assenza della suocera tutta presa nel ruolo di vedova del riccone) e si trova a fare i conti con un futuro già scritto di rinunce e solitudine. Seppur ancora giovane è già nell'età dei rimpianti. E' amareggiata, sconfitta e schiacciata dal confronto con la figliastra che comunque ama e vorrebbe proteggere. In lei parte la rivalità, senza dubbio, ma parte anche quella complicità tipicamente femminile che s'instaura quando una donna diventa l'evoluzione dell'altra. Questa Kostelnicka altro non è che la fotografia di come anni di convivenza forzata e sterile possono trasformare Jenufa. Questa matrigna, con i suoi chili di troppo, gli occhi spenti, i vestiti sgraziati, altro non è che il futuro di Jenufa -ovviamente secondo la Kostelnicka- se va avanti la storia con Steva.

Su un divano del salotto c'è la vecchia Burya.
Per Cerniakov è tutt'altro che una piacevole nonnina. E' una signora anziana ancora piacente, curatissima negli abiti e maniaca dalle cure di bellezza. E' ossessionata dall'aspetto e dalla purezza della pelle. Quella pelle che -così dicono gli uomini- è la carta vincente, il segreto della bellezza di Jenufa. Non a caso si spalma di creme e si prepara una maschera d'argilla. E' una presenza inquietante. Una sorta di larva sinistra, chiusa in un bozzolo d'egoismo. Ti rendi conto che lei tiene tutti sotto controllo perchè gestisce i molti quattrini di famiglia. A differenza del'empatia delle nonne questa signora anziana non prova niente per nessuno. Solo Steva e Jenufa -perchè sono belli e simpatici- gli ispirano narcisistici moti di simpatia. Tutti gli altri membri della famiglia sono solo insetti. Quando Jenufa verrà sfregiata da Laca nella bellissima pelle del viso -quella pelle che la nonna cura con maniacale precisione- la vecchia si ritrarrà con orrore da questa nipote sfregiata, abbruttita, mortificata.

Resta Jenufa, che per Cerniakov è una ragazzona bellissima, sensuale, e ingenua. E' sempre senza un filo di trucco, limpida, solare. E' orgogliosa di essere la donna (lei crede di essere l'unica) del più fico della compagnia. E' completamente diversa dal codazzo di trucide "vampiresse" che Steva si porta dietro. Ma lei, a differenza della vampiresse, ha un segreto, per ora, inconfessabile. Ha un bambino in pancia. E' il figlio di Steva. Per ora non lo sa nessuno ma presto lo sapranno anche le altre due tremende donne che vivono con lei. La nonna e la matrigna.
Due donne che il vissuto materno (in un senso e nell'altro) ha reso boccette piene di rancore: la vecchia ha seppellito due figli e la seconda non è riuscita ad averne.
All'inizio del secondo atto il fattaccio è già avvenuto.
Ci spostiamo quindi nella camera matrimoniale della Kostelnicka che adesso è adibita a nursery. Ma è una nursery triste, disordinata, quasi uno scantinato in cui sono ammassati oggetti ad uso di un puerpera: pile di confezioni di Pampers accatastati sulla parete, tutine da neonato in una sacca per terra (tutine che la Kostelnicka piega con struggente tenerezza), una culla spartana, cartocci di cibo sparsi per il pavimento. Jenufa è dolorante per il parto. Non riesce quasi a stare in piedi. Vive in questa prigione, con le lucine basse, con questo bambino strano che -sono sue parole- da quando è nato non ha ancora pianto. Un bambino strano che è vivo ma che si comporta come se fosse morto. In questa sala di tortura (dovrebbe essere un luogo lieto come tutte le camerette dei neonati) Jenufa realizza la sua incapacità ad esser madre. E il colpo di grazia glielo darà Steva, convocato dalla Kostelnicka, di cui Jenufa udrà tutto il colloquio.
A questo punto si chiude sotto al piumone. avvolta come in un bozzolo e lascia che il destino suo e del bambino si compia.
La Kostelnicka sale in camera e prende in braccio il neonato.
Lentamente il palcoscenico sprofonda di nuovo e scopriamo un nuovo ambiente. Sopra la camera da letto c'è la soffitta. E' uno spazio di asettico e agghiacciante nitore. Qui c'è un lettino da bimbo. Completamente differente da quello approntato da Jenufa. Quanto quello era spartano, semplice e disadorno tanto questo è sontuoso, ricco, festoso. La Kostelnicka si trasforma in madre affettuosa. Stringe questo bambino che non è suo ma lo sarà. O meglio, nella sua follia, lo diventerà.
Lo diventerà perchè lei lo porterà via a Jenufa.
Jenufa, svegliata dal torpore, si precipita nella scala sotto la botola della soffitta del tutto consapevole che il suo bambino è là sopra. Là sopra con la matrigna. E lei sa che non lo rivedrà più.

Cerniakov ti travolge sovrapponendo piani narrativi con virtuosismo micidiale.
Ecco che incoffessabile segreto diventa duplice: la maternità di Jenufa ma anche la maternità virtuale della Kostelnicka.
Ma Cerniakov non si ferma qui.
Vuole sbalordire.
E arriva il terzo piano narrativo.
Mentre la Kostelnicka scende a parlare con Laca vediamo entrare nella stanza del bambino la vecchia Burya in vestaglia, come un presenza spettrale. Lei non sa nulla del bambino e della gravidanza di Jenufa. Tocca con ribrezzo tutte quelle cose che testimoniano la presenza di un neonato. Le fanno schifo. Il bambino però non c'è.
Come una vecchia tigre affamata trova la strada per la soffitta ed entra. Si avvicina alla culla, il pubblico vorrebbe fermarla, gli altri sono di sotto, lei è sola nella soffitta, c'è una grande finestra che si affaccia sulla notte invernale....
Nel terzo atto -alle accuse contro la Kostelnicka- vediamo in flashback una matrigna sconvolta che vede un lettino capovolto vicino a una finestra aperta...
E tutto è chiaro. E' chiaro non solo a noi spettatori ma anche a Jenufa che nel finale "respinge" Laca sulle note più struggenti di tutta l'opera e rimane sola con le altre due femmine.
Non c'è spazio per nessun uomo. Non c'è spazio per nessuna consolazione. Lo sguardo cupo, sinistro della Opolais, sintetizza tutto il dolore e la rabbia che regna in quella casa e in quella famiglia.
Tre donne, tre vedove nere, tre madri incapaci di esserlo, tre sopravvissute.
Un capolavoro assoluto.
Luisi in grandissima forma. Uno Janacek splendido, in bianco e nero, con strane derive espressioniste nel finale del secondo atto.
La Opolais è una straordinaria Jenufa sia come presenza, carisma, voce, timbro e accento. Meno bene la Martens. Acuti forzati e purtroppo mi è parsa carente di personalità in una parte come questa. Ottimi sia Breslik che Ventris. Bravissima la Schwarz.
Gestione dei coristi (pochi e differenziati ad uno ad uno) perfetta.
Repliche fino a fine ottobre.
WSM