da DottorMalatesta » gio 12 lug 2012, 16:09
Ciao a tutti,
dunque... una Manon senza Manon verrebbe da dire. In effetti l'attesa per ascoltare (o forse dovrei dire VEDERE) dal vivo quel genio assoluto del teatro che è Nathalie Dessay era davvero tanta. Preso dall'entusiamo avevo persino comprato dei biglietti per due rappresentazioni. Questa invece non è stata la Manon della Dessay e neppure della Netrebko (peccato! Un'altra grande artista e una grande Manon, prova ne sia il bel video con la regia di Vincent Paterson, DG), ma solo... di Ermonela Jaho. E per quanto brava questa giovane cantante sia (o non sia) stata difficilmente potrà consolare il eroinomane (e l'appassionato di teatro) deluso. Pazienza, per la Natalie speriamo in un'altra occasione!
Che dire, dunque, di questa Manon? Si è trattato, forse, di una Manon senza una vera Manon, ma non senza una grande direzione d'orchestra. A mio modo di vedere infatti il dominatore incontrastato della serata è stato Fabio Luisi, con una concertazione di grande intensità e lirismo, e con uno spiccata tensione teatrale, priva degli sdilinquimenti del massenetismo di maniera (cugino stretto del puccinismo alla Daniel Oren), quello del Jules de' languori di luna e infausta tradizione. Una direzione moderna, in definitiva, di grande impatto teatrale e in grado di sottolineare benissimo il tripudio di colori e timbri in un'opera scritta da uno che in fatto di orchestrazione era secondo a pochi!
Discreta la Manon di Ermonela Jaho, voce non estesissima, con acuti presi di forza dal timbro piuttosto metallico e gravi piuttosto opachi. Il medium della voce tuttavia è gradevole, con suoni ben sostenuti e proiettati, una buona dizione e un buon fraseggio. L'adieu a la petite table è momento ben riuscito, così come il finale. Un po' più a disagio nei brani di coloratura. Anche come attrice non è male (ma certo, la Dessay o la Netrebko sono su un altro pianeta), e di certo dimostra di sapere quello che canta. Lo stesso non si può invece dire per Matthew Polenzani, che canta tutto (ma proprio tutto!!) come uno scolaretto impaurito, nessuna traccia di quell'entusiamo bruciante, di quell'erotismo a fior di pelle che, accidenti!!!, in un'opera come questa (e nella Manon Lescaut di Puccini) o la si fa emergere sennò è meglio cantare romanze di Tosti! La linea di canto è dura e gessosa, il timbro ingrato, gli acuti fibrosi e "indietro", le mezzevoci smunte, la pronuncia pessima (lo si massacra, il francese, con tutte quelle vocali aperte!!!), l'attore imbarazzante. Anche le parti di fianco decisamente deludenti: si è ascoltato probabilmente il peggior Compte della storia (!!!), ma anche Guillot de Morfontaine e De Brétigny non erano da meno. Bene invece il Lescaut di Russell Braun: voce non estesa, ma linea di canto morbida e un ottimo fraseggio.
Anche la parte visiva delude, soprattutto considerando che la regia è firmata Laurent Pelly. Chiunque abbia conosciuto (ed amato) le sue regie (il suo Offenbach al peperoncino piccante!) avrebbe stentato a riconoscere la mano del registra dietro questo spettacolo con che, in definitiva, si riduceva alla scenografia. Non basta creare un impianto scenico tutto colonne sghembe e piani inclinati per sottolineare il senso di precarietà del mondo di Manon, o vestire in frac neri i signorotti della Parigi per suggerire un mondo maschile crudele e cinico. Ci vuole dell'altro, ci vuole un buon lavoro sugli attori (tanto più se legnosi come Polenzani!), ci vuole più teatro! Dov'era la primavera di Manon? Dove la sua giovinezza e sensualità? Dove il dramma? Dove l'eros?
Francesco
PS: in realtà, oltre alla direzione di Luisi, valeva la serata anche la coppia seduta dietro di me. Due teste canute (e probabilmente in buona parte vuote) di cui vi riporto i commenti all'alzarsi del sipario.
LUI: "Ma... la cantano in francese!!"
LEI: "Pare di sì!"
LUI: "Ecco perché con i sottotitoli in italiano non capisco niente..."
All'intervallo (ancora meglio!):
LUI: "Massenet.... Che altro ha scritto?"
LEI: "Ha scritto I pescatori di perle, una gran bella opera!"
Dall'alto dei cieli Bizet ringrazia.
Un solo punto di vista è la vista di un solo punto