La traviata - Teatro alla Scala 2013

recensioni e commenti di spettacoli visti dal vivo

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Re: La traviata - Teatro alla Scala 2013

Messaggioda DottorMalatesta » sab 14 dic 2013, 15:56

Ascolto comparato?
Bene!



(purtroppo manca la lettera)

Ciao!
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Re: La traviata - Teatro alla Scala 2013

Messaggioda VGobbi » ven 20 dic 2013, 0:04

Sulla scia della Traviata scaligera ... mi sono ascoltato quella di Muti con il trio Fabbricini/Alagna/Coni.

Cosa ne pensate?
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Re: La traviata - Teatro alla Scala 2013

Messaggioda pbagnoli » ven 20 dic 2013, 12:22

VGobbi ha scritto:Sulla scia della Traviata scaligera ... mi sono ascoltato quella di Muti con il trio Fabbricini/Alagna/Coni.

Cosa ne pensate?

E' un bel po' che non la ascolto; ne ho complessivamente un buon ricordo.
La Fabbricini non fu niente male: alla fine del suo grande momento del primo atto fu salutata da un'ovazione. Francamente non so se premiarono la sua giovinezza e il suo coraggio, oppure i suoi reali meriti. Nel timbro callaseggiava un filino, ma non era male, davvero!
Alagna e Coni furono molto bravi: Alagna - per come mi ricordo - lanciò la propria carriera internazionale con quelle recite; Coni era molto bravo, ma poi dopo qualche anno è misteriosamente scomparso.
Lo spettacolo... mah! Una roba molto zeffirelliana, molto "no problem", semplice accompagnamento alla musica.
Piacque.
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Re: La traviata - Teatro alla Scala 2013

Messaggioda vivelaboheme » ven 20 dic 2013, 14:47

Una delle cose migliori di Muti alla Scala, anche se, a mio avviso, Daniele Gatti ha altro spessore di lettura. Il formalismo di Muti fu pregio e limite allo stesso tempo. Ma fu una bella Traviata: per il cast, e per il suono dell'orchestra. Lo spettacolo della Cavani - bella l'idea dei vari "colori", atto per atto - fu funzionale al momento, salvo rivelarsi "datato", in tempi insolitamente brevi, appena fu ripreso.
La scelta della Tiziana Fabbricini si rivelò, sul momento, vincente. In seguito, a mio avviso, l'ambiente non fu troppo generoso con un'artista molto particolare che avrebbe dovuto trovare chi continuasse a seguirla vocalmente, perché avesse modo di sfruttare appieno una voce così espressiva, provando a limarne le irregolarità. Invece, è stata un po' abbandonata a se stessa, ed è un vero peccato: le sue doti sceniche, artistiche, l'intelligenza con la quale "entra" nei personaggi sono (ancora oggi, nelle rare apparizioni) molto rare a riscontrarsi. Caso vuole che, proprio ieri sera, mi sia capitato di parlarne con amici musicisti, e si conveniva che, avessimo istituzioni e conservatori forse più "aperti" nella mentalità, una Fabbricini - che ha anche notevole comunicativa - sarebbe, quanto meno, preziosissima insegnante di arte scenica ai giovani cantanti.

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Re: La traviata - Teatro alla Scala 2013

Messaggioda flipperinodoc » ven 20 dic 2013, 15:29

ho un bel ricordo di quella traviata!
una bella eccitazione. un clima davvero frizzante.
nell'insieme forse lo spettacolo ottenne più meriti rispetto alle qualità dei singoli componenti. ma almeno potevamo finalmente riascoltare Traviata in Scala.
ricordo che nella mia recita c'era fernando de la mora (inascoltabile). nel secondo atto venne sostituito per indisposizione e alagna ottenne una ovazione da stadio a fine recita,
quasi uguale a quella ottenuta a fine boheme subito dopo la morte della prima moglie!
anche la fabbricini fece la sua "porca figura" : Chessygrin :
ripensandoci ora.... accidenti era il 1990... ero uno studentello....
sigh.....
non respira! .... sarà all'ottavo piano!
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Re: La traviata - Teatro alla Scala 2013

Messaggioda VGobbi » ven 20 dic 2013, 18:59

Grazie infinite per le vostre testimonianze, tutte dal vivo ... uffi ... io invece mi sono limitato al solo ascolto ... e confesso che questa Traviata mi ha entusiasmato moltissimo, sopra tutto la Fabbricini (vocalita' acerba ma che temperamento ed espressivita') e Coni (che bel timbro che aveva e che signorilita', nonostante la sua giovine eta'. Peccato sia durato pochissimo, cosi' come la Fabbricini).
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Re: La traviata - Teatro alla Scala 2013

Messaggioda DottorMalatesta » lun 23 dic 2013, 0:39

Traviata alla Scala, la Violetta di un Botanico

Dal vivo della realtà teatrale questa Traviata si conferma uno spettacolo riuscito a metà. Convince, ma non avvince la regia di Tcherniakov, che per non scontentare nessuno finisce per scontentare un po’ tutti: i passatisti, che elevano alti lai stracciandosi le vesti nel vedere Flora agghindata come una pellerossa o Alfredo che affetta le verdure e prepara la pizza (eh già, regista mio bello, in Francia si mangia l’omelette!), e gli amanti di un approccio drammaturgico più in linea con i tempi (e, sia detto per inciso, con Verdi) che invano cercherebbero in questa regia il colpo di genio.
Lo spettacolo, tanto per essere chiari, funziona. Ma ad alti e bassi. Perfettamente riusciti alcuni (molti, a dire il vero) punti dell’opera, in cui la corrispondenza – per affinità o contrasto – tra quanto si vede e quanto si ascolta è fortissima, e di grande effetto: il tono canzonatorio e quasi beffardo di Violetta nei confronti di un impacciato Alfredo al primo atto; la grande scena a conclusione dello stesso, scena che, con buona pace delle care salme che popolano il “massimo teatro italiano”, sembra davvero un cosciente omaggio rivolto dal regista russo al celeberrimo spettacolo di Luchino Visconti, in cui la Violetta di Maria Callas si aggirava tra bottiglie mezze vuote e sedie sparse qua e là nella melanconia della festa appena terminata (gli elefanti – si dice– hanno buona memoria. Gli asini, a quanto pare, no); la frenesia quasi isterica, da nervi a fior di pelle nell’incontro-scontro tra Violetta ed Alfredo al secondo atto ambientato in quella cucina da pubblicità della pasta Barilla che esprime benissimo il disperato tentativo di vivere una vita “normale” ; l’allucinato coretto di zingarelle e toreri a casa di Flora, che finalmente cessa di essere folcloristico pezzo d’arredamento e autentica zeppa drammaturgica per acquisire una forte carica espressiva e straniante (il cui “colore demoniaco”, come definito da Rodney Stenning Edgecombe in un bel saggio, si sposa benissimo con la Verfremdung brechtiana voluta da Tcherniakov in questa scena); l’ultimo atto in cui la stessa malattia di Violetta altro non è se non una misera messa in scena, un tentativo di riconquistare un amore perduto per sempre, diventato ormai brace spenta, compassione e commiserazione per una poveretta alla quale per il troppo amore ha dato di volta il cervello: Alfredo entra per quella che spera essere solo una breve visita di cortesia, guarda l’orologio impaziente di levarsi da quella situazione che lo mette a disagio, è preoccupato più di sistemare i fiori in un vaso che di rivolgersi con affetto e calore all’amante di un tempo, e – a sentire Violetta (stra)parlare di matrimonio – si ritrae impaurito. E la rabbia di lei che esplode, violenta, assoluta: a lei, sola ad aver amato, non resta altro che una stanza, spoglia e fredda, in cui morire. Sola. E sola muore, questa Violetta: l’amica e confidente Annina allontana con un gesto deciso (non ignara mali, miseris succurrere disco) gli uomini (il dottore e i due Germont), che vengono così privati delle loro battute finali (inclusa la costatazione di decesso del Dottor Grenvil, improvvisatosi per l’occasione medico necroscopo). E se la filologia ne risente, il teatro ringrazia.
Tuttavia, se in molti aspetti questa regia si dimostra convincente, in altri lascia una forte sensazione di incompiutezza. L’aver eliminato completamente ogni riferimento alla “diversità” di Violetta rappresenta, in particolare, una diminutio notevole rispetto al dettame verdiano, e francamente appare una scelta incomprensibile in un regista che, convinto che ha teatro conta il “vero” più del “bello”, ha saputo realizzare degli spettacoli che, dal punto di vista contenutistico e formale, erano autentici “pugni allo stomaco”. A questo si aggiunga il fatto che non sempre Tcherniakov sembra a suo agio nella gestione dei personaggi sulla scena (emblematica la festa a casa di Flora, con il coro fermo a fare il coro come s’è visto fare da sempre e come francamente – almeno questa volta – si sperava di non dover più vedere).
Il cast è dominato dalla Violetta di Diana Damrau che inizia con un primo atto in cui si avvertono alcune fragilità e persino (sembra incredibile) alcune imprecisioni nella coloratura, peraltro piegata a fini espressivi come raramente s’era sentito prima. Nel secondo e soprattutto nel terzo atto crea invece un personaggio con aspetti davvero inediti (in questo aderendo alla lettura proposta dal regista): Violetta è una donna volitiva, energica, a tratti persino rabbiosa, quella rabbia disperata che nasce dalla costrizione, dal rifiuto, dalla solitudine.
Molto bravo, ancorché piuttosto generico, l’Alfredo di Piotr Beczala, che si riscatta con una presenza scenica davvero convincente (lui che, sotto altri registi, non era mai sembrato meritevole di un Oscar alla recitazione). Da buon declamatore qual è, Zeljko Lucic spiana nove segni d’espressione su dieci, ma si fa apprezzare.
Comprimari variabili dal discreto (si conceda l’onore delle armi alla Annina di Mara Zampieri) al buono, coro allo sbaraglio (ma, sotto la solida bacchetta di Gatti, molto meno del solito), orchestra in stato di grazia.
Al pari della regia convince, senza avvicere, la direzione di Daniele Gatti. Straordinaria nel vivisezionare la partitura, in un’analisi strutturale portata all’eccesso, ma in cui l’estrema cura per il dettaglio non sempre riesce a ricostituire una sintesi teatralmente compiuta. Si resta stupefatti di fronte a suoni di una morbidezza e un nitore che sono il frutto evidente di una profonda, seria riflessione sulla partitura (raramente è capitato di sentire l’orchestra scaligera suonare così bene, anche sotto bacchette ben più blasonate). Tutto il primo atto è immerso in sonorità di danza illuminate da pulsazioni ritmiche sempre impercettibilmente cangianti (è chiaro che Gatti ha letto e studiato a fondo “Il valzer delle camelie” di Emilio Sala). Si apprezzano ovunque particolari finora quasi mai ascoltati con tale definizione: le stilettate degli archi sotto il “Follie, follie!”; le sonorità melliflue di flauto e clarinetto al “Di Provenza”; il fruscio dei violini nella lettura della lettera; la trenodia degli ottoni al “Prendi: quest’è l’immagine”… Raramente, poi, i tempi sono sembrati così teatralmente “giusti”. E penso soprattutto all’aria e alla cabaletta di Giorgio Germont, in cui – finalmente – il tempo rapido, frenetico, incalzante esprime benissimo l’ansia piena di determinazione del padre.
Non sempre, tuttavia, questa interessantissima direzione e concertazione riesce a farsi teatro vivo. Forse per non essere accusato di retorica, Gatti sembra rinchiudersi in un’analisi strutturale della partitura che – pur nell’eccellenza del risultato – a tratti confina nell’aridità espressiva. Il disperato grido di Violetta “Amami, Alfredo!” disattende quanto prescritto dal compositore (“con passione”, scrive Verdi), riducendosi ad un crescendo orchestrale in cui la tensione è artificiale e posticcia. Lo stesso avviene nei tre grandi “a parte” di Violetta durante la festa a casa di Flora: qui si avverte il soprano che morde il freno, e il direttore che sembra solo preoccupato di dimostrare che, lui – a differenza degli altri – la partitura la rispetta, e non ha intenzione di concedere né rubati né rallentamenti, col risultato però di tradurre il rispetto testuale in aridità espressiva (che poi in questo punto si possa essere “fedeli” allo scritto, mantenendo una bruciante espressività, lo dimostrano – in studio – le direzioni di Muti e Toscanini).
In generale, sembra che – laddove la musica rivela la propria sorprendente modernità strutturale e drammaturgica – questa direzione , letteralmente, spicchi il volo. Penso ad esempio al duetto tra Violetta e Giorgio Germont, in cui la scelta dei tempi si dimostra estremamente funzionale alla progressione psicologica della vicenda, e dove la stessa forma si fa contenuto (l’incisività ritmica al “Morrò! Morrò! La mia memoria”, vestigia della cabaletta di questo duetto in cui – grazie al genio di Verdi – la “solita forma” si dissolve come neve al sole).
Altrove la lettura eccessivamente analitica di Gatti tende a smorzare la temperatura anche se – forse nel tentativo di tenere alta la tensione drammatica – ricorrendo a sonorità incisive e ad effetto. Le sonorità quasi bellicose e marziali (quelle trombe così in rilievo e quegli archi sferzanti!) con cui Gatti accompagna la cabaletta di Alfredo sottolineano benissimo la natura formale “posticcia” e drammaturgicamente “fragile” del brano, che – di fatto – risulta ancora più incongruo del solito (lo stesso Verdi, in una lettera a Piave del 16 gennaio 1853 aveva definito questa cabaletta “priva di senso”).
Discutibile anche l’accompagnamento orchestrale della festa a casa di Flora. A fronte di un suono di grande nitore, si avverte costantemente un senso di distacco e di indifferenza alla vicenda da parte di un direttore che appare sempre più concentrato sulle ragioni musicali e strutturali dell’opera che su quelle drammaturgiche (il grigiore ritmico del coretto dei toreri, l’accompagnamento ossessivamente monotono del breve colloquio tra Violetta ed Alfredo, il crescendo costruito “dall’esterno” nel concertato finale).
In questa Traviata Gatti si conferma un direttore di straordinaria intelligenza, scrupoloso, capace di analizzare la struttura di una partitura come pochi altri, in grado di riflettere e giustificare “il perché” di una determinata forma musicale pur non essendo sempre in grado di far emergere in modo teatralmente vivo il contenuto ad essa sottesa. Essendo un’opera in cui la protagonista ha un nome floreale, si potrebbe dire (con un jeu de mots un po’ sciocco) che Daniele Gatti dirige questa Traviata con lo studio e la dedizione di un botanico, più che con la passione e la cura di un giardiniere. Traviata, forse, avrebbe bisogno di tutti e due.

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Re: La traviata - Teatro alla Scala 2013

Messaggioda reysfilip » lun 23 dic 2013, 13:02

DottorMalatesta ha scritto:...o Alfredo che affetta le verdure e prepara la pizza (eh già, regista mio bello, in Francia si mangia l’omelette!)...


Poteva sempre essere intento a cucinare una splendida quiche :mrgreen:

A parte gli scherzi, ottima recensione dottore. Mi trovo d'accordo su tutto 8)

Salut!
Filippo

PS: ti aspettavo al varco : Chessygrin :
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Re: La traviata - Teatro alla Scala 2013

Messaggioda vivelaboheme » lun 23 dic 2013, 17:07

Io non sono d'accordo su tutto - sono favorevole alla direzione di Gatti IN TOTO e senza le riserve mosse da Malatesta, ma non importa, va benissimo che gusti e sensibilità siano differenziate e mi complimento con Malatesta, per come ha argomentato e perché lo ha fatto. Quel che mi fa cascare le... è quando leggo o ascolto commenti del tipo "è troppo lento", "è troppo veloce" o simili, buttati lì in astratto e disgiunti dalla pur minima disponibilità a verificare il perché di un colore, di un fraseggio, di una scelta di tempo. Idem dicasi per quanto riguarda le scelte di regia: dissentire o approvare è sempre lecito, ma fanno cadere, per l'appunto, i... certe reazioni aprioristiche quanto grossolane. Quelli che si scandalizzano: di che? (e il peggio è che ci casca, anzi ci marcia alla grande, fomentando strumentalmente un tipo d'ascolto deteriore, certa stampaccia cartacea o cartaccia stampata che dir si voglia, blasonata quanto insipiente).


marco vizzardelli
Ultima modifica di vivelaboheme il lun 23 dic 2013, 17:18, modificato 2 volte in totale.
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Re: La traviata - Teatro alla Scala 2013

Messaggioda pbagnoli » lun 23 dic 2013, 17:12

Il denso commento di Francesco è in home!
"Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!"
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Re: La traviata - Teatro alla Scala 2013

Messaggioda VGobbi » lun 23 dic 2013, 23:14

Grandissimo Francesco! Recensione splendida.
Nemmeno noi siamo d'accordo con il gobbo, ma il gobbo è essenziale! Guai se non ci fosse!
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Re: La traviata - Teatro alla Scala 2013

Messaggioda DottorMalatesta » lun 23 dic 2013, 23:41

Grazie! E scusate se mi sono lasciato prendere la mano e ho scritto un poema :oops:
Ma si è trattato di uno spettacolo interessantissimo soprattutto per quanto riguarda la direzione, che ha davvero dato moltissimi spunti di riflessione. E questo è il segno di ogni direzione che, indipendentemente dal giudizio finale, non può che definirsi grande.
Grazie ancora.

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Re: La traviata - Teatro alla Scala 2013

Messaggioda michele cesareo » mar 24 dic 2013, 1:34

Mi ha colpito particolarmente, facendomi capire quanto non avevo capito in prima visione, quello che tu hai espresso con straordinaria ed efficace sintesi :.... "" quella rabbia di lei che esplode violenta, assoluta. A lei, sola ad aver amato, non resta altro che una stanza spoglia e fredda in cui morire . Sola . """....
Mi hai offerto, con questa tua esposizione, una diversa chiave di lettura , commovente e , quindi, convincente anche su di un piano più estensivo dell'intento registico.
Sulla parte musicale concordo in pieno.
Grazie !
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Re: La traviata - Teatro alla Scala 2013

Messaggioda VGobbi » mar 24 dic 2013, 15:16

Peccato che la direzione di Gatti, direttore che stimo moltissimo, in tv facesse presagire una Traviata fiacca.
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Re: La traviata - Teatro alla Scala 2013

Messaggioda michele cesareo » mar 24 dic 2013, 17:48

Tornando un momento sull'editoriale di Pietro, per quanto riguarda la direzione di Gatti, ho fatto questa piccola riflessione :
ho notato, in corso d'opera, alcune - sia pur sporadiche - diciamo così...." aritmie " che, però, erano sempre coincidenti con movimenti scenici diciamo così " complicati ", richiesti evidentemente dalla regia.
Ogni volta che mi capita, perché questo accade quasi sempre con le regie diciamo così " innovative " , mi viene in mente l'invettiva di Filippo al Grande Inquisitore in quel duetto terrificante e magnifico del Don Carlo : ""Dunque il Trono piegar dovrà sempre all'Altare ....??!! "" ( Ghiaurov/ Talvela ).
Cui prodest ?
E' una riflessione sottomessa, per carità, fuori da ogni polemica.
Michele
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