L'dea di fondo di questo Tristano è abbastanza evidente. McVicar si propone di spogliare l'opera da tutte le implicazioni simboliche e filosofiche per raccontare una storia d'amore travolgente, epica e avversata dal fato. Una sorta di Paolo e Francesca al quadrato oppure un Romeo e Giulietta al cubo. La pochezza della trovata è pari alla sua ingenuità. Il tipo d'amore declinato da Wagner nel Tristano è quanto di più cervellotico, noioso e antiempatico esista. A Wagner premeva raccontare altro. Voleva dimostrare, come in un circolo di quinte, che i due estremi, desiderio e rinuncia, possono toccarsi e diventare tutt'uno. Solo il superamento dell'amore "tradizionale" (quello su cui si basa genericamente McVicar) porta all'appagamento; in pratica- dice Wagner- per amare davvero devi rinunciare e per rinunciare devi morire. Altrimenti sei condannato alla pena eterna della bramosia inappagata.
Capite bene quanto siamo lontani dalle zuccherose melasse del fantasy medioevale in cui McVicar sembra racchiudere, con pizziano mestiere, la stasi tristaniana. Nebbie alla Avalon, luna rossa gigantesca sulla brughiera, barcona stilizzata, guerrieri ninja muscolosi e aitianti (non capisci però perchè il loro capo, Tristan, sia ciccione e sfatto), Kurvenald cagnone fedele (come cantante cagnone e basta), Brangania tipo Terra trema di Visconti con veletta con cui si copra il capo al ferimento di Tristano (hanno ammazzato compare Tristano!), Isotta che si torce i polsi e gira come una pantera in gabbia urlazzando Rache e Tod. Nel resto, tutti fermi impalati a snocciolare il magarosario tristaniano con un terz'atto dove, così dicono, i capricci del tenore nel non voler cantar sdraiato, hanno fatto produrre allo scocciato McVicar una sorta di sedia gestatoria dove Seiffert siede appoggiando il capo ad una mano in atteggiamento pensoso e doloroso. Ridicolo tutto. Solo i viennesi ormai decomposti dal caldo in sala (36 gradi fuori e in sala duemila persone senza aria condizionata per quattro ore e passa) potevano muggire dei bravo forsennati al nostro giovane eroe della regia. Io mi chiedevo solo dove fosse finito il magico autore del Giulio Cesare, dei Meistersinger, delle Nozze e dell'Adriana. Forse era Pier'Alli in uno dei suoi più riusciti travestimenti.
Nina Stemme si muove nella parte di Isotta come un topo nel formaggio. Conosce il ruolo anche capovolto (ho usato ruolo e parte in maniera interscambiabile così sicuramente Mattioli prenderà la parola) e nel Liebestod ha una dimensione cosi immensamente ultraumana da giustificare una così sudata e annoiata attesa. Anche lei però, pur nello sciornare di superlativi, mi è sembrata un po' inespressiva. Una frase dietro l'altra, magnificamente cantate ma non altrettanto magnificamente dette. Basta solo ascoltare frammenti della Meier per non parlare della Modl per avere chiari i termini della questione.
Seiffert, ovviamente, è a fine corsa. E' un Tristano di sessant'anni e passa. E si sente. C'è da dire però che non saprei, attualmente, chi potrebbe far di meglio. Nella banda dei vari cassoni come Dean-Smith, Lehman, Gould, Andersen, Botha, lui rimane il migliore.
Brangania era Janina Baechle. Dico solo questo. Brangania ha solo una cosa difficile in tutta l'opera: il "Welcher Wahn!" dopo la sfuriata di Isolde nel primo atto dove la voce picchia sempre in zona di passaggio, ci vogliono dei bei legati e un bel senso del ritmo. Ora, non so chi l'abbia scritturata, ma la Baechle ha proprio un "buoco" evidente nella zona incriminata su cui poggia tutto il pezzo. Non vi dico gli stridii e le crepe. Ci voleva molto, quando fai un'audizione per Brangania, a fargli fare quel pezzo? Scommetto che invece gli hanno fatto fare l'invocazione del secondo atto dove anche i mezzo più sfiatatii ci cavano i piedi. Transeat.
Bravissimo Milling. E' la prima volta in cui mi sono diverato la tirate di Marke senza cedere a metà e cominciare a pensare ai fatti miei. Non capisco perchè questo gigante (in tutti sensi) non sia ancora riconosciuto per tutti i suoi straordinari meriti.
Direzione al calor bianco (e con forti asprezze e baccani) di Welser Most che, stando alle tabelle incise su marmo nel foyer, si qualifica il più veloce interprete del Tristan mai salito sul podio della Staatsoper. 222 minuti contro i 230 di Barenboim. Ma quello che ce l'ha più lungo è Thielemann con la bellezza di 245.
Saluti bollenti
WSM