Nel pomeriggio-sera del 4 agosto, ho assistito a Salisburgo a due spettacoli (è la prima "doppia" della mia vita, ma l'occasione era ghiotta e ho prenotato per tempo). Alle 15 Il Flauto Magico su direzione di Harnoncourt e regia J.D. Herzog, alle 20 La Boheme su direzione di Daniele Gatti e regia di amiano Michieletto.
Il minimo che si possa dire, di entrambi, è che si tratta di due allestimenti di grande intensità, intellettuale ed "emotiva", sia scenica che musicale.
Comincio da Puccini.
La Boheme di Daniele Gatti "è" Boheme alla ennesima potenza. Il direttore milanese, com'è suo costume, mette l'opera pucciniana al microscopio di una concertazione capillare, ottenendo dai Wiener (memorabili, particolarmente nell'ultimo atto) un suono trasparentissimo nel quale non uno dei particolari della straordinaria orchestrazione va perduto. A questo lavoro di analisi fa riscontro la sintesi. Gatti coglie tutta la poesia, e lo struggimento di Boheme. E' un dolore di giovani, dunque estremo (ecco perché l'uso estremo, in realtà sapientissimo, del "rubato"). E, in particolare, in perfetta coincidenza con una (a mio parere) straordinaria Anna Netrebko e con lo spettacolo di Michieletto, "centra" musicalmente un personaggio Mimì struggente, anzi lancinante, la cui autoconsunzione nel corso dell'opera lascia sconvolti In particolare, ovviamente, in un finale di straordinaria potenza, musicale e scenica, nel quale da "Sono andati" (cantato da Mimì-Netrebko alzandosi improvvisamente in piedi dal mucchio di cenci che le fa da materasso) in poi, lo spegnimento di Mimì è una lenta, sempre più rarefatta, cerimonia funebre, l'autodistruzione d'una creatura (concetto quanto mai pucciniaano) dalla quale (potrei citare, oltre alla mia, alcune reazioni di pubblico, accanto, davanti e dietro a me) dalla quale si esce sconvolti.
Michieletto racconta la vicenda d'una gioventù parigina (Parigi è dappertutto, in questo spettacolo, nelle mappe nelle finestre, nei cartelli stradali) stravolta da un modno che ha sempre dimensione diversa dalla loro. Il che è scenicamente ottenuto con un incredibile effetto-Lilliput, volta volta rovesciato. In interno, nella soffitta non-ammobiliata da povere cose (cuscini, materassi, qualche oggetto) i quattro ragazzi più Mimì sono piccolissimi rispetto all'immensa finestra ghiacciata (l'inverno e il Natale sono un altro segno distintivo - appropriatissimo - di questo spettacolo). In esterno, nel secondo quadro, Parigi, la sua mappa, le case sono... giocattoli, rispetto ai personaggi. E il secondo quadro "by" Michieletto e Gatti, più intera compagnia e coro, è interessantissimo in un'intuizione esattissima (che crediamo sia stata prima di tutto del regista): è un atto di bambini e di cose da bambini - il Natale, i giocattoli, le renne-Babbo Natale, la cuffietta (che qui diventa un cappelluccio )e di musiche da bambini. Lo è, musicalmente, l'arrivo di Parpignol (l'uomo ragno: geniale), lo è la marcia conclusiva (la banda che passa sembra composta da giocattoli luminosi). Forse alternativo a questo è solo il valzer di Musetta, che è molto elegantemente caratterizzata rispetto alla sciroccata compagnia di Mimì e dei suoi nuovi amici. Michieletto "legge" a suo modo la vicenda di Boheme, ma non la altera: c'è tutta, e c'è nella progressiva presa di coscienza dei ragazzi e di Mimì: lei non può che morire, loro "crescono" in un dolore esistenziale per un mondo che non è mai a loro misura, ed è un dolore ed un'amara consapevolezza che si sviluppa di quadro in quadro, nello scorrere della vita. Il terzo quadro - la "barriera, la neve - li immerge in un inverno spropositato ; ci rivedremo alla stagion dei fior, sì... ma come? La baruffa iniziale del quarto quadro ha pochissimo di gioioso: è l'arruffata voglia di felicità di quattro ragazzi in qualche modo "disadattati" (brutta cosa la povertà , certo, ma non solo: peggio è non riuscire a vivere" nel mondo", nella propria città): e spaventosamente bisognosi d'amore. Mimì è stata - per Rodolfo, ma per tutti - forse l'ultima speranza. La sua consunzione è la loro. Non sappiamo che ne sarà di loro. E c'è da tremare... Spettacolo stupendo, duro e tenerissimo, amaro e "romantico" ("è", ripetiamo, Boheme all'ennesima potenza, Michieletto è, in realtà, rispettosissimo) nella lettura struggente di Gatti e nella scelta tematica e scenica del regista.
Ero presente il 4 agosto alla replica in cui si è verificata la singolare defezione di Beczala, recitante in scene ma sostituito "in voce", a lato del palcoscenico, da Jonas Kaufmann, pescato al volo. Spero ci siano altre occasioni più compiute di ascoltare il Rodolfo di Kaufmann. Qui ha compiuto un miracolo, se si pensa che è stato "pescato" a cena - quindi praticamente senza prova - dopo che la defezione "vocale" di Beczala ha preso corpo... quasi all'orario d'inizio, con pubblico (Merkel compresa) già in sala e orchestra in buca. Gli annunci di Pereira (bravissimo, quasi diabolico, nel gestire la situazione con il pubblico, che infatti ha capito) Una quarantina di minuti per l'arrivo di Kaufmann, poi l'opera: che qualche disagio ci sia stato è niente rispetto al miracolo tecnico compiuto insieme da Kaufmann (ovviamente salutato da ovazioni) e Gatti. Anche in situazione d'emergenza, alcune sfumature colte da Kaufmann (la ricerca della chiave al primo quadro, tutto il finale nel quarto) erano da brivido. Quanto a Gatti, la splendida concertazione non ha ceduto di niente per la situazione d'emergenza, segno d'una padronanza anche tecnica sbalorditiva. Di tutto il resto della compagnia darei la definizione di funzionale a ciò che Gatti e Michieletto richiedono. Anna Netrebko è molto di più. A parte il ben noto "carisma" scenico - per cui se c'è lei in scena lo sguardo s'incolla - c'è la voce. Una Mimì di timbro oggi così "scuro", sontuoso, parrebbe fin "esagerata" per la parte. Ma Netrebko è una fuoriclasse, e proprio di questa caratteristica attualòe della sua voce fa tesoro, nel disegnare una Mimì che si autospegne (il suo ultimo ultimo atto è di una ricchezza sbalorditiva, dall'escursione dinamica del "sono andati" allo spegnimento finale). Molti hanno parlato di... Amy Winehouse per dire di questa concezione del personaggio. Sia o non sia stato il modello, è una Mimì che non si dimentica.
marco vizzardelli