Ninci ha scritto:il superamento continuo che s'invera nella realizzazione finale della scopo della storia, in una sorta di fine della storia. Ora, lasciando perdere questo paradiso finale, ciò che si deduce dalle teorizzazioni di Matteo Marazzi è esattamente questo: una continua ricerca del nuovo che si basa su un'idea della storia dell'interpretazione musicale che è quanto di più vecchio si possa immaginare.
Sono allibito, caro Ninci, che l’impegno di difendere Muti da tutto e tutti ti abbia condotto a un simile, clamoroso (e anche faticosissimo, scusami se lo dico) fraintendimento di quanto avevo scritto.
Io? Io che parlo di paradisi finali? Io allineato a Hegel?
Per chiarezza tua, ti preciso che io parlo (e l’ho scritto) semplicemente di “adattamento” alla storia, agli sviluppi della società, in base a un processo evolutivo in tutto e per tutto darwiniano. Che è esattamente il contrario del "fine della Storia" che tu hai voluto a tutti costi leggervi.
Io constato l’incessante mutamento delle condizioni storiche (il Zeitgeist) che presuppone un “adattamento” ad esso dei linguaggi!
In altri post ho anche specificato (ti invito a leggerli) che il ritorno al passato è lecitissimo, ma quando vi sia un mutamento delle condizioni storiche che lo richiedano.
Quindi, ti prego, lasciamo perdere questi sogni hegeliani, che nulla hanno a che fare con quanto si è detto e si sta dicendo.
Ninci ha scritto:Tu ti definisci in un altro luogo di questo sito un antimutiano. Ecco, io non mi definisco per antitesi a nessuno e a nulla.
Anche qui, ti inviterei a leggere meglio i post, prima di contestarli.
Io non mi sono definitio anti-mutiano in relazione alla sua personalità interpretativa.
Al massimo la contesto (proprio come fai tu parlando di Minkoski e come credo che tutti abbiano il diritto di fare); mi sono definito anti-mutiano solo in riferimento al suo ruolo di ex (FORTUNAMENTE EX) direttore artistico della Scala, ruolo per il quale - nonostante l'oppressivo tentativo di tacitare e schiacciare ogni voce dissenziente e la vergognosa pubblicisitica di cui per vent'anni ha circondato il suo marchio - è comunque stato cacciato, ma che dico cacciato, “defenestrato” con infamia, come nessun precedente direttore della Scala è stato... dimostrando che il livello di esasperazione prodotto nel teatro e nel pubblico era ormai andato ogni oltre ragionevole limite. Ero e sono anti-mutiano (in riferimento al suo ruolo di sommo dictator) perché non ammettevo e non ammetto che la Scala di Milano diventasse la barzelletta del mondo, un costosissimo giocattolo offerto ai limitati orizzonti di un uomo assolutamente privo della vastità culturale e …senso delle proporzioni necessarie a questo ruolo.
Il fatto che anche Lissner si sia rivelato incapace per questo compito, non assolve, né assolverà mai Muti, per il ventennio di crisi e provincia imposto al nostro principale teatro, con i nostri soldi.
Quindi, caro Ninci, non tentare – ti prego – di far passare la mia opposizione al “metodo Muti-dictator-Scalae” come un pregiudizio nei confronti del Muti-intepreprete. E’ semplicemente falso, come può osservare chiunque ci legga.
Per quanto riguarda il Muti interprete, le mie perplessità (che non sono un pregiudizio) sono il frutto di attenti e circostanziati ascolti.
Se tali perplessità non ti convincono, non sarebbe male che ad esse rispondessi, adducendo ragioni che fossero un minimo più convincenti che non la “moralina” sul fatto che “sono tutti bravi: Ozawa, Abbado, Muti”, che non bisogna essere “anti-“ e che Minkowski non fa i miracoli.
Perché non hai piuttosto circostanziato le ragioni per cui il Demofoonte che ha fatto ridere i parigini e annoiato i ravennati sarebbe una grande interpretazione? Spero che non sia perché il pregiudizio che tu disperatamente cerchi di vedere in me, è piuttosto il tuo problema: un pregiduzio al contario, il pregiudizio “pro”.
Non mi spiego altrimenti la ragione di ballonzolare tutto soddisfatto su di un termine (“miracoloso”) che tra i suoi ambiti semantici nella lingua italiana ha anche quello figurato che ho usato io, di “molto bello”, o “molto rivelatore”. E’ un ambito autorizzato dai vocabolari, tanto che non si può nemmeno più qualificare la mia espressione come “iperbole”, ma come un uso lecito e condiviso di un termine. Il tuo tentativo quindi di farmi passare per uno che celebra rituali segreti, nelle catacombe, di fronte al mio Dio Minkowski, solo perché ho detto che la sua tecnica è “miracolosa” è di un’ingenuità francamente toccante!
Inviterei a tornare a toni ed argomenti più seri.
Chiariti questi punti, veniamo al Zeitgeist…
Ninci ha scritto:Tu dici che lo spirito del tempo si forma dal basso, come prevalenza di una linea egemonica su altre mille sintesi che sono possibili all'interno di un determinato periodo. ... Ora, io confesso di non essere tanto sicuro di conoscere questa autorità così insindacabile, gelosa ed esclusiva. Avere una simile sicurezza significa sapere dove va la storia, essere sicuri di distinguere i vicoli ciechi dalle autostrade a sei corsie. Il che, perdonami se te lo dico, è una bella presunzione.
Presunzione?
Sì certo; presunzione è tutto il pensiero umano, che si fonda su questa stessa ambizione di sintesi.
Presunzione ben più grande è stata quella dei biologi, che hanno pensato di classificare i miliardi di specie animali e vegetali, sistematizzarne l’infinita complessità in classi e ordini.
E non credere sia stato facile: ci vuole solo il genio umano per cogliere quel particolare biologico o anatomico o genetico che distingue un “vegetale” da un “animale” (definizioni non presenti in natura, ma arbitrariamente fissate dall’uomo) o stabilire che la colonna vertebrale poteva essere una chiave per distinguere in due sottoinsiemi diversi tutti gli animali della terra. Era difficile trovare la via per ripartire in cinque classi (con caratteristiche più o meno omogenee) tutti i vertebrati.
Era molti più facile alzare gli occhi al Cielo e affermare che in fondo ogni essere vivente è unico, e che non esiste un cane uguale a un altro cane e che il tentativo di etichettare e mettere ordine fra le infinite creature di Dio era una grande “presunzione”.
Però vedi per “presuntuoso” o arbitrario che sia, questo è il pensiero umano: un pensiero in grado di operare “sintesi” ed è su questo che, ti piaccia o meno, si fonda la nostra civiltà.
Lo sanno tutti, anche i rivoluzionari fisici della Meccanica Quantistica, che la riduzione della complessità del reale a grandi sintesi è un’operazione comunque arbitraria, una sovrastruttura del pensiero umano, ma l’uomo è così che esprime il suo sapere, che si rapporta all’Universo; sia nella definizione delle specie animali, sia nella distinzione – in linguistica – delle varie parti del discorso o della forme sintattico-grammaticali (formando strutture e regole complicatissime a cui i primi parlanti, ossia gli stessi inventori delle lingue, non avevano sicuramente mai pensato).
L’unico modo per reagire alle varie sintesi, caro Ninci, è quello di dimostrare che sono fondate su principi sbagliati (e quindi proporne di diverse, cosa che non mi pare tu abbia ancora fatto). Al contrario negare al metodo la sua efficacia, accusarlo di “presunzione”, è un atteggiamento che giudicherei comprensibile solo nel caso della “rana” (o dei suoi estimatori), offesa dal fatto di non essere stata inserita nella nobile classe dei mammiferi e che non trova di meglio che negare tutto…
Ninci ha scritto:Per stare soltanto al caso dell'interpretazione musicale, sono compresenti in un'epoca voci così discordanti ed ugualmente valide che è impossibile imporre loro la differenza fra il vecchio ed il nuovo.
E questo, permettimi, è metodologicamente oltre che logicamente falso!
La complessità non è affatto prova dell’impossibilità di una sintesi: anzi è la ragione stessa per cui l’uomo ha bisogno di sintetizzare.
Anche, come nel nostro caso, per tentare di distinguere fenomeni di conservazione da fenomeni di rinnovamento, nonché le tensioni (storiche, sociali e culturali che ne sono alla base).
Vuoi un esempio facile, facile? Prendiamo l’Appendix Probi.
Per chi non lo conoscesse è un interessante testo “scolastico” del quarto secolo dopo Cristo, in cui un insegnante metteva in guardia i suoi allievi dall’usare termini scorretti; esso ci dimostra che, all’epoca in cui fu scritta, per indicare la parola “orecchio” vi era la compresenza fra i parlanti di “auris” (per i colti) e “oricla” (per gli altri). Bene: non occorre essere studiosi linguistica storica per capire quale dei due termini era il vecchio e quale era il nuovo.
Non tutti i casi sono così facili, ne convengo, e nondimeno questa è la prova che le tensioni (di mantenimento e di adattamento alle evoluzioni storiche) esistono e che chiedono solo di essere colte.
Ninci ha scritto: E' invece la riuscita estetica di un'esperienza, il fatto che quest'esperienza parli a un gran numero di persone (da lì bisogna sempre partire) a dirci qualcosa di importante sulla storia, a farci capire che la molteplicità di prospettive è sempre dietro l'angolo.
Ma non è vero, non se parliamo di dialettica “vecchio”-“nuovo” (che se non sbaglio è ciò di cui stiamo parlando): il fatto che il termine Auris fosse usato da un grandissimo numero di persone, i colti dell’epoca di Probo, è un dato interessante, ma non toglie che l’uso di quel termine indichi una volontà “conservativa” rispetto ad Oricla e che quest’ultimo non fosse una “stranezza” ma il frutto di una serie di tendenze (foniche e semantiche) che trascendevano il termine, di cui anzi il termine era solo espressione.
E’ l’identificazione di quelle tendenze il centro del discorso, non il diritto (difeso stranamente anche da Tucidide) a opporvisi da parte del singolo individuo.
Ninci ha scritto: una continua ricerca del nuovo che si basa su un'idea della storia dell'interpretazione musicale che è quanto di più vecchio si possa immaginare.
A parte il fatto che io, come ho ampiamente dimostrato, non ho affatto l’idea della Storia che tu disperatamente cerchi di affibbiarmi, mi vorresti spiegare per cortesia come fai TU a stabilire che questo principio sia “quanto di più vecchio si possa immaginare”?
Ma non eri tu a sostenere che accusare di “vecchio” qualcosa (sia pure un pensiero hegeliano che nessuno ha mai espresso) è segno di presunzione?
Se autorizzi Muti a dirigere Gluck come si faceva vent’anni fa (perché è “presuntuoso” definire cosa è vecchio e cosa è nuovo), in base a cosa ti permetti di accusare di “vecchiezza” una prospettiva storicistica come quella del finalismo idealista?
Non è che la difesa di Muti a oltranza ti porta a sfiorare posizioni di incoerenza?
Saluti
Matteo Marazzi