Prendiamone atto: la raffinata ambiguità del Comte Ory sembra davvero non interessare minimamente i registi chiamati ad inscenare quest´opera, che viene quindi risolta esclusivamente in chiave farsesca. Così hanno fatto Moshe Leiser e Patrice Caurier a Zurigo, così ha fatto Pelly a Lione e Milano.
Strano caso, quello di Laurent Pelly. Ha realizzato alcune delle più belle regie d´opera degli ultimi anni, autentici giocattoli fatti di ritmo, colore e fantasia: la “trilogia” delle operette di Offenbach, l´Hänsel und Gretel di Humperdinck, la Platée di Rameau. Poi, la genialità nell´affrontare il genere comica è sembrata via via inaridirsi: la tanto celebre e celebrata Fille du régiment nonostante talento (verrebbe quasi da dire “ginnico”) della sublime Dessay abbondava di gag e trovate tanto gratuite quanto irritanti; il Robert le diable, sebbene fascinoso per la scelta di rifarsi ad elementi visivi della “cultura pop” (i cartoni animati, i fumetti…), si fermava alla superficie del problema “grand opéra”. Anche questo Comte Ory, nel complesso, delude. Scegliendo un´ambientazione realistica della vicenda (nonostante nel programma di sala proclami di aver voluto dare un´impronta onirica, mah…
), Pelly si lega le mani da solo, rendendo impossibile l´accesso a quei mondi visionari, fantastici e coloratissimi che avevano caratterizzato le sue riuscite maggiori nel genere comico. La vicenda invece si inaridisce in gag e caccole (Ory come un santone new-age indiano e “superdotato”, venerato e idolatrato da casalinghe sessualmente frustrate, e via così…).
Il secondo atto, almeno per quanto riguarda il “ritmo”, scorre meglio, anche grazie ad un´intelligente scenografia a “scorrimento” che sviluppa in orizzontale le varie stanze dell´appartamento della Contessa (un espediente quasi cinematografico che accentua il taglio realistico dell´ambientazione).
Il coro delle suore ubriache è naturalmente ben riuscito (stiamo pur sempre parlando di Pelly!), non così il coretto delle dame all´inizio del primo atto (loro che entrano, cantano, ed escono, rientrano, ricantano e riescono, con graziosi movimenti della testolina a ritmo di musica che ricorda molto il balletto “con la testa fai flic flac”, tormentone estivo di quest´anno, almeno tra i più piccoli, Miriam compresa
).
Il terzetto (anzi, la sua seconda parte) si trasforma, con buona pace della raffinata ambiguità di cui sopra, in un´orgia a tre con tutti consenzienti e consapevoli di chi è chi. Almeno copulano a ritmo di musica!
Diamo a Pelly una seconda possibilitá, magari in un Rossini più “comique absolu” (e meno “comique significatif”) come l´Italiana in Algeri.
Del cast molto buono Colin Lee (nella parte, impossibile, del Conte), voce sicuramente molto piú corposa di quella di Florez, sebbene legnosa nelle agilità (e qui sì che si rimpiange Florez
), ma sicura negli acuti (potrebbe essere un buon Pollione) e che non scade mai in caccole vocali.
La Kurzak, ingiustamente contestata da isolati difensori del belcanto, parte malino (con acuto finale dell´aria ribassato) e agilità appannate, ma migliora nel corso della serata con alcune buone intuizioni nel terzo atto. Ottima la Lo Monaco e Degout (emblema di cosa sia il canto francese!) e buono anche Tagliavini.
Renzetti massacra Rossini, con sonorità pesanti, pestate, morchiose costringendo il coro a urlacchiare stile bersaglieri all´assalto. Pessimo.
E infine, e questo è quello che conta, un VittorioGobbi in grandissima forma!
DM