MatMarazzi ha scritto:In realtà, la Stemme - che è una delle massime artiste del nostro tempo, e che si è già collocata fra le maggiori interpreti d'opera della storia - ha cantato l'Abscheulicher fin troppo bene, considerato che la sua natura vocale e tecnica (come quella di tutte le wagneriane che l'hanno preceduta in questo ruolo) non è adatta al vocalismo rivoluzionario di Beethoven.
Sulle caratteristiche della vocalità di Leonore abbiamo parlato a lungo in altri thread; è inutile parlarne ancora qui.
A me pareva di sentire una Flagstad: ossia una cantante a disagio, che cerca di usare i propri pregi in una pagina che non glielo consente.
Conoscendo il valore della Stemme come raffinatissima declamatrice mi sono persino sorpreso del vigore con cui si disimpegnava nei passi agili e nell'abilità con cui riusciva a destreggiarsi in alto. Ma questo non è il suo repertorio.
Non sono del tutto d'accordo.
La Flagstad era una "belcantista wagneriana", del tutto diversa dal suo compagno di palcoscenico Melchior, viceversa declamatore scultoreo - magari monotono, non dico di no, ma molto diverso come impostazione generale. Non a caso la Sutherland la considera un modello di emissione, paragonandola al suono che lei stessa perseguiva ed otteneva.
La Flagstad (e con lei la Nilsson) si pone fra le Leonore di un filone diverso da quello della Stemme: il suo "Abscheulicher!", pur con qualche problema nei passi d'agilità, ha comunque la svettante squillantezza di una belcantista. La Stemme è più, dal mio punto di vista, sul versante della Moedl.
La quale Stemme non è assolutamente una straussiana da "effettoni"; non vuole, nè può cantare queste pagine come Abbado le dirige.
Come scrive Tuc, lei rifugge la retorica, il facile, il "bel suono fine a sè stesso" ed è invece penetrante come un fioretto: arriva al nocciolo dell'inquietudine, vi scava dentro con compostezza severa e spietata vocazione analitica, ne traduce i brividi con colori rarefatti, sobri e pregnanti.
Il tutto con grave scorno di chi ascolta questa musica alla ricerca di frasoni, legatoni, pianissimoni, acutoni e vagheggia i bei tempi in cui la bravura si misurava in decibels.
La Stemme è una poetessa femminile e severa; punta, come una Borkh, all'essenza più spoglia, severa, dilavata dell'emozione.
Persino i silenzi con lei assumono i connotati di una ricerca.
Perfetto!
Qui concordo in toto: anzi, devo dire che il paragone con la Borkh - di cui riascoltavo oggi l'Elektra (e resto tutte le volte così: fin dal suo primo "Allein") - è venuto in mente anche a me, non appena ha aperto bocca a Ferrara. Anche il timbro, con la sua carnosa brunitura, me la ricorda un po'.
Secondo me, mi correggerà l'interessato, la delusione di Tuc deriva dal fatto che Abbado non ha minimamente colto il valore e le caratteristiche di questa singolarissima artista, la cui verità sonora ndava cercata nel peso emozionale di ogni attacco, nella rarefazione dell'acquarello, persino nelle sfumature della pronuncia, nel respiro dell'eloquio.
Ha diretto come se la Stemme fosse un straussiana da effettistica sonora (come alcune strepitose vocaliste con cui ha già eseguito il ciclo).
Forse, non saprei...
E' però vero che ho comunque apprezzato, in Abbado, certi atteggiamenti diversi rispetto a quando ha affrontato i VLL con cantanti di altra estrazione (quando a volte non riesci a capire se la bacchetta l'abbia in mano lui o lei ). A Ferrara era molto rigoroso, devo dire.