I rischi di certe interpretazioni

A seguito di alcuni scambi di vedute su qualche interprete d'opera, vi rendio partecipi di un mio dubbio.
La mia riflessione parte dalla questione sulla genericità di taluni interpreti, e sulla genialità, diversità, innovazione di altri.
Per non dilungarmi, comincio con gli esempi.
Prendiamo il caso di Jon Vickers: un tenore straordinario, un grandissimo interprete, capace di dare un volto ed una personalità nuovi a diversi personaggi da lui affrontati. Tralasciando ogni questione sull'aspetto tecnico, e concentrandomi sull'intepretazione, noto che Vickers aveva la tendenza a "problematizzare" i personaggi che cantava. Difficile immaginare un Infante di Spagna più controverso, smarrito e complessato di quello del 58 di Vickers, così come il suo celebratissimo Otello resta un paradigma di introspezione psicologica e di lacerazione via via più pronunciata. E gli esempi potrebbero essere molteplici.
Però, c'è un "però"!
Ammesso e non concesso che tutti i ruoli cantati da Vickers si giovino di un'interpretazione così tormentata e scavata, mi chiedo: e tutti gli altri? In altre parole: tutti quegli altri tenori che hanno affrontato o affrontano ruoli cantati da Vickers, non partono forse svantaggiati, dovendo comunque fare i conti con il suo modo di affrontare e risolvere i personaggi?
E proseguendo... siamo poi così sicuri che l'iper-problematizzazione che Vickers fa dei suoi personaggi sia davvero necessaria?
Per fare un altro esempio e non rinunciare ad un po' di autoreferenzialità, pongo il caso dell'Alcina della Fleming. Al di là dei gusti, della vocalità e delle questioni tecniche, ho cercato nella mia recensione di indagare i motivi del successo della sua personoficazione del ruolo della maga handeliana, spiegando i motivi che credo siano alla base della sua scelta interpretativa.
Tutto bene. Ma... ricordiamoci che siamo di fronte ad un FALSO.
Insomma, Handel NON aveva in mente un'Alcina così!
Quella è una creazione della Fleming, che buona parte del pubblico ha assai apprezzato e che è rimasta nel cuore di molti. Ma sempre di falso si tratta.
E se io pretendessi di ritrovare il divismo hollywoodiano della Fleming in TUTTE le altre Alcina della storia, sarei ingiusto nei loro confronti. Loro fanno bene a NON fare come la Fleming.
E tornando a Vickers... il suo Don Carlo è complessato e lacerato, ma... non è che per caso si tratti di una sorta di falso anche questo? E' davvero così, Don Carlo, infante di Spagna? O non è semplicemente una GIGANTESCA, SCONVOLGENTE, SOVRUMANA interpretazione di Jon Vickers, ma pur sempre personale e discutibile?
La riflessione mi sorge leggendo i post di Matteo, Somerset e Pietro che lamentano un Bergonzi troppo ragioniere della musica, ed auspicando per Riccardo un fraseggio tormentato e lacerato, proprio come Vickers. Ora... è davvero necessario lo scavo psicologico lacerato e problematico di Jon Vickers per Riccardo, o si tratta piuttosto di un'altra magistrale interpretazione del tenore canadese, ma pur sempre sua e non obbligatoria?
Insomma, facendo un esempio paradossale: non ricordo se Vittorio Gassman o Carmelo Bene lesse con enfasi teatrale e voce impostata la lista della spesa, facendo sembrare le zucchine e la pasta concetti sconvolgenti e lacerazioni psicologiche enormi... Ma ovviamente, era un eccesso. Non mi si venga a dire che, solo perché abbiamo sentito come può essere emozionante la lista della spesa letta in quel modo, adesso ogni lettura diversa è sbagliata... Suvvia... la lista della spesa, lista della spesa è e lista della spesa rimane! Quella di Gassman o Bene è una meravigliosa impostura.
E Riccardo, Riccardo è e Riccardo rimane... anche se Vickers ce lo ha fatto sentire alla sua maniera!
Salutoni
La mia riflessione parte dalla questione sulla genericità di taluni interpreti, e sulla genialità, diversità, innovazione di altri.
Per non dilungarmi, comincio con gli esempi.
Prendiamo il caso di Jon Vickers: un tenore straordinario, un grandissimo interprete, capace di dare un volto ed una personalità nuovi a diversi personaggi da lui affrontati. Tralasciando ogni questione sull'aspetto tecnico, e concentrandomi sull'intepretazione, noto che Vickers aveva la tendenza a "problematizzare" i personaggi che cantava. Difficile immaginare un Infante di Spagna più controverso, smarrito e complessato di quello del 58 di Vickers, così come il suo celebratissimo Otello resta un paradigma di introspezione psicologica e di lacerazione via via più pronunciata. E gli esempi potrebbero essere molteplici.
Però, c'è un "però"!

Ammesso e non concesso che tutti i ruoli cantati da Vickers si giovino di un'interpretazione così tormentata e scavata, mi chiedo: e tutti gli altri? In altre parole: tutti quegli altri tenori che hanno affrontato o affrontano ruoli cantati da Vickers, non partono forse svantaggiati, dovendo comunque fare i conti con il suo modo di affrontare e risolvere i personaggi?
E proseguendo... siamo poi così sicuri che l'iper-problematizzazione che Vickers fa dei suoi personaggi sia davvero necessaria?
Per fare un altro esempio e non rinunciare ad un po' di autoreferenzialità, pongo il caso dell'Alcina della Fleming. Al di là dei gusti, della vocalità e delle questioni tecniche, ho cercato nella mia recensione di indagare i motivi del successo della sua personoficazione del ruolo della maga handeliana, spiegando i motivi che credo siano alla base della sua scelta interpretativa.
Tutto bene. Ma... ricordiamoci che siamo di fronte ad un FALSO.

Insomma, Handel NON aveva in mente un'Alcina così!

E se io pretendessi di ritrovare il divismo hollywoodiano della Fleming in TUTTE le altre Alcina della storia, sarei ingiusto nei loro confronti. Loro fanno bene a NON fare come la Fleming.
E tornando a Vickers... il suo Don Carlo è complessato e lacerato, ma... non è che per caso si tratti di una sorta di falso anche questo? E' davvero così, Don Carlo, infante di Spagna? O non è semplicemente una GIGANTESCA, SCONVOLGENTE, SOVRUMANA interpretazione di Jon Vickers, ma pur sempre personale e discutibile?
La riflessione mi sorge leggendo i post di Matteo, Somerset e Pietro che lamentano un Bergonzi troppo ragioniere della musica, ed auspicando per Riccardo un fraseggio tormentato e lacerato, proprio come Vickers. Ora... è davvero necessario lo scavo psicologico lacerato e problematico di Jon Vickers per Riccardo, o si tratta piuttosto di un'altra magistrale interpretazione del tenore canadese, ma pur sempre sua e non obbligatoria?
Insomma, facendo un esempio paradossale: non ricordo se Vittorio Gassman o Carmelo Bene lesse con enfasi teatrale e voce impostata la lista della spesa, facendo sembrare le zucchine e la pasta concetti sconvolgenti e lacerazioni psicologiche enormi... Ma ovviamente, era un eccesso. Non mi si venga a dire che, solo perché abbiamo sentito come può essere emozionante la lista della spesa letta in quel modo, adesso ogni lettura diversa è sbagliata... Suvvia... la lista della spesa, lista della spesa è e lista della spesa rimane! Quella di Gassman o Bene è una meravigliosa impostura.
E Riccardo, Riccardo è e Riccardo rimane... anche se Vickers ce lo ha fatto sentire alla sua maniera!

Salutoni