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che ce ne facciamo del direttore principale?

MessaggioInviato: sab 28 apr 2007, 23:21
da MatMarazzi
Lissner lo ha dimostrato. Io lo affermavo da anni.
I teatri all'estero lo avevano capito da sempre.

La formula tutta italiana del direttore d'orchestra capo-assoluto (o quasi) di un teatro d'opera potrebbe anche non essere la strada giusta.

Un direttore deve comandare solo sull'orchestra (e poi e poi).
Io non credo nemmeno che il direttore artistico debba per forza essere musicista: Lissner non lo è. Nemmeno Mortier direi.

Un teatro d'opera ha davvero bisogno di un direttore musicale fisso?
E, già che ci siamo, ha davvero bisogno di un'orchestra fissa?

Bo... parliamone!
Salutoni,
Matteo

MessaggioInviato: dom 29 apr 2007, 11:45
da dottorcajus
Direi che un teatro debba avere una orchestra stabile ed un direttore stabile. Il problema sono i criteri di selezione e di conseguenza i criteri di esclusione degli orchestrali non meritevoli. Ovvio che il direttore d'orchestra deve avere le qualità didattiche per formare l'orchestra. Relativamente alla figura di direttore artistico questi ovviamente dovrebbe svolgere mansioni prettamente manageriali affidando la scelta dei cast a persona competente che non necessariamente deve essere lo stesso direttore d'orchestra ma necessariamente una persona competente in fatto di voci tipo i vecchi maestri ripassatori. Oggi troppo spesso leggiamo cast che poco hanno a che spartire con l'opera proposta. Male non sarebbe che un teatro importante assumesse per tutta la stagione dei giovani per eseguire i ruoli comprimari e, magari, come usava una volta, portarli al debutto nei ruoli principali. Certo occorrerebbe che la politica restasse fuori dalle stanze ma vi entrassero invece criteri meritocratici e di competenza acquisita.
Roberto

MessaggioInviato: dom 29 apr 2007, 12:25
da MatMarazzi
dottorcajus ha scritto:Direi che un teatro debba avere una orchestra stabile ed un direttore stabile.


Ciao Roberto.

Prendi lo Chatelet di Parigi.
Prendi il Nederlandse Opera di Amsterdam.
Sono tra i due più grandi teatri d'opera del mondo (il NDO è anche il teatro di stato olandese) eppure non hanno un'orchestra stabile.
Ci sono favolose orchestre private nel mondo: loro le scritturano con il loro direttore per una specifica opera.
Proprio come si fa per cantanti e registi.

Oggi come oggi la specializzazione è diventata importantissima.
Un'orchestra che va bene in Mahler, non andrà ugualmente bene in Monteverdi e nemmeno in Bellini.
La stessa cosa vale per i cantanti.

E poi c'è il discorso della spesa: gli osceni carrozzoni delle nostre orchestre (che per la maggior parte dei casi suonano malissimo, proprio perché non sono "scelte", ma "imposte") rappresentano una delle voci di spesa più grandi dei disastratissimi bilanci dei nostri teatri.

Io credo che si dovrebbe prendere esempio dagli Olandesi e dai Parigini.
Il teatro mette in programma alcuni titoli: per ogni titolo scritturerà una delle tante orchestre private o sinfoniche in circolazione, con rispettivo direttore.
A Parigi, se fanno il Rossignol di Strawinsky, chiamano Boulez con la BBC; se fanno l'Orfeo di Gluck chiamano gli English Baroque Soloists con Gardiner... Se facessero (che so io) gli Abenceraggi di Cherubini chiamerebbero Muti e l'Orchestra Cherubini.

Siamo sicuri che sia un sistema sbagliato? E che i nostri carrozzoni con gli ottoni che steccano e i sindacalisti sempre pronti a bloccare le prove siano la strada giusta?

Che ne pensi?

Salutoni
Matteo

MessaggioInviato: dom 29 apr 2007, 13:12
da dottorcajus
Come ho scritto tutta la mia teoria si regge sull'assenza di politica all'interno del teatro, sulla concezione meritocratica dei ruoli, sulla competenza assoluta di chi occupa la sua poltrona.
Non sono molto d'accordo sulla specializzazione perchè trovo anche questa risultato di eccessivo ascolto di cd e dvd.
Il teatro si rivolge a un pubblico variegato con livelli di competenza molto variabili. In questo contesto, io che frequento l'opera da tanti anni ma che ascolto cd e dvd solo per mero diletto, non colgo tante delle obiezioni che leggo rilevate in un esecuzione. Il teatro deve offrire una visione di insieme di uno spettacolo (la sua mancanza mi rende quasi insopportabili le opere in tv o dvd dove la regia televisiva altera questa visione d'insieme proponendo un prodotto diverso dall'originale) ed in questa ottica la specializzazione di una sua componente diventa superflua. Direi che la eccessiva diffusione di materiale sonoro ha anche prodotto un errata percezione delle voci ed ha formato una categoria di ascoltatori che confondo la resa teatrale di una voce con quella in sala d'incisione.
Forse è proprio nelle voci che si dovrebbe tornare ad un repertorio più specialistico e conforme alla voce reale. Così ci saremmo risparmiati il Pollione di La Scola, il Radames di Alagna, l'Oronte di Vargas. Così ci potremmo risparmiare la discesa verso il niente di una cantante come la Theodossiu che avrebbe potuto concentrare la sua esuberanza interpretativa su titoli a lei più consoni. L'elenco sarebbe lungo e comincia da artisti presenti negli anni ottanta.
Roberto

MessaggioInviato: mar 01 mag 2007, 8:55
da MatMarazzi
dottorcajus ha scritto:Non sono molto d'accordo sulla specializzazione perchè trovo anche questa risultato di eccessivo ascolto di cd e dvd.


Be' Roberto, ti assicuro che sentire Berlioz suonato dai Bayreischen Rundfunk o dall'Orchestre Revolutionnaire et Romantique (cosa che io ho fatto dal vivo) è un'esperienza radicalmente diversa.
Non sembra più la stessa opera.
Si possono preferire i primi o i secondi; si può preferire Mehta o Gardiner, ma resta il fatto che chiunque - anche un neofita - si accorgerebbe drammaticamente della differenza anche dal vivo.
La stessa differenza che si avverte ascoltando un Blake o un Valletti cantare Rossini; o il Lohengrin di Melchior paragonato a quello di Pertile.

Un'orchestra, sganciata da un teatro, è libera di scoprirsi, di ricercare le proprie specificità, il repertorio di elezione, di acquistare gli strumenti sulla base di quel repertorio, di scegliere i direttori affini per gusto ed esperienza.
E questo lo può fare solo se è privata.

Non si troverà a dover studiare venti o trenta opere all'anno (col risultato di farle male superficialmente); ne potrà studiare meno e portarle in giro per il mondo.
Potrà dire di no a titoli che non ritiene di far bene; potrà dire di sì a titoli meno famosi ma più adatti, con la prospettiva di non aver solo una mezza dozzina di recite, ma decine in tanti teatri diversi.
inoltre, a livello impresariale, un'orchestra privata può gestirsi meglio: concorda direttamente i contratti e i compensi con le case discografiche, i teatri, i canali radiofonici e televisivi...

Se le orchestre fossero private, sarebbe meglio per i teatri - che avrebbero centinaia di persone in meno in busta paga - e sarebbe meglio per le orchestre (che suonerebbero meglio e guadagnerebbero di più).
Ah... dimenticavo.
Sarebbe meglio anche per noi, che avremmo orchestre migliori, perché meno ossessionate dal suonare cose diverse tutti i giorni, senza nemmeno aver conoscenza dello stile e della tecnica giusta di ogni repertorio.

Gli unici che ne soffrirebbero sarebbero i sindicalisti, di cui nessuno avrebbe più bisgno, e i pessimi strumentisti, che dovrebbero ricominciare a studiare! :-)


Salutoni,
Matteo

MessaggioInviato: lun 04 giu 2007, 21:41
da dottorcajus
MatMarazzi ha scritto: a questo proposito mi chiedo come è possibile che nella tua lista abbondantissima manchino dei pezzi da novanta come Lili Lehmann o Berta Kiurina


Per la realizzazione di questo elenco mi sono servito del mio archivio cronologico che però è dedicato esclusivamente all'attività delle compagnie liriche italiane in Italia ed all'estero. Sia le compagnie residenti in altri paesi che le compagnie itineranti. Come saprai per moltissimo tempo il mondo fu invaso dalle compagnie di canto formate in Italia con la collaborazione di Agenzie Teatrali italiane. Restavano fuori da questo giro Germania, Austria, Francia, Gran Bretagna ed i paesi del Nord-Europa che venivano percorsi solo occasionalmente da compagnie italiane. Gli altri grandi teatri, con l'esclusione del Met che è sempre stato internazionale, potevano organizzare occasionalmente una stagione di opera francese o tedesca affidata a compagnie dei due paesi. Nel resto del mondo almeno il 90% della produzione era affidata ad artisti di varie nazionalità ma accomunati dalla comune formazione italiana.
Ecco che i nomi che tu citi, che conoscevo, non compaiono nel mio archivio o vi compaiono raramente.
Roberto

MessaggioInviato: mar 05 giu 2007, 11:16
da MatMarazzi
dottorcajus ha scritto:Come saprai per moltissimo tempo il mondo fu invaso dalle compagnie di canto formate in Italia con la collaborazione di Agenzie Teatrali italiane. Restavano fuori da questo giro Germania, Austria, Francia, Gran Bretagna ed i paesi del Nord-Europa che venivano percorsi solo occasionalmente da compagnie italiane. Gli altri grandi teatri, con l'esclusione del Met che è sempre stato internazionale, potevano organizzare occasionalmente una stagione di opera francese o tedesca affidata a compagnie dei due paesi. Nel resto del mondo almeno il 90% della produzione era affidata ad artisti di varie nazionalità ma accomunati dalla comune formazione italiana.


Ricapitolando... i teatri scritturavano una compagnia e non un singolo interprete come si fa oggi?
Si potrebbe affermare quindi, se ho ben capito, che in questo periodo (dal 1870 alla seconda guerra) i teatri erano di tre categorie: quelli con la compagnia stabile (Vienna o Parigi), quelli che si affidavano di volta in volta a compagnie diverse e quelli che tu chiami "internazionali" come il Met, che - mi par di capire - scritturavano direttamente gli artisti, senza il tramite di agenzie e compagnie.
Ho capito bene?
Ma allora, tranne il Met, quali erano nel mondo i teatri "internazionali", ossia più simili al sistema attuale?
Quali altri teatri scritturavano direttamente gli artisti, senza passare per le agenzie e senza assoldare una compagnia itinerante o stabile?
Il Covent Garden?
La Scala di Milano?

Scusa se sfrutto la tua competenza, ma non sai quanto mi affascini tutto questo.
salutoni
Matteo

MessaggioInviato: mar 05 giu 2007, 18:03
da dottorcajus
Cerchiamo di ricapitolare.
Dapprima i paesi base: Francia, Germania, Italia
Poi le strutture organizzative autonome dall’Italia; Francia, Germania, Gran Bretagna, Scandinavia.
Questi ultimi paesi erano frequentati saltuariamente e senza organicità da compagnie italiane che oggi potremmo definire “compagnie ospiti”.
Nel resto del mondo , estremo oriente compreso, la lirica era italiana. Solo Francia e Germania esportavano le loro compagnie ma in maniera occasionale e solo per i grandi teatri, direi in una percentuale 1 a 10.
All’epoca quasi tutti i teatri erano privati ed a seconda delle modalità con cui agivano potremmo dividerli in tre categorie:
MAI CHIUSI: quei teatri privati aperti a qualsiasi forma di spettacolo il cui proprietario poteva non avere niente da spartire con l’organizzazione della stagione lirica.
PRIVATI MA TRADIZIONALI: Questi teatri agivano tramite l’appalto pubblico per affidare ad un impresario esterno la stagione.
PRIVATI MA CON MANAGER: Fra questi metterei Met e Scala, erano teatri che agivano tramite un responsabile (tipo direttore artistico) che si occupava dell’ingaggio degli artisti.

In Italia avevamo quattro piazze dove agivano le Agenzie Teatrali: Milano, Firenze, Roma e Napoli. Si dividevano l’Italia senza alcun criterio geografico e Milano era praticamente l’unica che agiva per gli impresari attivi all’estero e copriva praticamente tutta l’Italia.
Firenze copriva la Toscana e parte della Romagna
Roma il Lazio, Marche, Abruzzo e parte della Emilia-Romagna
Napoli la Campania, parte delle Puglie, della Calabria, della Basilicata e della Sicilia.

Quali erano i rapporti fra teatro e agenzie?
I teatri “Sempre Aperti” non avevano praticamente rapporti con le agenzie teatrali salvo il caso, ma per forme di spettacolo diverse dalla lirica, dovessero sostituire all’ultimo momento una compagnia per non chiudere il teatro (all’epoca un giorno di chiusura era visto da tutti, stampa e pubblico compresi, come la rogna e in caso di mancanza di elementi certi, era oggetto delle illazioni più disparate.
I teatri “Privati Tradizionali” affidavano la stagione ad un impresario tramite una gara d’appalto. Punti fermi il numero minimo di repliche e la presenza in cartellone di certi titoli nuovi. Chi vinceva l’appalto riceveva in genere una dote da parte degli appaltatori più il diritto ad alcune recite fuori appalto a suo totale beneficio. Quest’ultima circostanza era in uso specialmente nei grandi teatri. Ad esempio l’impresario che agiva al San Carlo di Napoli aveva a disposizione alcune serate fuori appalto e le cosiddette “recite domenicali” che solitamente riservava ad artisti fuori dalla compagnia le seconde venivano anche riservate al debutto di giovani cantanti caldeggiati da agenti e maestri di canto vicini all’impresario. A questo scopo uno dei maestri più attivi in tal senso era l’ex tenore Giuseppe Mandolini che aveva un rapporto privilegiato con il Dal Verme nel quale fece debuttare tanti allievi.
I teatri “Privati con manager” si rivolgevano alle agenzie di Milano che venivano contattate dal manager che aveva la responsabilità della stagione. Il manager agiva direttamente in nome del teatro che quindi non si affidava a impresari esterni e quindi poteva anche rinegoziare il contratto direttamente con il cantante. Il Met e la Scala appartengono a questo tipo di teatro. Questa autonomia assoluta del Manager ha reso possibile l’esibirsi, specie al Met, di artisti che non avevano né successivamente raggiunsero una grande fama come il tenore Giacomo Dammacco o il tenore Carlo Dani.

Come agivano le compagnie di canto
C’era la compagnia che si formava esclusivamente per la stagione teatrale di un teatro e quelle che seguivano un percorso definito ed in genere sempre uguale. Diverso era per le compagnie itineranti sul modello della Gonzales che invece, pur percorrendo sempre gli stessi itinerari, includeva spesso varianti che cambiavano anno per anno. Il suo arrivo in Australia fu causato all’inizio della Grande Guerra che rese incerte le possibilità di rientro in Italia e quindi rese necessario ricercare nuove piazze per la compagnia. Questo tipo di compagnia, che poteva restare assente dall’Italia per alcuni anni, aveva un rapporto di grande fiducia con l’agenzia teatrale di riferimento poiché a questa si affidava ciecamente per sostituire strada facendo gli artisti che concludevano il contratto e che non volevano o non venivano riconfermati.
Ad esempio la compagnia che agiva nella stagione principale del teatro Costanzi di Roma (oggi Opera di Roma) si formava a Milano ed, anche se non integralmente, si muoveva da Roma verso il Reale di Madrid, il Sao Carlos di Lisbona e quindi si recava in Sudamerica per esibirsi a Buenos Ayres, Rosario, Montevideo, San Paolo, Rio de Janeiro e Santiago del Cile. Se il Reale o il Sao Carlos potevano saltare le altre piazze erano sempre raggiunte dalla compagnia.
Ovviamente le compagnie potevano essere di categoria diversa a seconda del livello di artisti scritturati ma non era raro che in una grande città, ad esempio Buenos Ayres, si potesse ascoltare la Storchio all’Opera e la Burzio al Politeama Argentino.
Interessante è sottolineare come tantissimi artisti italiani decisero di restare in Sudamerica, facendo base a Buenos Ayres, o in Nordamerica facendo base prevalentemente a New York. Qui si formarono strutture simili a quelle di Milano dove gli impresari si rivolgevano per formare le compagnie. Considerate che una città come Buenos Ayres aveva almeno sette teatri aperti all’opera e molti di questi si servivano di compagnie scritturate da artisti del luogo, la maggior parte italiani.

Questo sistema, che metteva l’Italia al primo posto di questa organizzazione, permetteva praticamente a qualsiasi teatro di scritturare un grande. Inoltre determinò il primato quasi assoluto della scuola di canto italiana. Maestri italiani insegnavano in tutto il mondo e furono determinanti nella formazione di tantissimi artisti. Era opinione comune che un artista si poteva considerare arrivato solo se aveva successo in Italia. Questo determinò che molti artisti, già famosi altrove, interrompessero brevemente la loro carriera per riprendere gli studi con un maestro italiani e presentarsi successivamente al giudizio del pubblico. Per molti di loro significava un arretramento nella carriera e non tutti riuscirono nel loro tentativo e si dovettero accontentare di una carriera di secondo piano.

Per concludere questo insieme di informazioni direi che il comune denominatore era che la compagnia si formava in base ai titoli e non viceversa. Che i contatti diretti con l’artista, anche nel caso dei Teatri con Manager, avveniva inizialmente tramite l’agenzia e successivamente anche in forma diretta. Ovvio che durante la stagione, avendo a disposizione un artista adatto che aveva grande successo di pubblico, si poteva proporre un titolo ad hoc per lui.
Come adesso anche allora le Agenzie Teatrali avevano grande potere ma potevano agire in un ambiente strutturato e organizzato molto diversamente da oggi. Il sistema inoltre garantiva ad un artista una attività continuativa e spesso frenetica. Contrariamente a quello che molti pensano anche all’epoca si poteva cantare molto, il baritono Pignataro, durante il giro in Sicilia durato sei mesi, cantò in 169 produzioni (certo le opere non venivano eseguite integrali e forse non sempre erano rispettate le tonalità, ma in ogni caso non si trattava di selezioni e il livello di competenza degli ascoltatori dell’epoca non era mediamente di basso livello ed il cantante era il centro dello spettacolo). Di solito un cantante che si doveva recare da Milano a Palermo trovava già pronte delle scritture in teatri localizzati lungo il tragitto. Sempre lo stesso sistema garantiva la presenza di cantanti pronti per ogni evenienza.
Oggi purtroppo si segue il criterio opposto e si impone un cantante indipendentemente dal titolo da eseguire con i risultati dannosi che dovrebbero essere evidenti per tutti.
Spero di essere stato abbastanza chiaro ed esaudiente.
Sempre a disposizione
Roberto

MessaggioInviato: mer 06 giu 2007, 15:35
da MatMarazzi
Caro Roberto,
per prima cosa sono allibito dalla tua competenza e anche molto sorpreso dalle informazioni che mi dai.
Inoltre ti sono grato, anzi gratissimo.

E' la prima volta, per me, che mi addentro in problemi di natura organizzativa, di "produzione" culturale di quegli anni.
Quindi, su questo e altri fronti, mi inchino al tuo sapere e cerco di trarne quanto più insegnamento posso.
In compenso ascolto e colleziono cantanti d'epoca fin da quando ero ragazzo. E' una delle mie grandi passioni.
E credo di conoscere abbastanza bene la poetica degli artisti a cavallo fra 8 e 900.

In base agli ascolti e alle riflessioni che ho fatto in merito, non riesco a credere alla superiorità della scuola italiana, nè credo che risultasse tanto intimidatoria artisticamente parlando.
Se affermi che gli italiani (per la capillare diffusione delle loro agenzie) arrivavano a conquistare tutti i mercati, anche i più sperduti, questo posso capirlo.
Ma fatico a immaginarmi gente del calibro di Jean de Reszke o Lilli Lehmann - ossia divi planetari come raramente l'Italia ne ha prodotti - intimiditi dal fatto di non cantare nella nostra penisola: anzi, probabilmente ne andavano fieri, paghi di regnare su teatri davvero internazionali come erano allora il Covent Garden, il Met, Parigi o Bayreuth, al cui confronto non solo il Costanzi, ma la stessa Scala non era poi sì gran cosa (sto parlando anche di soldi, ovviamente).

A proposito di questo punto, vorrei chiederti una cosa.
Il database di cui ci hai parlato deve essere una cosa fantasmagorica.
Sono certissimo che non è mai stato osato nulla del genere! Lo so perché è da una vita che vorrei proprio una super-cronologia delle rappresentazioni operistiche e, naturalmente, non esiste.
Ma allora... perchè limitarti al panorama italiano??????
Qui, dirai tu, è questione di gusti, e io devo comunque ringraziarti per quello che fai, ma certo per uno come me, la Belle Epoque significa il mondo nuovo di New York, o la Vienna di Mahler, o la Bayreuth di Cosima o la Parigi di Proust, o ancora il Covent Garden, Salisburgo, Pietroburgo.
L'Italia da sola non descrive nulla (almeno per me).
Sarebbe proprio impossibile allargare il tuo lavoro anche al resto?

Prima di chiudere però vorrei chiederti un'ultima cosa.
Ok! La Scala e il Met rientrano fra i teatri "con manager".
Ce ne furono degli altri?
Il covent garden ad esempio? o il colon di buenos aires?
A che tipologia appartenevano?

Grazie di tutto, complimenti vivissimi e Salutoni
Matteo

MessaggioInviato: mer 06 giu 2007, 18:00
da dottorcajus
Le mie ricerche si basano su tre fonti diverse:
La consultazione delle pubblicazioni specialistiche dell'epoca, pubblicazioni che erano curate dalle singole agenzie teatrali e distribuite in abbonamento agli artisti interessati. La consultazione incrociata di queste pubblicazioni sono utilissime per cercare di compilare l'elenco degli artisti presenti ad una certa rappresentazione comprese le parti secondarie e le eventuali sostituzioni.
La consultazioni di volumi dedicati ai teatri contenenti le cronologie. Il limite è che raramente queste cronologie sono complete, raramente comprendono i comprimari. Ovviamente diverso è il caso in cui la cronologia sia tratta dagli archivi del teatro come per il Colon, il Met e pochi altri. In molti casi ho copiato queste cronologie nell'archivio e mi sono accorto di avere cast o titoli mancanti alla medesima.
La consultazione dei quotidiani. Purtroppo i limiti di tempo mi hanno permesso di consultare pochissimi grandi quotidiani e la loro consultazione è alquanto faticosa dato che l'impaginazione era molto diversa da quella odierna. Inoltre il campo di consultazione dei quotidiani è vastissimo e spero quanto prima di arrivare ai piccoli quotidiani di paese che sono fonte inesauribile di notizie per il mio archivio.
In quest'ottica mi interessano tutti i teatri dai piccoli ai grandi e nell'archivio sono presenti le cronologie del Met, della Scala, del Colon etc ma anche quella del Mercadante di Cerignola o del Politeama Boglione di Brà o del teatro Eden di Ferrara. Rimane un lavoro compiuto solo in piccola parte e quindi mi aspetta ancora molto appassionante lavoro.
Le pubblicazioni specializzate sono interessanti anche come fonte di aneddoti, notizie e quant'altro.
Non sono molto attendibili come fonte per valutare la qualità artistica di un cantante perchè tendevano ovviamente a lodare, riportando anche estratti da altre pubblicazioni, il cantante della scuderia. Addirittura spesso il cronista evita di parlare di un tenore omettendone anche il nome se la sua prova è risultata scadente.
Comprendo ovviamente l'interesse primario per i grandi interpreti ma credo che anche i miei semisconosciuti meritino la scoperta da parte degli appassionati ed a questo solamente ho deciso di dedicare le mie ricerche. Naturalmente la natura di queste ricerche fa si che possa fornire informazioni cronologiche anche su cantanti famosi.
Cerco costantemente di reperire materiale utile a queste ricerche tanto da sperare quanto prima di mettere le mani su qualche rivista specializzata pubblicata in paesi esteri. Purtroppo ho limiti di lingua ed il reperimento di riviste tedesche o russe sarebbe privo di utlitità visto che non conosco minimamente quelle lingue. Inoltre, purtroppo, queste riviste come pure le pubblicazioni dedicate ai teatri, sono di difficilissimo reperimento a causa del particolare sistema distributivo adottato dagli editori.
Come sai la mia attenzione è rivolta ai piccoli e quindi per me è molto più importante il dato cronologico relativo al Carcano di Milano che quello relativo alla Scala. Per questo motivo ancora non ho usato del tempo per inserire ad esempio le cronologie dell'OPera di Parigi o della Opera Comique. Lo farò quanto prima ma queste cronologie comprendono pochissimi dati per me interessanti.

Non so se c'era una vera competizione fra Germania, Italia e Francia. So che c'era un trattamento reciproco limitato ai grandi teatri per cui in Italia alcuni grandi teatri potevano avere alcuni titoli in cartellone eseguiti da cast madrelingua, penso alla Vallin al teatro dell'Opera a Roma. Facendo riferimento al periodo 1870/1920 le cose stavano come ti ho descritto e non per meriti commerciali ma credo per la considerazione che la scuola italiana si era meritata. Facendo un parallelo ippico si può dire che la scuderia italiana era la più numerosa ed alla Italia si guardava sia per la capacità organizzativa che per la qualità delle sue scuole di canto che come i cantanti trovarono ampio spazio e favorevole accoglienza anche all'estero. La tesi del successo in Italia aveva sicuramente accenti nazionalistici ma corrispondeva anche al comportamento di tanti cantanti. Non intendevo per questo comprendere in tale elenco le stelle che tu citi.
Ritengo che Londra, Parigi, New York e Vienna fossero le piazze veramente internazionali anche se Vienna ospitava annualmente delle stagioni liriche di compagnie italiane. Il mio riferimento a questi tre paesi era relativo alla loro organizzazione e non certamente era inteso come scuola musicale. Difatti non cito la Russia perchè pur avendo una propria organizzazione produttiva lasciava il massimo spazio alle compagnie italiane che agivano anche nei principali teatri di Mosca e San Pietroburgo.

Ad ogni buon conto il mio archivio pur nato per essere dedicato ai cantanti minori comprende tutto ed è decisamente internazionale contiene anche molte cronologie dei grandi teatri e quindi dati cronologici sui grandi cantanti. Su quest'ultimi manca magari l'attenzione all'aneddoto o alla cronaca personale. Il problema principale è la dimensione enorme delle fonti e la loro difficile reperibilità, specie per quanto riguarda i dati biografici. A tale scopo quanto prima mi recherò a Trieste a consultare un lascito molto importante di due studiosi che tentarono vari anni fa la compilazione di un dizionario dedicato agli artisti lirici e dove spero di trovare informazioni utili.

Sono d'accordo con te sul fatto che Opera o Scala non furono all'altezza del Met o del Covent Garden ma credo che ciò dipese dalla minor disponibilità finanziaria. In realtà contò anche la chiusura di certe nazioni verso l'opera straniera in lingua madre. Penso di potermi sbilanciare (non l'ho studiato in maniera approfondita) ma credo che solo in Germania e Gran Bretagna e di conseguenza negli Usa, si sviluppò l'abitudine di cantare le opere italiane nelle loro lingue. Vedo anche nella competizione artistica aperta fra Germania e Italia la sostanziale chiusura verso le compagnie italiane. Queste differenze si notano anche nelle tecniche di incisione adottate da i vari tecnici che di volta in volta prediligevano la scuola tedesca o quella italiana (sembra incredibile ma avevano qualche sistema per editare le incisioni acustiche).

Credo che il Met avesse un vero e proprio manager ma la figura del Direttore Musicale o Artistico non credo che esistesse almeno come la consideriamo oggi. Non saprei dirti come agissero Covent Garden o Operà ma penso che tutti i grandi teatri avessero una loro deputazione che si occupava dell'organizzazione della stagione. So che molti, tipo il Colon, si affidavano ad impresari esterni per questo scopo. Probabilmente il Met come la Scala agivano direttamente ma anche questi utilizzavano anche le agenzia italiane che, stando almeno alle loro pubblicazioni, annoveravano anche artisti di altissimo nome. Non giurerei sulla verità di queste notizie ma sono sicuro che due o tre agenzie avevano realmente caratura internazionale.
Un ultima parola sulla "scuola italiana". Aveva grande presa sul pubblico e di solito l'arrivo di una compagnia italiana creava maggior attesa di altre. L'Australia fu un paese che dapprima fu colonizzato da compagnie di lingua inglese e successivamente da francesi. Le compagnie italiane arrivarono dopo come pure la rappresentazione di opere italiane nella loro lingua. Queste compagnie come pure le opere italiane furono oggetto di grandi aspettative da parte del pubblico e della critica locale.
Roberto