Revan ha scritto:Vuoi dire che con il materiale che c'è oggi in giro non ha più molto senso l'approccio solo audio al teatro di Wagner e di Verdi o che, in generale, visto che abbiamo mezzi multimediali in passato non disponibili, non è più concepibile scindere l'aspetto teatrale /scenico da quello musicale in una nuova produzione?
Vedi, io credo che l'approccio solo audio abbia un senso solo quando hai qualcosa di nuovo da proporre, tanto più se - in quel determinato repertorio - hai detto tutto quello che si poteva dire.
Il discorso dei cantanti ha un suo perché, ma i cantanti mediocri o pessimi ci sono sempre stati.
Ma quello che più conta è che negli ultimi (almeno) quarant'anni le regie sono entrate a pieno titolo fra gli strumenti interpretativi a nostra disposizione.
Ne parlavo con Maugham stamattina: vogliamo dare uno startup? Credo che possa essere universalmente accettato il 1976, con la produzione del centenario di Bayreuth di Chéreau e Peduzzi. Di produzioni importanti ce ne sono state anche prima (quelle di Wieland, per esempio), ma facciamo finta che il 1976 sia stato l'anno della svolta: fanno quasi quarant'anni.
In questi quarant'anni ne sono successe di tutti i colori.
Ormai una nuova produzione d'opera è sempre strettamente embricata con la regia teatrale, in funzione della quale spesso nasce. E' un concetto che si può ignorare - nulla è proibito - a condizione di avere in cambio un audio assolutamente
outstanding, di quelli che ti cambiano le regole del gioco.
Ho citato apposta il Ring di Karajan perché all'epoca proporre la Crespin in un ruolo che veniva cantato dalla Nilsson, subito dopo la Varnay e la Modl, sembrava qualcosa che cambiava le regole del gioco; poi, fa niente se la Crespin già era di casa a Bayreuth e, per di più, con Knappertsbusch.
E poi, perdonami, dire che ormai c'è un sovraffollamento di idee registiche mi fa pensare all'Imperatore Giuseppe II che, nel film "Amadeus" di Milos Forman, dice a Mozart a proposito di - mi pare - "Le nozze di Figaro": "Troppe note".
Cosa vuol dire
sovraffollamento di idee registiche?
Io ho sempre dato torto al buon Matteo quando diceva che eravamo arrivati alla saturazione soprattutto in campo registico, perché non mi era chiaro chi stabilisse i margini di questa presunta saturazione, né chi dovesse dettare le regole.
Però stabilire aprioristicamente che il pubblico sia stupido, che non sia in grado di capire un'opera se non scindendola dall'aspetto visivo, mi sembra un'assurdità.
Stabilire i confini entro cui si debba muovere un interprete, mi sembra un'assurdità ancora più grossa: la regia è o non è un'arte rappresentativa? E il regista - in quanto artista - dovrebbe avere confini in cui muoversi? E, se sì, chi glieli detta? Il mercato? Il buonsenso? Il buon gusto? Il buon gusto di chi?
Oggi abbiamo destrutturatori come Tcherniakov e Jones, o dissacratori come Bieito, che si muovono accanto a classicisti come McVicar o altri personaggi per me ancora meno classificabili come Herheim: ce n'è veramente per tutti i gusti.
Ci dobbiamo negare un aspetto fondamentale che negli ultimi 40 anni ha sviluppato un linguaggio talmente variegato da obbligarci a una fatica pazzesca per star dietro a tutto?
Va bene.
Ma dammi in cambio qualcosa che non sia Konieczny.
O Domingo che canta "Pari siamo"