Dubbio atroce

Visto che a Natale siamo ovviamente tutti più cattivi, giusto per provocare vi rendo partecipi di un dubbio che mi è venuto in seguito a una (brutta) esperienza teatrale.
Antefatto. Prima di Natale sono andato a Londra a vedermi il Robert le diable, non aspettandomene molto (qualcuno ha giustamente scritto che affidare una ripresa del genere a Oren significa distruggerla, come diceva Totò, “a prescindere”
), però sono stato sopraffatto dalla mia meyerbeerite acuta. Comunque il Roberto è andato male, ma non è di questo che voglio parlare. E’ che, fra le varie piacevolezze londinesi, compreso lo shopping, un Riccardo III memorabile e il solito ristorante cinese vicino al Covent Garden
, c’era anche quella (molto dubbia) di una ripresa della Bohème di Copley, risalente all’anno del Signore 1974 (dopo Cristo, credo di dover precisare) protagonista Rolando Villazon.
Ecco, la brutta esperienza è stata questa. Non mi immaginavo che Rolandinho facesse il Rodolfo del secolo e nemmeno del decennio, ma nemmeno che fosse ridotto così, ogni acuto anche facile un urlo belluino. Grazie, direte: è chiaro che oggi Villazon dovrebbe scegliere un altro repertorio, anche se non è semplice dire quale. Ma quello che mi ha davvero irritato è stata la sua insopportabile gigioneria. Vabbé che una regia, per forza di cose, non c’era. Però lui ci ha messo del suo. Roba tipo minacciare Benoit con il coltello o, giuro, nascondere la chiave di Mimì fra i ricci. Il tutto ammiccando alla platea. Roba che non ho visto fare nemmeno nella provincia italiana più deep. Il resto non era meglio e così dopo il terzo atto (c’erano DUE intervalli) ho scelto la libertà.
Fin qui la cronaca. Anzi, no. Bisogna parlare del pubblico. Intanto il teatro era sold out, mentre due sere prima per Meyerbeer era mezzo vuoto. E poi io ero in platea in mezzo a un gruppo di carampane viennesi evidentemente fan di Villazon che lo spettacolo se lo godevano davvero. La carampana davanti a me è scoppiata a ridere, giuro che è vero, quando, nel secondo atto, uno dei mocciosi del coro di voci bianche ha rubato il cappello a un altro; la carampana a destra quando Alcindoro (Donald Maxwell, figuriamoci) ha fatto tutte le controscene che fanno tutti gli Alcindoro da un secolo, attorniato da comparse che avevano più o meno la stessa età; la carampana di sinistra mi ha gratificato di un “bello spettacolo, vero?”, al che le ho risposto che a me faceva vomitare. Macché. Grandi applausi (a Villazon & Co, non a me).Il tutto al Covent Garden, non all’Opera di Roma.
Poi, mentre mi ingozzavo al sullodato cinese, ho provato a rifletterci sopra. Non cambio una virgola, in termini di gusti per repertorio, regie e un certo modo di “fare” l’opera, rispetto alle idee che conoscete e che mi sembra condivida la maggioranza di quelli che frequentano Operadisc. Però credo che non si possa far finta di ignorare che il pubblico è composto anche (occhio, anche, non solo) di questa gente. E che forse i teatri fanno bene, anche solo per fare cassa, a infilare fra uno spettacolo interessante e l’altro queste riprese del piffero di titoli popolari a uso di spettatori così. Che ci sono, esistono, pagano il biglietto e riempiono le sale (oddio, le riempiamo anche quando si dà l’Artaserse con cinque controtenori – è successo a Parigi, agli Champs-Elysées, e non c’era una sedia vuota), quindi bisogna tenerne conto. Con la giusta dose di pragmatismo e di cinismo. Non sarà che la strada giusta, per gestire quel grande baraccone che è l’opera, sia questa?
E’ una provocazione, ma non tanto. Così, giusto per discutere un po’. E magari litigare. Sennò che noia, questi giorni di buonismo coatto conciato per le Feste.
A proposito: auguri a tutti
.
AM
Antefatto. Prima di Natale sono andato a Londra a vedermi il Robert le diable, non aspettandomene molto (qualcuno ha giustamente scritto che affidare una ripresa del genere a Oren significa distruggerla, come diceva Totò, “a prescindere”


Ecco, la brutta esperienza è stata questa. Non mi immaginavo che Rolandinho facesse il Rodolfo del secolo e nemmeno del decennio, ma nemmeno che fosse ridotto così, ogni acuto anche facile un urlo belluino. Grazie, direte: è chiaro che oggi Villazon dovrebbe scegliere un altro repertorio, anche se non è semplice dire quale. Ma quello che mi ha davvero irritato è stata la sua insopportabile gigioneria. Vabbé che una regia, per forza di cose, non c’era. Però lui ci ha messo del suo. Roba tipo minacciare Benoit con il coltello o, giuro, nascondere la chiave di Mimì fra i ricci. Il tutto ammiccando alla platea. Roba che non ho visto fare nemmeno nella provincia italiana più deep. Il resto non era meglio e così dopo il terzo atto (c’erano DUE intervalli) ho scelto la libertà.
Fin qui la cronaca. Anzi, no. Bisogna parlare del pubblico. Intanto il teatro era sold out, mentre due sere prima per Meyerbeer era mezzo vuoto. E poi io ero in platea in mezzo a un gruppo di carampane viennesi evidentemente fan di Villazon che lo spettacolo se lo godevano davvero. La carampana davanti a me è scoppiata a ridere, giuro che è vero, quando, nel secondo atto, uno dei mocciosi del coro di voci bianche ha rubato il cappello a un altro; la carampana a destra quando Alcindoro (Donald Maxwell, figuriamoci) ha fatto tutte le controscene che fanno tutti gli Alcindoro da un secolo, attorniato da comparse che avevano più o meno la stessa età; la carampana di sinistra mi ha gratificato di un “bello spettacolo, vero?”, al che le ho risposto che a me faceva vomitare. Macché. Grandi applausi (a Villazon & Co, non a me).Il tutto al Covent Garden, non all’Opera di Roma.
Poi, mentre mi ingozzavo al sullodato cinese, ho provato a rifletterci sopra. Non cambio una virgola, in termini di gusti per repertorio, regie e un certo modo di “fare” l’opera, rispetto alle idee che conoscete e che mi sembra condivida la maggioranza di quelli che frequentano Operadisc. Però credo che non si possa far finta di ignorare che il pubblico è composto anche (occhio, anche, non solo) di questa gente. E che forse i teatri fanno bene, anche solo per fare cassa, a infilare fra uno spettacolo interessante e l’altro queste riprese del piffero di titoli popolari a uso di spettatori così. Che ci sono, esistono, pagano il biglietto e riempiono le sale (oddio, le riempiamo anche quando si dà l’Artaserse con cinque controtenori – è successo a Parigi, agli Champs-Elysées, e non c’era una sedia vuota), quindi bisogna tenerne conto. Con la giusta dose di pragmatismo e di cinismo. Non sarà che la strada giusta, per gestire quel grande baraccone che è l’opera, sia questa?
E’ una provocazione, ma non tanto. Così, giusto per discutere un po’. E magari litigare. Sennò che noia, questi giorni di buonismo coatto conciato per le Feste.
A proposito: auguri a tutti

AM