Caro Dottor Cajus,
come sai (ne abbiamo già parlato) io fatico a seguirti nel tuo "soggettivismo" critico.
Apprezzo, ovviamente, le brillanti osservazioni sull'apporto dell'emotività in sede di fruizione.
E aggiungo che se vogliamo intraprendere questo cammino, l'emotività condiziona la nostra fruizione a tutti i livelli, non solo nella musica.
L'emotività interviene anche di fronte a un piatto: oggi sono più portato per il dolce, ieri per il salato, domani cercherò sapori forti e aggressivi, dopodomani mi sentirò ispirato da piatti delicati e raffinati.
Ma il punto è... quale che sia la mia disposizione, il salato è salato, il dolce è dolce.
Ossia esistono punti fermi, o per lo meno che POSSIAMO ASSUMERE PER TALI.
Cos'è un codice? Un terreno di interrelazione fondato proprio su questi punti fermi, su "segni" a cui si attribuisce un valore condiviso.
Se così non fosse, se non fossimo in grado di enucleare signficati che TRASCENDONO la nostra disposizione momentanea, non ci sarebbe comunicazione e dunque non ci sarebbero codici.
La condivisione di questi "punti fermi" non può essere messa in discussione dall'emotività (la cui sfera resta solo quella di un condizionamento della fruizione, non del significato da attribuire)...
Magari oggi non apprezzo un sapore salato (che apprezzerò domani), ma non per questo lo definirò "dolce".
Le parole di uno stesso politico possono entusiasmare qualcuno o scandalizzare un altro, ma entrambi ne interpreteranno i segni allo stesso modo.
Quando si parlava della dimensione non metafisica dell'arte (nel thread su Stockhausen) tu ti sei dichiarato d'accordo con me nel considerare l'arte un codice.
Bene! Sucsa se mi ripeto, ma il bello dei codici (qualsiasi tipo di codice, scientifico, artistico, linguistico...) consiste nell'astrazione "logica" dei segni. L'emozione non c'entra. O per lo meno non c'entra nella fase di "DECIFRAZIONE" di quei segni.
Se ci accordiamo sul significato da attribuire al segno "+", non possiamo poi dire che - sulla base dell'emotività - noi gli attribuiamo un valore di "-".
Non possiamo sostenere un esame di matematica affermando che 10 + 2 = 8, perché oggi, emotivamente, sentiamo il "+" come se fosse "-".
Lo stesso vale per l'opera e per il canto che, in quanto arte, sono codici a loro volta.
Sai perché nessuno affermerà mai che Del Monaco era un interprete misuratissimo, sofisticato e crepuscolare?
Proprio perché i segni (sonori e visivi) messi in campo da Del Monaco hanno un valore condiviso: da lui (che li usava) e da noi (che ne fruiamo).
Chiunque "macini" il codice operistico (ossia, come noi, frequenti il disco o il teatro), è in grado di decifrare quei segni per ciò che essi rappresentano all'interno del codice e per ciò che premeva a Del Monaco comunicare.
L'emotività esiste, hai ragione! E' giusto coltivarla...
Il fine del piacere estetico è quello di ...coccolare la nostra emotività!
Eppure in sede critica è possibile, anzi, necessario prescinderne, limitandoci a quei segni ai quali tutta la comunità di chi pratica il codice attribuisce un valore.
Poi, lo sanno tutti, non sarà sempre facile interpretare i segni: ci sono poesie difficili da interpretare, musiche difficili, regie difficili, formule matematiche difficili.
O magari non sono affatto difficili, ma ci sembrano tali perché non siamo esperti di quel codice.
Io, ad esempio, non saprei decifrare un testo di meccanica quantistica e nemmeno un semplicissimo fumetto per bambini scritto ...in tedesco. Ma, come diceva il Russel citato da Maugham, non posso nascondermi dietro alla mia "soggettività", se non conosco il tedesco o non ci capisco nulla di fisica.
Inoltre l'interpretazione dei segni (anche operistici) può essere complicata anche dal fatto che tutti i codici (tutti!) sono rudimentali, carichi di ambiguità, di polisemie involontarie.
E' il problema del Mosé e Aronne di Schoenberg: l'inevitabile fallacia della comunicazione che sporca, compromette il "puro pensiero".
Ce ne accorgiamo quotidianamente sul forum, lamentando il fatto (come tu fai spesso) che il codice scritto non ci permette di lasciar passare tante informazioni, quante ne vorremmo lasciar passare.
Ma la constatazione dei limiti dei codici non ci autorizza a sventolare la bandiera dell'incomunicabilità assoluta.
Non saremmo qui - a scrivere nonostante tutto - se non ci fosse comunque la possibilità di "intendersi" su alcuni elementi accettati e decifrabili da tutti.
Per il canto è la stessa cosa.
I segni (suoni) sono portatori di signficati condivisi che prescindono dalla nostra soggettività e da quella dell'artista.
C'è chi piange ascoltando la Medea della Callas; c'è chi si irrita; ma nessuno direbbe che ne dà una visione angelicata e sussurrante.
E in questa sede quel che interessa è proprio il fatto che la Callas non fosse una Medea angelicata e sussurrante.
Perché è questo l'elemento "oggettivo" (non emotivo) che ci riguarda tutti.
Mentre l'emotività riguarda solo ognuno di noi, e il nostro intimo.
dottorcajus ha scritto:Così si comportano normalmente tutti quelli che parlano d'opera e tendono a trasformare le loro impressioni in oggettive e di conseguenza a trasformarle in certezze e verità.
Eppure, Cajus, noi siamo qui a discutere proprio di questo: del lato "oggettivo" dell'opera (oggettivo in quanto accettato dalla comunità).
Non so se sono riuscito a spiegare le mie idee (date le fragilità del codice scritto
)
Salutoni
Matteo