Rispondo a Roberto, di cui ho apprezzato lo sfogo ricco di sincerità e di passione.
Eppure è uno sfogo che non riesco a condividere completamente.
Si parla di ridare l'opera in mano ai cantanti, ma io ho la sensazione che i cantanti l'opera non l'abbiano mai mollata. E' vero, invece, che negli ultimi 50 anni ci sono alcuni elementi che hanno portato linfa nuova o nequizia, a seconda dei punti di vista:
direttori: le personalità dei direttori importanti hanno avuto e hanno tuttora un ruolo di primissimo piano che non mi appare così prevaricatore. Consideriamo quello che un Serafin ha tirato fuori dalla Callas, o come un Bonynge ha saputo costruire una Sutherland, e subito apparirà chiaro il mio pensiero. Se consideriamo quello che ha fatto Karajan con alcuni cantanti, lavorando gomito a gomito, non possiamo dire che il direttore sia un prevaricatore. Per contro, sono esistiti cantanti che hanno imposto la propria visione esecutiva, spesso accomodandosi la parte sulle proprie esigenze, con risultati esiziali
registi: l'opera è uno spettacolo teatrale. I fondali dipinti non li vorremmo più nemmeno noi. Senza arrivare a Carsen o Jones, mi limiterei a citare quello che ha significato un Visconti per la Callas, o un De Lullo per la Gencer, immaginando spettacoli fondamentali nella compenetrazione fra le varie componenti. E' poi necessario ricordare quanto abbia contato un Wieland Wagner per la ristrutturazione dell'interpretazione wagneriana?
le voci: io penso - come Matteo, peraltro - che questo periodo segni un momento di rinascita delle grosse personalità interpretative dopo anni bui. Non in Italia, purtroppo: questo è vero. Spiace fare paragoni, ma l'unico vantaggio dell'
Europa riconosciuta di qualche anno fa alla Scala fu di poter confrontare la grandissima statura di Diana Damrau - unica vera stella della serata - con il grigio professionismo di tanti altri che le cantavano accanto. In qualche altro thread si parlava di Terfel, fulgido esempio di quello che su questo sito si dice da un po' di tempo, ma ce ne sono un sacco: Langridge, Hampson, Gunn, Netrebko, Dessay (!), Graham, Garanca, Villazon (per quanto criticabile possa essere), Flòrez (con il quale non sono mai particolarmente tenero), Stemme, Pape, Heppner, Massis, Piau, DiDonato, Kermes, Kaufman, Lemieux e chi più ne ha più ne metta. Ho citato alla rinfusa i primi nomi che mi venivano in mente, ma se ci penso me ne vengono ancora.
Tutti cantanti con i loro difettucci, chi più chi meno, ma tutti caratterizzati da una personalità intrigante che ci fa tirare un sospiro di sollievo dopo anni passati a sbadigliare.
Il merito di chi è?
Mutamento genetico? Assolutamente no.
Cambiamento del gusto? Solo in parte.
No. Il merito è dello sviluppo di sinergie che hanno obbligato i cantanti a prendere coscienza del loro ruolo che non può più essere quello di mettersi sul proscenio con la manina alzata verso il pubblico a sciorinare note. I principali artefici di queste sinergie sono direttori e registi dotati di personalità talmente intrigante da tirar fuori il meglio che c'è in loro.
Persino una Callas - visto che di lei si parla in questi giorni - riusciva a tirare fuori il meglio di sé con partners di prestigio che la indirizzassero verso mete magari non ancora esplorate: penso alle sue collaborazioni con Karajan, con Bernstein ma anche con lo stesso Serafin (tanto per stare solo sul piano direttoriale)