Caro Tuc,
tu prima dici:
Tucidide ha scritto:Ma purtroppo la musica di Monteverdi e di Handel non aveva senso, quarant'anni fa, eseguita come facevano i primi pionieri
Poi però scrivi:
Tu dici che bisogna far sì che essi (ndr: le immagini di un allestimento storico)"divengano stimoli preziosissimi per ampliare i nostri orizzonti"(cut)
Tutto molto giusto, potenzialmente esaltante. Ma la domanda è: come?
Premetto che non condivido una qualsivoglia "sufficienza" verso i primi pionieri della musica antica (ben prima di quarant'anni fa... i primi tentativi di rappresentare opere antiche risalgono all'inizio del '900; il primo interesse a studiarle seriamente addirittura all'800).
Se negli utlimi anni siamo arrivati a concepire il Barocco come lo concepiamo oggi è grazie al genio e al coraggio di quei primi pionieri sui quali adesso magari ironizziamo, forti del fatto che - grazie a loro - siamo ora in grado di eseguire quel repertorio con ben maggiore "specificità".
Tu, forse involontariamente, metti in discussione il contributo storico di "quei pionieri" (dato che 40 anni fa non aveva senso fare Monteverdi, secondo te) e poi ti chiedi "come" sarebbe possibile fare lo stesso con gli allestimenti antichi.
Ma il "come", Tuc, quel "come" che tu non riesci a vedere... sta proprio in quei pionieri, più in loro che in Harnoncourt, Malgloire, Hogwood, e gli altri filologi moderni che si sono issati su ciò che quei pionieri avevano edificato: ossia la prima familiarizzazione a quel linguaggio, l'accettazione di quegli antichissimi capolavori in seno al repertorio!
In ogni "rivoluzione" (anche quelle che recuperano il passato) c'è una prima fase pionieristica: è la battaglia di pochi capitani coraggiosi che vedono più in là di tutti gli altri (come appunto quelli che si intestardivano ad allestire Monteverdi in epoca post-wagneriana e verista, pur mancando loro gli strumenti originali, i contro-tenori, le conoscenze critiche e stilistiche).
Intorno a loro si scatenano tutti i passatismi possibili immaginabili (ma che senso ha? ma Monteverdi ora si può studiare solo all'università! L'arte vive del presente).
Oggi si resta di stucco a leggere una recensione del giovane D'annunzio in cui lamentava il fatto che, ai primi del '900, il pubblico di Roma disertasse completamente una "coraggiosa" esecuzione del Don Giovanni!
Aggiungo che quando ero ragazzo c'erano ancora moltissimi appassionati d'opera (di quelli veri e pugnaci che erano stati giovani negli anni '40) che confessavano di odiare Mozart e tutti i suoi "plin plin".
Mia nonna, che non era un'intellettuale ma nemmeno una loggionista, si permetteva addirittura di disprezzare gli "zumpapa" e gli usignoli cabalettari di Donizetti e del primo Verdi!
E stiamo parlando di Mozart, Donizetti e Verdi... non di Monteverdi! E stiamo parlando del 1980, non dei primi del '900.
Figuarti quale "atmosfera" si poteva sentire intorno un Benvenuti, quando decise di dare alle scene la Poppea!
E' ovvio che, nella prima fase, i pionieri dovranno anche scendere a compromessi con la contemporaneità: e i segni più lontani e "impresentabili" dovranno essere limati, edulcorati, per assomigliare il più possibile a ciò che il pubblico si aspetta: e così le orchestrazioni monteverdiane e haendeliane venivano rimpinguate fino a somigliare a quelle ottocentesche, le parti maschili per castrati abbassate di ottava o passate a donne; stili, sonorità, espressività (vibrato degli archi) spesso mutuate da altri repertori.
Tutto ciò che è più arduo far digerire al pubblico (ad esempio il trillo ribattuto) sarà meglio "spianarlo".
Inoltre è ovvio che solo una piccola parte di pubblico si rivelerà disposta a seguire questi geniali pionieri: ma si tratterà di un piccolo pubblico (quello sì) davvero "avanguardista" e "progressista"; molto più avanguardista e progressista di quello che oggi si pavoneggia di amare la regia contemporanea, il canto colorista e le esecuzioni filologiche... un buon trent'anni dopo che queste rivoluzioni sono diventate prassi.
Questa prima fase (chiamala "pionieristica" o "compromissoria") è fondamentale, anzi la più importante di tutte, perché nulla è più difficile che dare la stura a un fenomeno del tutto nuovo!
Una volta che il fenomeno è partito, è ben più facile "migliorarlo" o "correggere il tiro".
Ma la cosa più importante di questa prima fase è che permette al pubblico di comincaire ad abituarsi, familiarizzarsi con ciò che prima sembrava irrimediabilmente "diverso", "estraneo".
Poi, una volta conquistata la familiarità, si passa alla ricerca di una maggiore specificità, ed è la seconda fase.
Non si cerca più il modo di edulcorare le "stranezze", ma ci si concentra sopra fino a trovare la strada per renderle "moderne".
E così i trilli ribattuti non saranno più spianati: i cantanti si danneranno l'anima per trovare il modo di renderli accettabili, accettati e addirittura espressivi.
E quando lo saranno diventati, troverai persino dei compositori contemporanei che li mettono nella loro opera, così come potranno utilizzare (nelle loro orchestra) tiorbe e chitarroni.
Tu dici che oggi, nel 2012... (benché viviamo una fase di pieno relativismo sessuale), vedere un uomo che recita nella parte di una donna farebbe morire dal ridere?
Ok, possibile.
Mettiti però nei panni di chi (nella sobria, virtuosa e vagamente omofoba società degli anni '50) sentiva per la prima volta un uomo cantare - dalla prima all'ultima nota - come una donna, come era il caso di Deller.
Quante persone si saranno messe a sghignazzare allora? E quanti, peggio ancora, avranno abbassato lo sguardo a terra, imbarazzatissimi?
Tanti... se pensi che ancora oggi, sessanta anni dopo, , c'è qualcuno - in qualche blog di passatisti - che invita i contro-tenori "ad andarsene a scheccare altrove" (e cito testualmente)!
Eppure non solo oggi sono ben pochi a ridere dei contro-tenori, ma - cosa ben più importante - le loro sonorità che un tempo ci avrebbero scandalizzato sono entrate nel nostro vocabolario, arricchiscono le possibilità di un compositore, aprono nuovi spaccati alle possibilità interpretative.
Se un giorno arriveremo - finalmente - a restituire i ruoli Rubini e Nourrit alle giuste vocalità, sarà per i decenni di "familiarizzazione" col falsetto maschile a cui i contro-tenori ci hanno abituato.
Tutto questo ...vale qualche iniziale risatina? Vale qualche iniziale imbarazzo? E persino qualche iniziale polemica (come quelle che, furibonde, accolsero i primi controtenori)?
Io penso di sì.
Prendi Cenere, unico film di Eleonora Duse.
A vederla recitare in quel modo verrebbe da dire che è una cagna che fa l'imitazione di una cagna!
Eppure affermare una cosa del genere (di Eleonora Duse!!) sarebbe un atto di superbia e soprattutto di stupidità.
Quella gestualità e quella mimica (che ispirò l'intero mondo della recitazione per vent'anni) doveva essere la stessa di Amelie Materne, Rosa Sucher e Marianne Brandt, regine di Bayreuth.
Quella gestualità e quella mimica Wagner aveva in mente pensando ai "tempi" del suo declamato, agli andamenti del suo decorso musicale.
non sto dicendo che si debba per forza recitare così nel Parsifal!
Non obbligatoriamente: non se affidiamo l'opera a un regista contemporaneo.
MA SE... tentassimo di ri-allestire in modo filologico esattamente il primo Parsifal della collina, allora il "direttore dell'immagine" (corrispettivo di Harnoncourt, Hogwood, Christie e Malgloire) dovrà occuparsi anche del gesto, del movimento, della mimica.
Ci mancano i dati? E' vero... mancavano anche quelli sullo stile, sulla sonorità, sul respiro della musica secentesca.
E cosa hanno fatto i filologi? Partendo dalle documentazioni, dalle testimonianze, da quel poco che possedevamo... li hanno INVENTATI.
E - nota bene perchè questo è il punto cardinale di tutto il discorso - non li hanno inventati in modo acritico, ma (consapevolmente o meno) facendoli interagire col nostro tempo, spinti com'erano dal bisogno di fare amare questa musica.
Faccio un esempio: è ovvio pensare che il canto immascherato e amplificato nei seni facciali impostosi tra 700 e 800 (necessaria conseguenza dell'ampliamento dei teatri e della base orchestrale) non fosse praticato nel '600.
Affermare quindi (con grande rabbia dei passatisti) che è patetico pensare che i cantanti di Cavalli avessero la tecnica della Sembrich... è sacrosanto.
Ok, ma poi?
Se non cantavano così, come cantavano? E come possiamo cantare noi questo repertorio?
Qui si è dovuto inventare, sperimentare, provare, per trovare un suono che, non amplificato in modo ottocentesco, potesse sostenere e valorizzare questa musica.
Be'... che sia un caso o no... la sperimentazione ha condotto i cantanti barocchi ad attingere a un tipo di colorismo ...sospettosamente simile a quello applicato in tanta musica pop!
E così facendo, oltre a rendere vivissima la musica vocale "barocca", ci hanno anche abituato a considerare "classici" suoni che prima (convenzionalmente) non lo erano!
E se oggi la Bartoli (piaccia o non piaccia) può applicare quelle stesse sonorità a "Ah rendetemi la Speme" è grazie al fatto che.... l'esecuzione di musica antica ci ha COSTRETTI ad accettare suoni nuovi, a interiorizzarli!
Capisci quel che voglio dire?
Se in futuro un "direttore di immagine" (uso questo termine per non confonderci col "regista" a cui invece si affida uno spettacolo ex-novo) si scervellerà su "Cenere" con Eleonora Duse e sui trattati di recitazione del secondo Ottocento (come già Hogwood sui Madrigali di Monteverdi) non sarà per imporre oggi quel tipo di movimento, ma per cercare un modo di rendere vivi oggi quei lontanissimi segni, i quali verranno ad arricchire il nostro personale vocabolario e nei quali (Mattioli mi chiederà il Copyright
) la nostra società potrà un giorno rispecchiarsi.
Venendo a TaO
Nei tuoi post (tutti interessantissimi) tu hai elencato le convenzioni nelle quali credi.
Molto giusto.
In molte di queste convenzioni credo anche io (e tanti altri); in altre no.
Io ad esempio non condivido quella della supremazia, nell'opera, della parte musicale.
Lo so che è una convenzione fortissima e durissima a morire (quello che conta è la musica... l'autore è il compositore... ecc...) ma io nemmeno da ragazzino, trent'anni fa, mi ci riconoscevo.
Anzi, mi incavolavo ogni volta che andavo alla Scala e vedevo, nel cartellone, il nome del regista scritto tanto più piccolo di quello del direttore!
Ero talmente convinto (nel mio rifiuto di quella convenzione) che mi rifiutavo di mettere gli LP delle opere in ordine di compositore, come facevano la maggior parte dei miei amici, perchè secondo me il compositore era un autore, ma non meno importante del librettista.
Le mettevo rigorosamente in ordine di Titolo.
Mi accorgo di essere stato all'avanguardia in questa tendenza!
Me ne sono accorto perchè ultimamente una ragazza che ora mi dà una mano nel Wanderer Club (non espertissima di opera, ma fresca di studi musicologici all'università) mi corregge puntualmente ogni volta che comunico ai soci che ci sono dei posti per "l'Aida di Verdi". Bene, pur senza aver mai fatto alcuna battaglia teorica come le mie di trent'anni fa, la ragazza immancabilmente puntualizza... "Aida di Ghislanzoni e Verdi", dato che oggi all'università la mia ribellione di allora è diventata "convenzione".
Quello che voglio dire, con questo esempio di biografismo d'accatto .) , è che tutto ciò che esponi va bene: non per definire cosa sia o cosa dovrebbe essere l'opera (questo non potrà mai dirlo nessuno), ma per intenderci su quali siano le convenzioni a cui (oggi) crediamo e nelle quali (oggi) ci riconosciamo.
Che il regista tiri le fila di un film è una convenzione (da me condivisa peraltro).
Che la muisca prevalga nella fruizione di un'opera sulle altre componenti è un'altra convenzione (da me non condivisa).
Sei d'accordo?
Ognuno di noi dà il suo contributo, accettando o rifiutando certe convenzioni.
vuoi la prova?
per me che un regista modifichi il libretto di un'opera, che un direttore operi dei tagli e magari (ovvia conseguenza) un arrangiatore riscriva in stile "più moderno" una partitura... sarebbe una cosa tremenda!
Se dovesse imporsi questa convenzione (e lo dico seriamente) abbandonerei l'opera e mi diedicherei a qualcos'altro.
Sono poche le convenzioni a cui sono più attaccato e per le quali sarei più disposto a lottare.
Eppure l'amico Enrico (anch'egli appassionatissimo d'opera, con gli stessi miei diritti di dire la sua) si chiede:
Enrico ha scritto:MatMarazzi ha scritto: Sta anche a noi impedire che un regista in un prossimo futuro sia autorizzato a cambiare il libretto!
E perché dovremmo impedirlo?
Come vedi, tutta la storia dell'arte... è solo una lunga battaglia di convenzioni!
Salutoni,
Mat