Voci: classificazioni e scelte di repertorio.

problemi estetici, storici, tecnici sull'opera

Moderatori: DocFlipperino, DottorMalatesta, Maugham

Messaggioda MatMarazzi » gio 14 giu 2007, 0:10

Per tornare un attimo al tema (E IN ATTESA CHE ROBERTO CI FACCIA SENTIRE LA SUA VOCE SULL'ARGOMENTO!!!!!) dirò che, quando si parla di ruoli sette-ottocenteschi, è mia abitudine rifarmi al nome (e quindi al modello vocale-poetico) dei creatori.
Come sanno i miei amici, io spesso vado farneticando di ruoli-Pasta, ruoli-Nourrit, ruoli Milder-Hauptmann, ruoli Scio, ruoli-Faure, ruoli-Colbran, ruoli-Viardot....
Trovo che sia molto più illuminante di tutti i "drammatico-lirico-spinto" di questo mondo.
Nulla è più utile per capire le caratteristiche di un personaggio, che studiare quelle dell'interprete su cui il personaggio è stato plasmato.
Anche i nostri direttori artistici e responsabili casting (che Dio li benedica) dovrebbero studiare un po' di più la storia del canto e dei cantanti sette-ottocenteschi e forse ci proporrebbero cast meno sballati.

E ora veniamo alle considerazioni "off-topic". :-)
A partire da Del Monaco.


gianluigi ha scritto:per il resto, per chiudere il discorso sull'otello, l'ho trovato sempre generico. non si può puntare tutto sul declamato.
...
la cosa che m'irrita di più è la concessione al gusto verista. perchè di questo si tratta. spesso si ascolta, proprio nell'otello, un del monaco lasciare spazio ad inflesioni parlate estranee all'opera e a verdi.


Io condivido tutte queste osservazioni.
Le trovo tutte giustissime e non mi sognerei mai di dire che sbagli.
Sono limiti "veri" quelli che metti sul campo e "obbiettivi".

In passato, quando difendevo Del Monaco, mi trovavo tanti amici "raffinati" che si sorprendevano.
"Ma come? Tu che ami la Kirby e la Von Stade, tu che stravedi per i liederisti più intellettuali come la Seefried e Patzak, tu che della Lulu della Silja hai fatto un idolo... come puoi amare Del Monaco, il tenore neorealista, il simbolo del loggionismo più rissoso e plateale..."

Io non nego tutto questo: me ne guardo bene!
Spesso, quando ascolto Del Monaco, non solo in Otello, mi arrabbio, scuoto la testa, alzo gli occhi al Cielo!
Però poi prendo Corelli, prendo Bergonzi (ora sono io che susciterò le folgori del forum!) e ho la sensazione che mi manchi qualcosa.

Sì, certo, cantano bene, sono più forbiti, più rassicuranti, più composti...le loro note tranquillizzano i maestri di canto e i nostalgici dell'antico tenorismo aulico.
Ma dietro a quelle note (per ammirevoli che siano) non sento nè verità umana, nè energia creativa; non sento l'autenticità di chi si butta sulle ragioni di un personaggio, ne fa sue le motivazioni, vi investe le proprie convinzioni; non sento nemmeno la volontà di lasciare un'impronta (quale che sia) nella sensibilità di chi l'ascolta.
E allora, nonostante tutto, torno a Del Monaco, senza alcun dubbio.
Sono trent'anni (da quando ascolto i dischi di Del Monaco, il chè coincide con la nascita della mia passione per l'opera) che litigo con lui, che non approvo certe soluzioni, che mi irrito alle sue guasconate...
Eppure sono trent'anni che lo ascolto.

Che vuoi che ti dica, Gianluigi... Io mi diverto solo se il canto diventa lo strumento espressivo di personalità forti e autentiche.
E se questo deve avvenire ALLE LORO REGOLE, sia pure.
Le piccole personalità, invece, non mi interessano mai, nemmeno se fanno le cose esattamente come io vorrei che fossero fatte.


Luca ha scritto:ci metterei una notissima esemplificazione, ma... tralascio

E fai bene a tralasciare, altrimenti ti tacceremmo di cellettismo! :twisted: Scherzi a parte, sono assolutamente d'accordo.
Se è per questo, io vorrei tanto sentire un Grande Inquisitore che sussurra con fare paterno, accarezzando dolcemente la testa di Filippo II come un sacerdote che confessa un ragazzo.
E' tanto che dico che sarebbe mille volte più terrorizzante, ma nessuno è d'accordo: il cattivo ha da esse' cattivo!
uff...

Bergonzi ha scritto:Con Callas e Verrett, la migliore!

Ehi, calma! :) E LA GENCER???
(ovviamente mi riferisco a quella del 1960 a Palermo).


Salutoni,
Matteo
[/quote]
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Messaggioda Luca » gio 14 giu 2007, 0:16

Se è per questo, io vorrei tanto sentire un Grande Inquisitore che sussurra con fare paterno, accarezzando dolcemente la testa di Filippo II come un sacerdote che confessa un ragazzo.
===========================================
C'era andato vicino Raimondi nell'edizione Karajan II (con Ghiaurov, Freni, Carreras, Cappuccilli e Baltsa), ma anche qui ad ascoltarlo bene manca qualcosa. Prima di lui Siepi (ma era di prammatica Filippo II).
Forse oggi potrebbe dare un'idea di quanto esprime Matteo R. Pape, ma è solitamente Filippo II.

Salutoni, Luca.
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Messaggioda dottorcajus » gio 14 giu 2007, 0:42

Ci sono e vi leggo ma, avendo pubblicato per sbaglio tutto il sito, sono straimpegnato a correggere, inserire, limare, insomma a fare tutto quello che normalmente avrei impiegato molto più tempo a fare.
Ho tempo a disposizione e sto dedicando almeno 8/10 ore giornaliere a questo lavoro e la testa mi bolle. Vorrei rispondere ma non riesco a trovare la giusta concentrazione.
Comunque risponderò.
Roberto
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Messaggioda gianluigi » gio 14 giu 2007, 1:15

siccome sono stato io a mettere in primis il nome del monaco,perdonatemi se ho scatenato quest'inferno! sapevo-non senza un pizzico di malizia-che avrei suscitato molte critiche. e se dovessi esprimere tutto ciò che penso riguardo la questione interpretativa dell'otello degli ultimi settant'anni, non finiremmo mai di discutere. questa è un'opera che io amo moltissimo anche se non la trovo pienamente riuscita in ogni sua parte. ad esempio già otello lo trovo abbastanza energumeno come personaggio. vocalmente però è molto affascinante. più affascinante è jago, alla fine il vero protagonista dell'opera.
poco tempo fa,matteo,ascoltavo l'otello di pavarotti. è stato un otello bistrattato questo, un pò da tutti, ma a me è piaciuto moltissimo. anzi, l'ho trovato superiore - e di molto- al tanto generico domingo.d'altronde verdi aveva a disposizione voci chiare, quella di tamagno era squillantissima e chiara. quella di pavarotti pure.vocalmente parlando poi, lo considero superiore a tutti gli otelli degli ultimi 50 anni. è l'unico, dopo vickers, a conferirgli la giusta e sacrosanta civiltà vocale. immagino che anche questo che dico farà molto scalpore..e sarebbe un argomento inesauribile anche la storia vocale-interpretativa di jago, da maurel ad oggi.
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Messaggioda VGobbi » gio 14 giu 2007, 9:05

MatMarazzi ha scritto:
Luca ha scritto:ci metterei una notissima esemplificazione, ma... tralascio

E fai bene a tralasciare, altrimenti ti tacceremmo di cellettismo! :twisted:

Ma perche' mai? Secondo me Luca ha sbagliato a non citare l'esempio, anche se e' preclaro a chi si riferiva. Ed e' per questo che non ho difficolta' a rispondere : Gobbi.
Si proprio lui, capace di regalarci diversi Jaghi, chi piu' interessante e chi meno. Se vogliamo quello piu' attinente ai gusti moderni, allora basta citare l'edizione Rca diretta da Serafin con il trio delle meraviglia Vickers-Rysanek-Gobbi. Quest'ultimo, proprio nella criticata frase "Lo vidi in man di Cassio" e' sussurrato come fanno altri e pochi grandi baritoni, ad esempio un Thibbett (semplicemente straordinario), un Warren od un Milnes.

Cuntent? :twisted:
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Messaggioda Manrico » gio 14 giu 2007, 10:02

Avevo letto il “pensiero” di Gianluigi circa la vocalità e le interpretazioni di Del Monaco, ma avevo pensato: “ecco il solito detrattore” che cerca di denigrare il più grande Otello della storia del teatro lirico, per cui, mi asterrò dall’intervenire.

Poi, leggendo il paragone con Pavarotti nel ruolo di Otello, ho capito che questo signor Gianluigi deve essere giovane e probabilmente (anzi sicuramente) non ha mai sentito Del Monaco in teatro dal vivo.

Io invece, si, anzi ho sentito nella stessa serata e nello stesso teatro Del Monaco e Pavarotti nel 1973 al Teatro San Carlo di Napoli.

Ebbene, caro signor Gianluigi, le voci di Del Monaco e Pavarotti hanno una “piccola” differenza, la voce di Del Monaco in teatro era almeno tripla rispetto al tenore modenese, un calibro veramente immensamente diverso, come paragonare una cannonata con uno sparo di un fucile, si faceva fatica a sentire la voce del modenese, dopo aver sentito il tuono delmonachiano, e pensare che Del Monaco nel 1973 era alla frutta, mentre il giovane tenorino di Modena era giovanissimo.

Anni dopo, sono venuto in possesso del CD del predetto concerto del 1973, che era in onore di Caruso, ho notato il “fenomeno” che già conoscevo molto bene: le voci dei cinque tenori presenti al concerto, nelle registrazioni audio, erano tutte allo stesso livello, anzi, sembra quasi “più grande” la voce di Pavarotti di quella di del Monaco, incredibile ma vero, questo è il risultato delle mistificazioni che avvengono nelle registrazioni audio.
Come diceva il vecchio e saggio Lauri Volpi: il registratore dà la voce a chi ne ha poca e la toglie a chi ne ha molta.
Con questo cosa voglio dire, voglio dire che, oggi, chi ascolta, attraverso le registrazioni, non capirà mai la vera caratteristica e caratura vocale di una voce, per i motivi sopra esposti.

A parte queste considerazioni circa il volume delle voci, la grandezza di un artista come Mario Del Monaco, non era dovuta solo al volume, come è già stato messo in evidenza da Pietro, ben altre erano le caratteristiche univoche che hanno reso celebre il tenore fiorentino.

Per cercare di capire appieno la sua arte, è necessario percorrere tutto l’arco della sua carriera a partire dalle prime registrazioni anni ’40 e fermarsi al 1962, infatti dopo l’incidente automobilistico, la voce di Del Monaco non fu più la stessa e, meglio avrebbe fatto ad abbandonare.

Dopo tale periodo veramente le sue interpretazioni le ritengo molto criticabili, anche se nell’ultimo Otello di Bruxelles nel 1972, dimostrò ancora una volta di essere un fuoriclasse, il suo esultate in quella occasione fu veramente qualcosa di irripetibile, mentre aveva perso la sicurezza che l’avevano sempre distinto in ogni nota del pentagramma, aveva acquistato una maggiore controllo della sua già prodigiosa capacità respiratoria, permettendosi il lusso di completare con un fiato solo “dopo l’armi lo vinse, l’uragano”. Un vero uragano di suono e di fiati.

Infine vorrei dire che tutte le considerazioni negative di Gianluigi circa le mezze voci e le filature del tenore fiorentino, non corrispondono al vero, Del Monaco sapeva usare qualsiasi sfumatura vocale, come è dimostrato dalle innumerevoli testimonianze discografiche, vero è che egli stesso in alcune interviste (ne ho appena messa una nel mio sito, inedita), spiega i motivi per i quali, dopo l’Otello, dovette abbandonare alcuni ruoli lirici romantici che, fino al 1950 ( ma anche per qualche anno ancora), eseguiva in teatro, filature e mezze voci comprese, che, per i motivi sopra esposti (le voci vanno ascoltate dal vivo), avevano caratteristiche prodigiose che le registrazioni non potranno mai riportare appieno.

Per concludere: paragonare altri tenori a Del Monaco nell’Otello verdiano, da un attento e non superficiale esame della interpretazione, fa pendere sempre la bilancia in favore del tenore fiorentino, perché Del Monaco è stato Otello in teatro per ben 427 volte, affrontando il ruolo in giovanile età, mentre la maggioranza dei più prestigiosi nomi della lirica, da Caruso a Pavarotti, passando per Corelli, o non hanno mai cantato questa massacrante opera IN TEATRO, o si sono limitati a registrazioni discografiche (con tutte le tecniche di amplificazione e mistificazione che comportano), o si sono limitati a poche recite affrontate oltre i 50 anni di età, quando ormai non avevano più nulla da perdere.

Per questo motivo non si può rimproverare a Del Monaco di aver usato meno le filature e le mezze voci, dopo Otello, chi lo critica su queste basi, dimostra di non conoscere la storia del teatro e delle interpretazioni.
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Messaggioda Luca » gio 14 giu 2007, 11:30

Secondo me Luca ha sbagliato a non citare l'esempio, anche se e' preclaro a chi si riferiva. Ed e' per questo che non ho difficolta' a rispondere : Gobbi.
Si proprio lui, capace di regalarci diversi Jaghi, chi piu' interessante e chi meno. Se vogliamo quello piu' attinente ai gusti moderni, allora basta citare l'edizione Rca diretta da Serafin con il trio delle meraviglia Vickers-Rysanek-Gobbi. Quest'ultimo, proprio nella criticata frase "Lo vidi in man di Cassio" e' sussurrato come fanno altri e pochi grandi baritoni, ad esempio un Thibbett (semplicemente straordinario), un Warren od un Milnes.
========================================
Mah, Vittorio, non so che dirti sullo Jago di Gobbi: tanto Giudici quanto Celletti scrivono l'inverso di quello che tu hai detto. In secondo luogo, non sono mai stato un'estimatore dell'edizione che tu citi diretta da Serafin (fatto salvo Vickers). Vedrò di riascoltarla e ti aggiungerò qualche altro parere. Terzo aspetto per i grandi baritoni: mi vanno bene Thibbett e Warren, ma Milnes... insomma... c'è stato un Mc Neil molto più valido di lui (indipendentemente dallo Jago).

Saluti, Luca
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Messaggioda VGobbi » gio 14 giu 2007, 11:44

Luca ha scritto:Vedrò di riascoltarla e ti aggiungerò qualche altro parere.
Ne sarei molto curioso.


Luca ha scritto:Terzo aspetto per i grandi baritoni: mi vanno bene Thibbett e Warren, ma Milnes... insomma... c'è stato un Mc Neil molto più valido di lui (indipendentemente dallo Jago).

Hai fatto benissimo a citare Mc Neil, altro grande baritono di valore inestimabile, piu' sul lato vocale che interpretativo.
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Messaggioda MatMarazzi » gio 14 giu 2007, 12:22

Manrico ha scritto:il più grande Otello della storia del teatro lirico


Scusa Manrico, ma la prima cosa che verrebbe da rispondere a questa affermazione è "amen".
Di fronte a tanta perentorietà apodittica, sono io che mi vorrei astenere dall'intervenire. Non credo infatti che una replica possa interessare a chi crede di esprimere la semplice verità.
Lo faccio solo perché, come moderatore, avrei piacere che si mantenesse in questo forum uno spirito dialettico. un piacere di confrontarsi da parte di tutti.

Il "signor" Gianluigi esprime la sua visione del problema, come io esprimo la mia e tu la tua.
Ogni contributo alla discussione è interessante.
Nessuno di noi è in attesa che Mosé scenda dal monte con le 12 tavole a rivelarci la verità chiudendo la discussione.


Nello specifico, ho difeso Del Monaco: ho cercato di dire le ragioni per cui lo ammiro, ho anche affermato - e lo penso - che ci siano cose che vanno al di là dello spartito e del buon gusto.
Ma non sottoscriverei mai che Del Monaco sia stato il più grande Otello della storia del teatro lirico.

Fu un grande, storico Otello; ma è anche possibile far diversamente da lui, far meglio (come sempre) e secondo me lo si è pure fatto.
Tanto per fare un esempio, a me basta una nota di Vickers (che pure ha grossi limiti anche lui) per ribaltare una tale classifica.

A proposito di Vickers....

Gianlugi ha scritto:poco tempo fa,matteo,ascoltavo l'otello di pavarotti.
...
è l'unico, dopo vickers, a conferirgli la giusta e sacrosanta civiltà vocale. immagino che anche questo che dico farà molto scalpore..


Nessuno scalpore, Gianluigi.
Credo anche io che, in termini di "estensione", Pavarotti sia stato l'unico Otello "in parte" della discografica recente e questo perchè la sua era una vocalità acuta.
Non credo, per questo, che potesse evocare lo splendore eroico dei tenori di forza contraltini tardo-ottocenteschi (il più recente, in questo senso, è stato Lauri Volpi, nei dischi del 43).
Inoltre a me cascano le braccia (scusa la franchezza) di fronte alla modestia interpretativa del tenore modenese, ma questo (ehm... ehm...) mi capita qualsiasi cosa canti.

Ciò che veramente desta il mio scalpore è sentirti tentare un accostamento a Vickers!
Mi sorprende e mi fa piacere! Perché mi aiuta a mettere in discussione la tua critica a Del Monaco.

Come sempre vado affermando io (e contrariamente al verbo pervicacemente diffuso dal grande Celletti per decenni) è il risultato poetico-emozionale che va valutato.
Il dato "tecnico" (si fa così, si canta così, qui apre, qui chiude, qui non rispetta lo spartito, ecc.. ecc...) è meno importante.

Lo dimostra il fatto (se mi permetti) che dopo aver aggredito Del Monaco per la sua scarsa adesione tecnico-stilistica all'Otello verdiano, hai esaltato un interprete (Vickers) che da questo punto di vista FA MOLTO PEGGIO!
L'emissione di Vickers era assai più declamatoria di quella di Del Monaco.
Il suo canto era talmente aperto e stimbrato che, ad esempio, in Italia non l'hanno quasi mai potuto soffrire.
Non c'era più nulla di vocalistico: persino i grandiosi pianissimi del canadese, se li ascolti bene, sono aperti e falsettanti, quindi estranei al dettato vocalistico-italiano.
Molto più di DelMonaco (infine) Vickers era baritonale; il si bemolle era una scommessa; quindi anche nel suo caso il modello Tamagno-deNegri-deReszke (che invocavi a proposito di Del Monaco) era una chimera!

Eppure, nonostante tutto questo, tu apprezzi il suo Otello!
E ci mancherebbe, santo Cielo! E' un Otello fantastico!
Nel giudizio di un artista conviene - secondo me - partire dai risultati e poi indagare la tecnica: quest'ultima può anche essere lontanissima da ciò che riteniamo giusto, ma - se ha permesso all'artista di costruire qualcosa - sarà comunque efficace.

Se lo hai fatto per Vickers (giudicare il risultato poetico-musicale, indipendentemente dallo stile e dalla tecnica), perché non ci provi anche con Del Monaco?
Magari non ti piacerà lo stesso, però forse arriverai a riconsocere che qualcosa da dire ce l'aveva pure lui... e magari tanto da dire, visto che centinaia di migliaia di persone, per vent'anni e oltre, gli hanno creduto.

Salutoni,
Matteo

PS: ormai non c'è niente da fare; siamo OT come balconi.
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Messaggioda MatMarazzi » gio 14 giu 2007, 12:42

VGobbi ha scritto:Quest'ultimo (Gobbi) proprio nella criticata frase "Lo vidi in man di Cassio" e' sussurrato


MA DOVE????
Strilla il solito "Cassio" con beceraggine rabbiosa!
Guarda che ce l'abbiamo anche noi il disco! :)

Comunque una volta Gobbi rispose alle critiche in merito.
E disse che, poiché lui cantava spesso l'opera all'estero, occorreva che la gente capisse bene di cosa stava parlando: per questo strillava la frase!
E dove cantavano, secondo lui, Tibbett e Warren?

Che dire?
Un bel tacer non fu mai scritto! ;)

Salutoni,
Matteo
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Messaggioda Manrico » gio 14 giu 2007, 12:46

MatMarazzi ha scritto:
Manrico ha scritto:il più grande Otello della storia del teatro lirico


Scusa Manrico, ma la prima cosa che verrebbe da rispondere a questa affermazione è "amen".
Di fronte a tanta perentorietà apodittica, sono io che mi vorrei astenere dall'intervenire. Non credo infatti che una replica possa interessare a chi crede di esprimere la semplice verità.
Lo faccio solo perché, come moderatore, avrei piacere che si mantenesse in questo forum uno spirito dialettico. un piacere di confrontarsi da parte di tutti.

Il "signor" Gianluigi esprime la sua visione del problema, come io esprimo la mia e tu la tua.
Ogni contributo alla discussione è interessante.
Nessuno di noi è in attesa che Mosé scenda dal monte con le 12 tavole a rivelarci la verità chiudendo la discussione.


Nello specifico, ho difeso Del Monaco: ho cercato di dire le ragioni per cui lo ammiro, ho anche affermato - e lo penso - che ci siano cose che vanno al di là dello spartito e del buon gusto.
Ma non sottoscriverei mai che Del Monaco sia stato il più grande Otello della storia del teatro lirico.

Ma io non sono sceso dal Monte per dire la mia verità, ho spiegato i motivi per cui Del Monaco è stato il più grande Otello della storia, chi altri ha mai fatto altrettanto IN TEATRO: Nessuno!!
Quindi ecco che la verità viene fuori da sola, volente o nolente.
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Messaggioda MatMarazzi » gio 14 giu 2007, 13:06

Manrico ha scritto:Ma io non sono sceso dal Monte per dire la mia verità, ho spiegato i motivi per cui Del Monaco è stato il più grande Otello della storia, chi altri ha mai fatto altrettanto IN TEATRO: Nessuno!!
Quindi ecco che la verità viene fuori da sola, volente o nolente.


E' vero Manrico: la frequenza delle recite e la quantità di anni in cui si è cantato un ruolo sono un buon indicatore dell'importanza storica di un interprete.
Ma non credo che sia l'unico.

Ad esempio, ci sono casi (la Lady Macbeth della Callas) in cui tutto si è esaurito in 5 recite.
Eppure la Callas è stata una delle più grandi interpreti del ruolo.

Inoltre, non credi che se facessimo la conta di quanti Otello ha cantato Domingo e per quanti anni verrebbe fuori una cifra straordinaria, non tanto diversa dal nostro Mario?
Non mi sbilancio, ma io direi che otterremmo numeri anche superiori!
Eppure credo che (a parte Bagnoli) siamo tutti d'accordo che Domingo come Otello non fosse paragonabile ai grandissimi, Del Monaco in primis.

Quello che vorrei dire è che tu hai messo in campo alcuni ottimi argomenti a favore di Del Monaco (il numero di recite, la strapotenza che - giustamente - il disco tradisce, ecc...).
Ma il problema può essere visto anche da altre angolature.

Il disco, ad esempio, non mente sul fatto che Del Monaco "recitasse" (e con enfasi per me un po' insopportabile) tutta la prima parte di "Dio mio potevi scagliar", mentre Verdi ha scritto precisissime note che alcuni di noi (me compreso) vorrebbero sentir cantare.
Questo è solo un esempio...
Insomma, la verità (per fortuna) non è di questa terra! :)
Il bello di discutere sta proprio in questo, almeno per me.
Nell'aggiungere sempre nuovi elementi ed esperienze per "approssimarci" a qualcosa che alla verità può anche assomigliare.

Ad esempio considero un ottimo argomento a favore dell'importanza storica dell'Otello di Del Monaco, più ancora del numero delle recite, il fatto che - a quarant'anni di distanza - gente che dovrebbe discutere di "repertori e classificazioni vocali" finisce per parlare solo di lui! :)


Un salutone "pro-delmonaco"
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Messaggioda Manrico » gio 14 giu 2007, 13:33

Non mi risultano tenori con un numero di recite di Otello superiori a quelle che ha fatto Del Monaco, ho avuto modo di conoscere le recite di Giovanni Martinelli in questo ruolo: 19 e anche Martinelli non scherzava in quanto ad interpretazione, anzi, per il tipo e colore di voce era più vicino a Tamagno che a Del Monaco, forse questo sarebbe piaciuto al buon Peppino Verdi.

Di Domingo non conosco il numero di recite, (non mi è mai piaciuta la sua voce, infatti non possiedo nessun suo disco, ne ricevetti in regalo due che ho regolarmente ri-regalati), ma dubito che ne abbia fatte più di Del Monaco, se qualcuno lo sa, si faccia avanti.

Da quello che ho sentito, poi, Domingo nel secondo atto, in una delle ultime sue recite, è svenuto...... :cry: peraltro cantava anche mezzo tono sotto :evil:
Quello che molti non sanno, invece, su Del Monaco, è che lui aveva varie "edizioni" o produzioni di Otello che variavano in base al luogo dove venivano rappresentate, l'interpretazione, quindi era adattata al luogo e al pubblico, questo lo faceva per assecondare i gusti del pubblico, quindi se oggi un anglosassone ascolta un "live" registrato, rappresentato in america latina, non sarà d'accordo su quella interpretazione e viceversa. :D
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Messaggioda dottorcajus » gio 14 giu 2007, 15:36

L’argomento è vasto e dopo aver recuperato la lettura dei precedenti interventi provo a scrivere la mia opinione (quindi ad ogni affermazione, quale sia l’apparente tono espressivo usato, si legga sempre il fatidico “secondo me”).

Trovo che l’avvento del verismo e quindi del rapporto stretto fra parola, azione e canto, sia stato il momento in cui si è iniziato a cambiare ed a specificare il repertorio in fasce vocali. Ogni cambiamento nelle produzioni operistiche, in ambito interpretativo, è stato solitamente anticipato da cambiamenti nei costumi dell’epoca. Per comodità, ma senza alcun intento di essere preciso, parlerò di ante 1890 e post 1890.
Prima l’interpretazione era sicuramente ottocentesca, era piuttosto edulcorata ed aulica, al cantante si chiedeva più fantasia e libertà che aderenza psicologica al personaggio, o meglio gli si chiedeva di esprimere un insieme di sentimenti piuttosto limitati. Il cantante era il soggetto per cui sembrava che l’opera fosse scritta. Ovviamente già da tempo questo rapporto stava cambiando ma il cantante restava un esecutore posto al centro dello spettacolo. Non si insegnava l’uso del falsettone né il pubblico lo richiedeva. Le cose cambiano a livello generazionale con i nati intorno al 1880. Se ascoltiamo alcuni baritoni nati intorno al periodo 1855/1875 le voci sono prevalentemente chiare, quasi tenorili, lo stile estremamente legato ai canoni antichi. I cantanti nati dopo iniziano ad avvicinarsi all’opera ed allo studio del canto dopo il 1890 ed ecco che nascono artisti dal gusto diverso, dalle intenzioni diverse sul piano interpretativo. Quello che non cambia è la tecnica di canto che ovviamente è ancora legata alla scuola antica. Tutto ciò non spiega come si inizi nel tempo a classificare le voci ma ci dimostra come in realtà la vera evoluzione o involuzione è nel gusto e nei canoni interpretativi che seguono di pari passo i cambiamenti della società. In molte recensioni dell’epoca fanno emergere la presenza in teatro di un pubblico assetato di novità che arriva a considerare alcune opere “del buon Beppino”, questo scritto quando Verdi era anziano ma vivente, fossero considerate ripieghi per riempire i vuoti nella stagione in attesa della novità di turno.
In quelle cronache si legge di “potenza della voce, di acuti squillanti, di acuti potenti, di fiati lunghissimi” ma accanto l’artista doveva essere vivacemente espressivo fino a raggiungere atteggiamenti che oggi definiremmo atletici e plateali. Il problema che si pone è capire quali criteri oggettivi fossero seguiti per valutare questi concetti. Concordando con le varie considerazioni già espresse è ovvio che questi criteri erano sostanzialmente diversi da quelli odierni. Resta il fatto che i criteri espressivi dei cantanti seguono quello che il pubblico chiede. Negli anni trenta, in un epoca dove l’enfasi, la retorica e la tendenza a calcare i toni, artisti come la Arangi Lombardi e la Stignani erano eccezioni e qualcuno poteva considerarli freddi e distaccati.
Personalmente trovo comoda ma anche superflua la classificazione delle voci fermo restando che ogni repertorio ha la sua voce ideale. Ovviamente la voce sola non basta se non è supportata da qualità artistico-interpretative adeguate al ruolo interpretato ma queste qualità, senza una voce adeguata, sono altrettanto isufficienti.
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Messaggioda dottorcajus » gio 14 giu 2007, 17:11

Credo che anche cantanti come la Callas siano parti di un processo che parte da più lontano. Il suo contributo è stato importante in quanto, grazie alle sue caratteristiche artistiche, ha permesso la realizzazione di una linea di pensiero alla cui costruzione probabilmente avevano lavorato altri componenti del mondo musicale. In questi termini trovo riduttivo esprimersi in un prima e dopo Callas visto che accanto a lei e prima di lei altri fattori influenzarono questi avvenimenti. Ho sempre ritenuto la lirica odierna condizionata da altri fattori.
Dapprima trovo giusto segnalare l’effetto dannoso che ha avuto sul cantante l’innalzamento del diapason orchestrale e l’innalzamento del volume sonoro prodotto dalle orchestre a causa dello smisurato aumento dei loro organici. Mi sono sempre chiesto perché un opera, concepita dal compositore per un determinato organico orchestrale e con un certo diapason debba oggi essere riproposta con parametri diversi. Così facendo si altera il risultato finale della esecuzione. A questo si deve aggiungere il ruolo perverso che nel tempo ha assunto il direttore d’orchestra ed il regista, due figure che nell’ottocento occupavano ruoli meno importanti.
In questo contesto la diffusione delle registrazioni di opere complete e le successive live sono stati elementi imporanti da prendere in considerazione.
L’effetto che hanno avuto nel tempo è stato importantissimo da un punto di vista culturale perché hanno permesso la diffusione e la conoscenza di tanti cantanti e di tante opere ma hanno anche prodotto un effetto secondario estremamente dannoso: la nascita del cantante discografico. Non intendo un cantante da disco, come potrebbe essere il cantante Bocelli (che non è ovviamente un tenore ma un semplice cantante) ma un cantante a cui, negli anni, non viene più richiesto il corretto rapporto fra palcoscenico-pubblico che occorre avere in teatro. Per questo direi che oggi la classificazione delle voci è nuovamente e, purtroppo definitivamente alterata. Personalmente parto dalla attinenza della voce al repertorio, un attinenza che deve essere necessariamente accompagnata da qualità artistico-espressive di base (su queste lavora l’artista per differenziarsi dagli altri) adeguate al personaggio da interpretare. La mancanza di una delle due caratteristiche non permette di raggiungere il risultato ideale. La lirica ha pochi parametri oggettivi ed i medesimi riguardano la sua storia e la tecnica del canto ma tutto l’aspetto che riguarda l’interpretazione è vittima della soggettività ed in questa ottica va analizzata. Se ci riflettiamo al cantante, ad ogni sua prestazione, chiediamo la risposta alle nostre aspettative e queste sono in genere soggettive. Ecco perché (non voglio aprire polemiche né sollecitare interventi a favore o contro) trovo poco stimolanti artisti come Domingo, Carreras, Pavarotti, Caballè, Nucci, Scotto, Florez ed altri artisti di indubbia bravura e notorietà. Una Norma della Caballè o della Sutherland possono avere delle qualità ma non rispondono al mio soggettivo modello esecutivo e di conseguenza non provocano il mio interesse.
L’ascolto di un cantante a teatro è ovviamente diverso dal suo ascolto discografico, sia registrazione live o, ancor di più, registrazione in studio. Non solo le registrazioni risentono degli effetti modificativi insiti nel processo di registrazione e nell’eventuale processo di editing, ma anche la loro fruizione da parte dell’ascoltatore è molto diversa. In teatro ci rechiamo in un determinato giorno ed in teatro ci portiamo dietro il nostro quotidiano che non sempre ci consente di essere totalmente a disposizione di quanto andremo ad ascoltare. Diverso è l’ascolto del disco, di solito effettuato in condizioni ideali e di totale dedizione. Oggi leggo spesso considerate plausibili le escursioni discografiche di un cantante quale premessa ad una sua eventuale esecuzione teatrale, tutto senza considerare minimamente se la sua voce corrisponde al modello ideale per l’esecuzione teatrale, quella voce che senza il supporto della registrazione, cambia notevolmente in meglio od in peggio. L’ascoltatore discografico tende a valutare la prestazione teatrale optando per gli stessi criteri che segue quando ascolta un disco o vede un dvd. Il dvd rende molto bene questo concetto visto che spesso si valuta uno spettacolo lirico attraverso la sua visione che offre però una regia teatrale della ripresa dello spettacolo ma non certamente la regia lirica dello spettacolo prodotto in teatro. Oggi notiamo nelle interpretazioni di tanti cantanti una inadeguatezza espressiva ed una tendenza alla genericità. Questo è determinato da tanti fattori.
Ovvio che incide su questo la tendenza della società all’omologazione ma si deve considerare che un giovane cantante di 25 anni si è avvicinato all’opera all’inizio degli anni novanta. I suoi modelli sono stati probabilmente i cantanti che ha visto in quegli anni a teatro, il disco ha avuto altrettanta importanza nella sua formazione ma anche questo era la riproduzione di modelli presenti in teatro. In poche parole la concezione dello spettacolo lirico aveva già delle connotazioni precise che oggi, ulteriormente appesantite, sono presenti negli spettacoli lirici. Negli anni novanta i confini del repertorio erano già ormai scomparsi e si avvallavano cantanti che facevano dell’allargamento sconfinato del repertorio una delle loro cifre artistiche. Già si era perso di vista il rapporto fra voce e ruolo e si avvallava la tesi della versione di un tal cantante della tale opera. In questo contesto mi sembra ovvio che cantanti che hanno avuto modelli simili si sentano autorizzati a tentare di ripercorrerne le strade.
Roberto
dottorcajus
 
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