In questo momento di relax vacanziero, in cui il forum sonnecchia e l'amministratore se ne va in vacanza "senza portarsi il portatile" (come i più savi di noi hanno fatto), mi è venuta l'idea di sottoporvi alcune considerazioni che in questi giorni ci stiamo facendo io e Maugham.
Il dibattito è partito dalla visione di uno spettacolo davvero formidabile: il Don Giovanni che la scorsa estate ha fatto le belle sere al Festival di Salisburgo.
Il regista è uno dei famosissimi di oggi (Claus Guth) che, per chi non lo sapesse, è un protetto di Maugham.
Personalmente, a parte gli scherzi, sono molto grato a Maugham di avermelo fatto conoscere: finora non mi ero mai soffermato sul suo caso, per una sorta di diffidenza verso gli attuali registi tedeschi.
L'insistenza di Maugham mi ha fatto capire la portata della novità linguistica di Guth, in tutto e per tutto apparentabile a McVicar e a Pelly, per la semplicità e rapidità narrativa (semplicità per modo di dire...), il taglio cinematografico e i contenuti giovani, se non giovanilistici, specchio del dinamismo, superstimolato e internazionale, dell'"Internet Generation", della sua moralità "flessibilie", della sua sessualità promiscua e disimpegnata, del neo-barocchismo dei suoi costumi.
Il Don Giovanni di Guth - che fa seguito alla Nozze e precede il Così fan Tutte di quest'anno - è una radicale rilettura (cosa a cui siamo abituati da molto tempo). Eppure non ha nulla a che fare con i tomi di concettosità tragica, cupa e denunciataria a cui la "OperRegie" ci ha abituato; qui tutto è dinamico e spregiudicato, e i simboli appartengono tutti al nostro tempo.
Insomma, proprio come Mc Vicar, con la differenza che questo Guth è un tedesco.
Di fronte a questo allestimento coinvolgentissimo e vivo, Maugham se ne è uscito con una frase importante: "questo è uno spettacolo con cui si dovrebbe inaugurare la Scala".
Da un lato l'idea è suggestiva; un Don Giovanni reso vivo dalle pulsioni del nostro tempo, pieno di ragazzi e ragazze esuberanti e caustici, che pare non riescano a star vestiti, di immagini poeticissime e semplici, fra nottate in pineta, droghe, balli e solitudine; ha ragione Maugham: non è possibile non restare travolti; in condizioni di "sincerità" lo sarebbe anche il loggione milanese.
Il pubblico in Italia (costretto alle retrovie da decenni) ha proprio bisogno di un trattamento d'urto... e Guth vincerebbe probabilmente la scommessa.
Anche a me la fantasia un 7 dicembre prossimo capitanato da Guht pare vincente... quello che non va - per me - è il titolo.
E non solo perché l'opera è stata data solo due anni fa a Milano.
E nemmeno perché questa non sarebbe una nuova produzione (indispensabile a Sant'Ambrogio).
Ma perché non si può portare il nostro pubblico alle ultime frontiere dell'interpretazione operistica con un titolo che ESSO CREDE DI CONOSCERE, come appunto Don Giovanni!
Occorre essere furbi: il pubblico scaligero - per becero e arretrato che sia (non per colpa sua, intendiamoci) - è convinto di saperla lunga.
Se gli si annuncia un Don Giovanni, il nostro loggione si armerà per la rissa prima, molto prima di vedere lo spettacolo.
I "modernisti a tutti i costi" (che sono anche peggio) saranno pronti alla rissa a loro volta.
Alla fine nessuno godrà più lo spettacolo, perchè tutti intenti a salvarlo o affossarlo pregiudizialmente.
Mentre un 7 dicembre vero non deve essere questo: non deve essere la vittoria dei moderni sui beceri, e nemmeno della tradizione eroica sui giovinastri senza rispetto.
Un'inaugurazione dovrebbe essere una serata di gioia collettiva, di emozione e di felicità di esserci.
Insomma, secondo me bisogna mettere il pubblico nelle condizioni di non entrare a teatro sul piede di guerra, di non coltivare pregiudizi di sorta; di non sentirsi in dovere di "salvare Mozart dal solito regista".
Quindi va benissimo Guth, ma ci vuole un altro titolo, un titolo che dovrebbe rispondere a tre regole:
1) deve essere sfarzoso e festoso, un grande affresco corale, adatto a un'inaugurazione
2) deve essere adatto al taglio un po' emotivo e cinematografico di Guth (che è brillantissimo, ma non credo ideale per opere contenutisticamente ambiziose: non un Boris per intenderci)
3) non deve essere avvertito dai loggionisti come "roba nostra", "roba da difendere" (vedi Aida, Don Carlos...).
Poiché se ne era parlato recentemente a proposito della Fleming, io ho proposto Elena Egizia, penultimo dei capolavori di Strauss e Hofmannsthal.
Morfologicamente è perfetta.
Due atti sontuosi, in "Cinemascope", musica di bellezza e suggestione potentissima, dai profumi esotici e decadenti, ambientazione sia classica, sia orientaleggiante, grandi squarci di magia, deserti sotto le stelle, movimenti coreutici, tanti personaggi forte e aggettanti.
E persino un sentimentalismo (acuto, profondo, persino ironico) di impatto "colossal", ma nel quale si può trovare tutta la profondità intellettuale di due grandi artisti.
E' un'opera perfetta per quel grande rito di splendori che è un'inaugurazione.
Gli intellettualuzzi griderebbero "al coraggio" della scelta! I tradizionalisti invece non saprebbero nemmeno cos'è... commenterebbero sogghignando che la Scala è costretta ad aprire con le opere "sconosciute" perchè Verdi non lo sanno fare!
Ne direbbero di tutti i colori, però - ed è questo che conta - ci verrebbero e senza alcun'intenzione (una volta tanto) di fare casino.
Perché sono sicuro che verrebbero ugualmente?
Perché il 7 dicembre è sempre il 7 dicembre e ...soprattutto perché noi utilizzeremmo la calamita di un cast da super-occasioni (altra cosa indispensabile a un'inaugurazione).
Ci vorrebbe un'Elena super-star, cosa abbastanza diffile: peccato che il loggione si sia giocato un ritorno della Fleming (vi immaginate cosa sarebbe stato un debutto della Fleming in un simile ruolo, per di più in un Sant'Ambrogio?)
Il nome della Stemme (e la sua femminilità scultorea) farebbe una gran figura; se non fosse che il ruolo è leggermente alto per lei; Ma mmaginiamo per ora di chiamare lei in Elena di Troia. Al suo fianco - nel ruolo della Maga Aithra - potrebbe trionfare la Dessay (e sarebbe un'altra presa di ruolo).
Finalmente sentiremo una maga di levatura drammaturgica vera. Non escluderei, per questo ruolo, di sentire anche la disponibilità della Gruberova, per un suo ultimo ritorno alla Scala.
Settore uomini: solo l'imbarazzo della scelta! Menelas: Kauffman, Altair: Hampson, ecc....
Con un cast del genere tutti i loggionisti correrebbero a teatro e - una volta tanto - non con il piglio aggressivo e patetico da giustiziere della notte.
In un'opera del genere (roba da tedeschi) non si scandalizzerebbero nemmeno della presenza di Guth.
A quel punto sarà solo compito di Guth (e del direttore di turno... io sognerei Salonen) se il pubblico non si pentirà di essere entrato. Se lo spettacolo sarà entusiasmante come il Don Giovanni (ma senza essere il Don Giovanni) allora sarà un primo passo verso la rinascita della Scala e del suo pubblico.
E soprattutto sarà un 7 dicembre in cui si potrà parlare solo di musica e di teatro.
Dopo si potrà proporre Guht in altri titoli (ad esempio - suggeriva opportunamente Maugham - il Mefistofele).
Maugham non è d'accordo: per lui l'Elena non è un'opera di grande repertorio.
Io dico che lo è: è vero che è poco rappresentata purtroppo, ma che vuol dire?
Non era molto rappresentato neanche i Vespri Siciliani nel 1951; e La Vestale (con cui si inaugurò la Scala sia ai tempi della Callas, sia a quelli di Muti)? E l'Armida di Gluck?
L'Elena è molto più fastosa e spettacolare di questi titoli.
Secondo Maugham un titolo più indicato (per un 7 dicembre con Guth) sarebbe il Peter Grimes.
Ora, io stravedo per il Grimes, ma non lo vedo come inaugurazione: è un titolo depressivo, dalla narrazione monodirezionale, che non descrive altri movimenti che la caduta del protagonista, senza speranza, fin dal prologo.
Intendiamoci, il bello del Grimes è proprio qui (e anche la sua freschezza, persino ingenua in certo senso); ma un'inaugurazione dovrebbe avere per me quel piglio consapevolmente grandioso e festoso che - ad esempio - hanno il Billy Budd e la Gloriana dello stesso Britten.
Lui ne proponeva la direzione a Harding (che a me non pare cosa tanto incisiva, sempre nell'ottica della festa) e il ruolo del protagonista a Cura, che invece secondo me non sarebbe assolutamente in grado di venir a capo delle linee altissime in pianissimo, scritte da Britten. Io sono il primo a scandalizzarmi del fatto che un grande artista come Cura non sia alla Scala da tanti anni, ma proprio esporlo a stecche e stiracchiamenti, con il loggione che non aspetta altro, mi sembra azzardato.
Secondo voi ho ragione io, o ha ragione Maugham?
O abbiamo torto entrambi?
E allora cosa proporreste?
Sbizzarritevi pure con titoli e cast, ma sempre tenendo Guth come regista dello spettacolo!
Vediamo che salta fuori.
Salutoni,
Mat