Francesca da Rimini (Zandonai)

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Francesca da Rimini (Zandonai)

Messaggioda MatMarazzi » sab 13 ott 2007, 11:30

Visto che in altro thread si è parlato di questa magnifica opera di sangue e sensualità, di nostalgie crepuscolari e medievali massacri, da bravo Genceriano quale sono vi chiedo: CHI CONOSCE IL LIVE DELLA FRANCESCA DEL 1961 DA TRIESTE?

Secondo me qui la Gencer (al vertice della sua creatività e bravura tecnica) dimostra come si possa fare questo ruolo iper-decadente esaltandone lo stile ma senza farne una imitazione di Francesca Bertini e delle dive da film muto.

Cosa ne dite?

Salutoni
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Messaggioda dottorcajus » sab 13 ott 2007, 13:00

L'ho appena scaricata e cercherò di ascoltarla con un attenzione maggiore di quella che solitamente riservo alle registrazioni. Voglio sperimentarmi nell'analisi che molti di voi fanno e che non mi è abituale. Poi cercherò di dire la mia.
Roberto
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Messaggioda VGobbi » sab 13 ott 2007, 17:12

Gli altri interpreti del cast chi sono, Matteo?

E come lo cantano/interpretano il duetto tra Gianciotto e Malatestino "Era meco tua moglie ...".

Ho ancora nelle orecchie quelle di Stabile contro Nessi!!!
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Messaggioda MatMarazzi » sab 13 ott 2007, 19:05

VGobbi ha scritto:Gli altri interpreti del cast chi sono, Matteo?


16 marzo 1961
Orchestra Orchestra e Coro della Fondazione del Teatro Lirico Giuseppe Verdi
Direttore: Franco Capuana

Francesca: Leyla Gencer
Giovanni Lo Sciancato: Anselmo Colzani
Paolo il Bello: Renato Cioni
Malatestino dall'Occhio: Mario Ferrara
Samaritana: Anna Gasparini
Ostasio: Enzo Viaro
Biancofiore Silvana: Alessio Martinelli
Garsenda: Liliana Hussu
Altichiara: Rita Comin
Donella: Bruna Ronchini
Sir Toldo Berardengo: Raimondo Botteghelli
Il Giullare: Claudio Giombi
Il Balestriere: Raimondo Botteghelli
Il Torrigiano: Eno Mucchiuti

Quanto al duetto Gianciotto/Malatestino, devo dire che Colzani (oltre alla Francesca fantasmagorica della Gencer e alla splendida dirzione di Capuana) è la grande sorpresa di questa incisione.
Si può dire che fa un Gianciotto iper-verista, volgare, pesante... ma lo fa in un modo divino.
Nessuna delle pacchianate esteriori dei baritons vilains: piuttosto una naturalezza, una forza, una rabbiosa insolenza, ma anche una virilità paterna che fanno paura.

Il tenore Ferrara non ha ASSOLUTAMENTE il registro acuto della parte di malatestino e le urla disperate che caccia sono imbarazzanti.
Però in teoria avrebbe un fraseggio insinuante e un calore di gioventù che sarebbero perfetti.
Ma la cosa che colpisce è che sono tutti bravi: anche le seconde parti, anche le donnucole della corte di Francesca, anche l'orchestra - galvanizzata dal direttore - anche il violoncello dell'incredibile finale primo.
E' tutto a un livello talmente alto che si resta esterrefatti.
Questa era la Trieste di quegli anni, sofisticata, vellutata, perfezionista.

Quasi in sordina, senza far troppa confusione, senza pubblicità... questa Francesca della periferia italiana finisce per far vacillare le edizioni altolocate e ufficiali.
Certo, Renato Cioni non è un fulmine di guerra (stona spesso e come virilità lascia un po' a desiderare), ma ha bella voce, timbro chiaro e squillante e acuti facili. L'unico suo limite è che rispetto al canto scuro, sontuoso e sensuale della Gencer, più che il cognato sempre il nipotino da svezzare! :D

Salutoni
Matteo


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Messaggioda VGobbi » sab 13 ott 2007, 19:09

MatMarazzi ha scritto:Quasi in sordina, senza far troppa confusione, senza pubblicità... questa Francesca della periferia italiana finisce per far vacillare le edizioni altolocate e ufficiali.

Anche quella del '52 con le coppie Caniglia/Prandelli e Tagliabue/Carlin? Oppure quella dell'87 con Kabaivanska/Matteuzzi (che piacevolissima sorpresa questo tenore!!!) e Manuguerra/De Palma?

Ho citato le due edizioni in questione, perche' sono le uniche di cui possiedo.
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Messaggioda MatMarazzi » sab 13 ott 2007, 19:36

dottorcajus ha scritto:L'ho appena scaricata e cercherò di ascoltarla con un attenzione maggiore di quella che solitamente riservo alle registrazioni. Voglio sperimentarmi nell'analisi che molti di voi fanno e che non mi è abituale. Poi cercherò di dire la mia.
Roberto


Attendo con impazienza di sentire se ti è piaciuta, Roberto! :)

Quanto a Vit, io non ho una passione per la Caniglia (anche se qui mi piace un po' di più che in Aida o Ballo in Maschera).
La Kabaywanska (altra cantante per cui non ho una simpatia particolarmente spiccata) mi pare su un altro livello.
Il ruolo di Francesca era uno di quelli che potevano esaltare le risorse di fraseggio, di accento, di musicalità della cantante.

Io continuo a preferire la forza, l'autorità, le sensualità "vera" e fragrante della Gencer, nel fiore dei suoi trent'anni, ma ammetto che la Kabaywanska si difende.

Una Francesca imponente è anche la Olivero di cui resta traccia nel live dalla Scala e nei brani scelti (entrambi con Del Monaco) incisi alla DECCA.
Curioso che la cantante il cui nome è più associato a Francesca l'abbia in effetti cantata solo due volte.

Anche la Gencer l'ha affrontata solo due volte: San Francisco nel 1956 e Trieste nel 1961.
A San Francisco aveva sostituito la Tebaldi.
E, benché io ami la Gencer molto più di quanto non ami la Tebaldi, credo sia un vero peccato che la super-Renata non abbia mai cantato questo ruolo (nemmeno a Firenze, dove gliel'avevano richiesto l'anno prima).

Esiste poi un video (che non ho mai visto) della RAI, con Ilva Ligabue.
Non so come funzioni in questo ruolo, ma per me la Ligabue è stata una della cantanti più complete e emozionanti che abbia sfornato l'Italia.
Mi scusino i sostenitori della Freni, ma non mi spiego come si possano versare fiumi di inchiostro sul simpatico soprano emiliano e non dedicare nessuna attenzione alla superba carriera della Ligabue.
Tra l'altro non era proprio una sconosciuta: ai suoi anni cantava in tutto il mondo, inaugurava la Scala, alternava Mozart e Verdi addirttura a Glyndebourne, incideva per la Decca con Bernstein.

Scusate le divagazioni.
un salutone
Mat
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Messaggioda Luca » lun 15 ott 2007, 14:15

Esiste poi un video (che non ho mai visto) della RAI, con Ilva Ligabue.
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Circa il DVD della Ligabue probabilmente verrà pubblicato in termini meno apocalittici di quanto si possa pensare, se si tiene conto che di recente uscita è una Rondine RAI con la Carteri, Gismondo e Valdengo (come Rambaldo). Della Ligabue ho un bel ricordo avendola ascoltata in una delle sue ultime interpretazioni di Alice nel Falstaff negli anni '70.
Circa poi il personaggio di Francesca, oltre alle storiche Gencer, Olivero e aggiungiamo Scotto dirò alcune cose, in margine all'intervento di Matteo:
a) la Freni ha inciso solo l'aria (Paolo datemi pace), ma non credo -data la sua conformazione vocale e interpretativa, ma anche psicologica (era detta la 'Prudentissima') - che sarebbe stata un'adeguata Francesca. L'aria è interessante, ma di qui a tutto il personaggio con tutte le sue ansie febbrili è un altro conto;
b) anche la Tebaldi ha inciso il duetto con Corelli, ma forse era una voce troppo matronale per spiegare tutte le ambiguità giovanili del ruolo. Anche lì non so SE la ciambella sarebbe riuscita con il buco...
c) onore quindi alla Gencer (che, tra l'altro, in un epoca di tagli canta anche la scena dell'incubo con i lupi che l'azzannano (atto IV, sc. 1). Poche lo fanno e la stessa Dessì qui a Roma l'ha saltata), ma la Scotto non è da sottovalutare. Inferiore forse come riuscita alla Gencer, ma non meno sfaccettata pur con i suoi manierismi e le sue pose.

Saluti, Luca.
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Messaggioda fadecas » lun 15 ott 2007, 23:58

Mi ha fatto piacere riascoltare, sullo spunto di Matteo, la Francesca della Gencer, dato che per ragioni anagrafiche non ho potuto -ma di poco - vederla dal vivo a Trieste in quella produzione (aggiungo che in quegli anni era di casa sul palcoscenico del Verdi, dover spaziava dalla Agathe del Franco cacciatore a Lucia a Carlotta del Werther fino ad arrivare a Lida in Battaglia di Legnano). E’ un esempio eccellente della versatilità della cantante, che pure in questo repertorio non dette molto di sé.
Ma chi, come il sottoscritto, conserva un ricordo indelebile della sua Falena di Smareglia pur risalente a ben 14 anni dopo (e l’edizione del ’75 per fortuna è del pari stata riversata su disco) non si meraviglia di come la Gencer, evitando sistematicamente tentazioni di tipo “verista” a cui era intimamente aliena, sapesse infondere alle figure un po’ marginali del teatro di fine ‘800 una plasticità di rilievo, una rupestre e altera riservatezza, parente in fondo della regalità dolente e corrucciata delle sue eroine donizettiane, che nella gravità dell’affondo timbrico si stagliavano con perentorietà. Un modo moderno, e a suo modo originalissimo, di rivivere l’opulenza decadente e dannunziana da cui quelle larve avevano preso le mosse innervandola di una linfa in un certo senso più antica, di sobrietà e rigore più ottocenteschi che liberty.

In questo senso, la pur allora giovane Gencer si poneva , senza che probabilmente nessuno se ne rendesse conto, su un piano assolutamente competitivo con le migliori alternative allora possibili a Francesca. Alternative che, in fondo, si compendiavano in un nome solo, quello della Olivero, protagonista pochi anni prima (’59) dell’edizione scaligera diretta da Gavazzeni accanto a Del Monaco, fortunatamente documentata dalla discografia.
Edizione che rimane una delle interpretazioni di punta, secondo me, di tutta la carriera oliveriana, anche perché risale ad un momento magico in cui il timbro non aveva ancora perso la sua penetrazione e lucentezza, le emissioni, scomparsa la tendenza al vibrato, si erano fatte più salde, le mezzevoci nel registro centrale erano soffici, e la sensibilità frastagliata e vibratile del soprano piemontese sapeva effondersi al meglio nel modellare un percorso lirico e drammatico che dalla freschezza dell’abbandono iniziale assecondava il personaggio senza un attimo di tregua fino al sofferto e sensuale disfacimento dell’atto finale.
Una Francesca di cui è facile gioco sottolineare con matita rossa o blu , a posteriori, i birignao e gli artifici, ma a cui credo sia difficile negare una coerenza interna di stile che sembra , quasi con un miracoloso effetto di ritardamento, prolungare e portare allo zenith nella seconda metà del ‘900 la temperie culturale e di gusto d’inizio secolo in cui l’opera di Zandonai/D’Annunzio affondava le sue radici –e, aggiungo, riecheggiando molto più la lezione drammaturgica di Eleonora Duse che la sua volgarizzazione consumistica nei film di Francesca Bertini …
Non consiglio, invece, l’incisione in studio di 9 anni più tarda del duetto e del finale realizzata con Del Monaco sotto la direzione di Rescigno, che pure è stato citata da Matteo. Qui il timbro della Olivero è inacidito, la fantasmagoria dei colori vocali si è ridotta di molto, ed emerge anche una tendenza ad enfatizzare ed esasperare sia i momenti languidi che quelli roventi che non regge assolutamente il paragone con l’equilibrio della performance dal vivo di dieci anni prima.

Quanto all’incisione dell’87 realizzata dai complessi della radio bulgara sotto la direzione di Maurizio Arena, purtroppo arriva assai tardi per rendere adeguata giustizia al ruolo di rilievo che nel almeno nel decennio ‘70/’80 aveva assunto nel ruolo della protagonista Raina Kabaivanska.
Ammetto di essere “di parte” nei cfr. di questa attrice/cantante e della sua Francesca in particolare, avendola sentita e vista dal vivo, per fortuna otto anni prima, nell’allestimento di Samaritani che aveva toccato parecchi palcoscenici, fra cui il Verdi di Trieste – dovrebbe esistere da qualche parte una ripresa video del Filarmonico di Verona, chissà però in quali condizioni …
Nel disco che, pur inciso in studio, riflette ormai una fase di appannamento timbrico e, ben più grave, di appesantimento del gusto, si colgono solo ad intermittenza gli echi di quella dialettica di assottigliamenti ed espansioni che era il pilastro interpretativo della Kabaivanska in Francesca nel momento migliore, e che le consentiva di realizzare momenti di abbandono sensuale vertiginoso – non dimentico, a teatro, il fervore rapinoso del suo balzo all’acuto nel “Ditegli ch’egli è venuto!” al termine della perorazione del primo atto – alternati ad altri di improvviso ripiegamento (come in certe frasi del duetto a. III, “Ah, che già sento, all’arido fiato …””Guardate il mare, come si fa bianco …”).
Pur nell’emissione ormai troppo ingolata che caratterizza la fase in cui fu realizzata la registrazione però, trovo che quanto meno i risvolti sospirosi e crepuscolari del personaggio vengano fuori con un’intensità che proprio non riesce tuttora a lasciarmi indifferente, e che non ritrovo realizzata con altrettanta convinzione da nessuna altra protagonista.

Altro discorso sarebbe poi quello sul modello di attrice che Kabaivanska riusciva a realizzare in Francesca (come in altri ruoli, beninteso) alle soglie di un’estrema rivisitazione di una “maniera” liberty proiettata nell’orizzonte della memoria, siglata nell’emblematicità della citazione, lontanissima, a mio avviso, dalle accuse di “bertinismo” mosse spesso da chi non aveva saputo inquadrarla nella maniera giusta, e lasciata, temo, assolutamente senza eredi proprio sul filone della resa scenica e attoriale … anche qui, non posso che lamentare la mancanza di documentazioni a sostegno – oppure a smentita – della memoria.

In questo senso, la pur eccellente Francesca della Scotto nel DVD diretto da Levine come attrice non riesce proprio a convincermi, mi pare alla vana se pur diligente ricerca di un gusto che non le appartiene proprio per intima congenialità. Il che non toglie che il fraseggio della Scotto sia, qui come sempre, analitico e raffinato, pieno di fantasia e insieme di autoconsapevolezza, e quindi raggiunga in pieno l’obiettivo di una Francesca autorevole.

Un cenno soltanto alla Ligabue. Condivido pienamente la provocazione di Matteo nel paragone isitutito con la Freni. E’ triste pensare che un soprano lirico di ottimi mezzi, di tecnica salda e di canonica aderenza alla tradizione italiana quale Ilva Ligabue sia stato avvolto così presto dall’oblio, e le registrazioni potrebbero ristabilire sicuramente un po’ di giustizia ad una cantante capace di spaziare, fra l’altro, in un repertorio molto vasto.
Riascoltando, però, la sua Francesca RAI del ’58 (con Mirto Picchi e Aldo Protti, dir. Sanzogno) mi convinco che Francesca non era un ruolo in cui potesse eccellere. Il suo timbro compatto e ombreggiato si prestava meglio ad altre parti, in cui le esigenze del canto sulla parola non fossero così spiccate (ricordo un’impressione altrettanto limitativa di una sua Tosca dal vivo a TS agli inizi degli anni ’70). Per aggiungere che anche le doti dell’attrice erano latitanti, e un eccesso di riserbo e circospezione raffreddavano l’effetto, come si percepisce anche all’ascolto.

Ma chiedendo scusa se mi sono un po'troppo allontanato dal focus del thread, ossia Gencer/Fracnesca, concludo con un interrogativo.
Constatando l’inesorabile decadimento di un titolo che sembra ormai destinato a sporadiche riapparizioni – la pur volonterosa Dessì che ho visto alcuni anni fa allo Sferisterio di Macerata mi sembrava una larva diafana ed esangue, da tutti i punti di vista, rispetto ai modelli che abbiamo passato in rassegna – mi chiedo se, in un ruolo come Francesca – ma potrei citare una galleria di altri ruoli italiani tardoveristi altrettanto protesi verso suggestioni novecentesche non lontane da influssi d’Oltralpe, da Parisina alla Fiamma – l’apporto di un’interpretazione mutuata sui modelli di canto “declamato” alla tedesca, di tipo wagneriano-straussiano, che i gestori di questo forum propugnano di frequente con fervido accanimento, non avrebbe potuto o potrebbe riservare delle svolte pertinentemente innovatrici.
In fondo, una grande Francesca – oltre che una grande Minnie – degli anni ’40 quale fu Franca Somigli aveva il plauso dello stesso Strauss quando cantava Salomè, Elettra, Marescialla … E' sbagliato il raffronto?

Saluti a tutti, Fabrizio
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Messaggioda MatMarazzi » mer 17 ott 2007, 20:15

Carissimo Fadecas,
il tuo post mi offre un'infinità di spunti emozionanti, perché si collegano a tante considerazioni che ho fatto e che faccio su questa Francesca da Rimini Genceriana, che considero una "folgorazione" nel percorso dell'artista turca, una riuscita talmente imprevedibile e lontana dal suo abituale repertorio da non essere ancora riuscito a spiegarmela adeguatamente.


fadecas ha scritto:non si meraviglia di come la Gencer, evitando sistematicamente tentazioni di tipo “verista” a cui era intimamente aliena, sapesse infondere alle figure un po’ marginali del teatro di fine ‘800 una plasticità di rilievo, una rupestre e altera riservatezza, parente in fondo della regalità dolente e corrucciata delle sue eroine donizettiane, che nella gravità dell’affondo timbrico si stagliavano con perentorietà.


Tutto quel che dici è giusto, anche se l'ultima frase (il rapporto alle regine donizettiane) mi lascia perplesso.
Mi lasciava perplesso anche da ragazzo, quando leggevo il commento (bellissimo) di Gianni Gori agli lp di questa Francesca della serie "Documents" della Fonit Cetra.
Anche lui metteva in relazione la "regalità" della Gencer con questa Francesca, regale a sua volta benché incoronata solo di "sfiorite violette".

Eppure io non ci ho mai creduto veramente.
Io sentivo in questa Francesca (che è una delle due o tre incisioni genceriane che amo di più, degna di stare al livello del Devereux napoletano, della Battaglia o della Stuarda fiorentina, della Jerusalem veneziana) qualcosa che non ho mai più trovato da nessuna parte, uno stile, un eloquio, un modo di assaporare la frase con mille artifici ritmici e coloristici ma senza mai venir meno a una naturalezza, una "verità" che non ho mai più ritrovato in nessun personaggio genceriano.
...E tu sai (anche se temo che non concordi) che se devo cercare un limite nella Gencer è proprio nel fatto che alle volte, anzi spesso, non la sento "naturale", quanto fieramente consapevole delle proprie maschere o delle proprie corone (è per questo che le sue regine ronzi de begnis sono per me un fatto culturale prima ancora che vocale).

Niente di tutto questo trovo nella Francesca.
Artifici? Sofisticazioni? Manierismi? Un mare, come sempre.
La sua grandezza sta proprio in questo.
Analizzando singoli scampoli di frase ("guardate il mare come si fi bianco" o "e buona ventura Iddio vi dia, all'uno come all'altro" o "forse io lo vidi") si resta inebetiti dagli infiniti ricami, dall'appoggiarsi sul ritmo (non al modo delle veriste, ma nemmeno delle belcantiste), dalle gradazioni cromatiche e dinamiche che avrebbero choccato persino una straussina, da quel sottolineare ogni consonante, quell'assaporarla con una voluttà che nemmeno un'italiana avrebbe potuto provare, fino a stravolgerne alcune "ah, tu mi svegli" diventa "ah, tu mi z(esse dolce)vegli.
Quindi artifici a gogò.
Eppure... eppure tutto è talmente fluido, vero, umano, fragrante, vivo!
Se si aggiunge la modernità dell'accento e quel suono roccioso, talvolta aspro, che esalta il cotè barbarico del contesto, si potrebbe porre questa Gencer sulla linea di una Muzio piuttosto che di una Somigli.

Tutti gli aspetti che le preme sottolineare del personaggio (la sensualità, l'abbandono, la fierezza, la grandiosità indifesa, la passione che - per dirompente - non delude mai il compiacimento mentale, persino morboso), tutti questi aspetti, dicevo, si intergrano e interagiscono in un ritratto di umanità e di verità che io non sono più riuscito a trovare in nessuna eroina genceriana, nemmeno le sublimi e torbide tiranne del maturo Donizetti.

Sì certo: in comune c'è l'affondo timbrico di cui parlavi. Eppure non basta: questa Francesca è a parte, sfugge a tutte le sintesi e a tutte le definizioni che - in trent'anni di ascolti - sono riuscito a cucirle addosso.
Svela lati del suo essere cantante (e checché tu ne dica, del suo essere donna) che in ogni altro ruolo abbia sentito da lei mi resta nascosto.

Pensa che a un certo punto (non sapendo come giustificare lo strepitoso risultato di questo disco) ho pensato di convincermi che il suo vero mondo fosse questo, più ancora dell'Ottocento.

E che Verdi, Donizetti fossero altri ambiti, meravigliosamente esplorati, ma non tali da rivelare la vera natura dell'artista.

E così mi sono buttato alla ricerca di ...qualcosa che potesse assomigliare a questa Francesca.
La stessa Gencer in Puccini (Butterfly, Tosca, Liù, Suor Angelica) è completamente diversa e mai a questi livelli.
In altri ruoli veristi o naturalisti (Adriana e Santuzza) la Gencer non solo non metteva in discussione la sua tipica retorica (quella donizettiana e verdiana) ma ne provocava lo schianto su di un linguaggio per lei incomprensibile.
Ho scandagliato Gioconda (ipotizzando una consequenzialità fra la Pantaleoni e il sublime dannunziano, fra Boito e la Duse...) ma niente da fare: qualche scintilla "francescana" l'ho trovata solo - in parte - in "Amor dono funesto".
Il suo Angelo di Fuoco è straordinario, ma certi colori sono più vicini alla Battaglia di Legnano o al primo Macbeth (quello di Palermo) che non a questa Francesca.
Mi sono fiondato su Bartok, Chopin e Poulenc, sperando che almeno nella musica da camera riaffiorasse quel taglio così singolare, nobile, corrucciato (come dici tu) ma anche cedevole, languidamente aristocratico, irresistibilmente femminile.
Ma niente da fare: splendida in tutti questi autori (Chopin in particolare) ma sempre diversa, sempre la Gencer che conosco io, che gioca di rimandi, che alterna le maschere, che incenerisce e ammicca con lo stesso sguardo.

Allora ho pensato che forse, negata al naturalismo (come tu giustamente dicevi) la Gencer traesse l'ispirazione per la sua Francesca proprio dalle suggestioni verbali, musicali e post-romantiche del decadentismo.
E infatti, sia pure assolutamente non agli stessi livelli, mi pare che proprio la Falena di Smareglia dimostra una certa continuità: è una Gencer molto declinante, appesantita, eccessivamente retorica, ma abbandonata alla più grandiosa malinconia, all'inutilità del vivere, a tratti struggente e nel finale irresistibilmente fragile ("Stellio... aiuto... addio").
Purtroppo non ho mai sentito il suo Pizzetti (Assassinio, Straniero, il monologo di Fedra cantato una sola volta).


Mi sono spesso fermato a riflette cosa avrebbe prodotto la Gencer a contatto con le origini vere di quel mondo (Wagner) ma sono arrivato alla conclusione che non sarebbe stato convincente.
Aveva troppo bisogno del filtro "post" wagneriano, dello schermo manierista che la sofisticazione dannunziana poteva donarle.

Resta il fatto che la grandezza di questa Francesca ha pregiudicato per me, definitivamente, la possibilità di apprezzarne altre.
Non ho sentito la Olivero scaligera (che tu descrivendola mi hai messo gran curiosità di conoscere) ma devo ammettere che i brani scelti della DECCA mi avevano già sufficientemente persuaso.
Ferme restando le critiche che le rivolgi, io ero già rimasto estasiato dalla mobilità del canto e da quella varietà di spunti sonori che non temevano il confronto con la Gencer... la Olivero merita il titolo di Francesca di riferimento. E tuttavia, lo devo ammettere, la verità che ho sempre sentito nella Francesca della Gencer, io nella Olivero non l'ho trovata.
Mi fido di te sulla netta superiorità della prima Olivero rispetto alla seconda, come sulla bravura della Kabaywanska in questo ruolo.

Al termine di simili dissertazioni, sarebbe bellissimo mettere on line (a profitto di tutti) alcune frasi e frammenti di queste tre Francesche.
Io purtroppo ho in cd solo la Gencer. Tu potresti ridurre in mp3 qualche frammento e mandarcelo?


mi chiedo se, in un ruolo come Francesca – ma potrei citare una galleria di altri ruoli italiani tardoveristi altrettanto protesi verso suggestioni novecentesche non lontane da influssi d’Oltralpe, da Parisina alla Fiamma – l’apporto di un’interpretazione mutuata sui modelli di canto “declamato” alla tedesca, di tipo wagneriano-straussiano, che i gestori di questo forum propugnano di frequente con fervido accanimento, non avrebbe potuto o potrebbe riservare delle svolte pertinentemente innovatrici.


E' un problema che mi sono posto frequentemente.
Ti risponderò a parte!

Per ora salutoni,
Matteo
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Messaggioda fadecas » mer 17 ott 2007, 22:34

Molto suggestiva ed appassionata la disamina di Matteo sul ruolo di Francesca nella storia interpretativa della Gencer!
Apprezzo molto, e concordo quasi su tutto, anche se la mia conoscenza di questa grandissima artista, che pure amo da sempre, non si spinge fino al livello di empatia che le riflessioni di Matteo attestano, per cui personalmente conservo una riserva di “prudente agnosticismo” sul grado ottimale di congruenza tra il personaggio di Francesca e Leyla Gencer “donna”. Ma si tratta certamente di un mio limite di intuizione o di approfondimento, oltre che di una mia pregiudiziale di metodo (come ho avuto modo di confrontarmi con Matteo ed altri nell’apposita sezione dedicata alle “questioni generali”…)

Fermo restando, però, che della Gencer interprete mi ha colpito da sempre una peculiarità che, spero, nessuno possa negarle. Ossia la consapevolezza culturale estremamente lucida e profonda rispetto a tutte quanto da lei fatto sul palcoscenico, in un’epoca in cui questo tipo di approccio raziocinante e analitico era ancora piuttosto raro, per lo meno come capacità di un interprete di estrinsecare razionalmente il senso e le intenzioni delle proprie operazioni. Basta sentire la registrazione delle sue lezioni donizettiane fatte alla sede RAI di Trieste a fine anni '70 ..

Se questo è accettabile, si può bene ipotizzare che la “maniera” tardoverista e dannunziana, consentendo di amalgamare mirabilmente viscere ed intelletto, potesse esserle nativamente più congeniale di altre conquiste fatte su altri versanti del repertorio.

Peccato, senza dubbio, che la Gencer non si sia spesa più di tanto su questo terreno, forse anche condizionata dal declinare del gusto e dell’interesse intervenuto proprio a partire dalla seconda metà dei ’50, in parallelo con la riscoperta del primo Ottocento, per un certo repertorio del primo trentennio del secolo (da Zandonai a Pizzetti a Malipiero a Respighi, per intenderci) che fino a quel momento si era perpetuato con una esile ma non interrotta continuità sui palcoscenici italiani.

Molto resterebbe da aggiungere, ma mi preme, purtroppo, dare a Matteo e ad altri una delusione: non sono abbastanza esperto da estrarre dai file mp3 dei frammenti sulle Francesche a diletto degli amici di Operadisc .
Informo, però, che tutte e tre le edizioni di Francesca Gencer/Olivero/Kabaivanska di cui abbiamo parlato sono linkabili da OperaShare, con i download pienamente aggiornati e disponibili in data odierna, da verifica appena condotta.

Un saluto a Matteo e a tutti gli altri,
Fabrizio
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Messaggioda dottorcajus » gio 18 ott 2007, 0:05

Stimolato da voi tutti faccio qualcosa di estremamente insolito per me. Sto ascoltando e comparando Olivero/Gencer (La Kabaivanska ha purtroppo l'insopportabile Matteuzzi e neanche il mio amore per la Raina riesce a farmelo digerire). Intanto devo dire che l'opera mi sta piacendo e molto.
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Messaggioda MatMarazzi » ven 19 ott 2007, 23:11

fadecas ha scritto:l’apporto di un’interpretazione mutuata sui modelli di canto “declamato” alla tedesca, di tipo wagneriano-straussiano, che i gestori di questo forum propugnano di frequente con fervido accanimento, non avrebbe potuto o potrebbe riservare delle svolte pertinentemente innovatrici?
In fondo, una grande Francesca – oltre che una grande Minnie – degli anni ’40 quale fu Franca Somigli aveva il plauso dello stesso Strauss quando cantava Salomè, Elettra, Marescialla … E' sbagliato il raffronto?


Caro Fabrizio,
ti avevo promesso una risposta su questo tema e ora mi ci proverò.

Amando molto le grandi declamatrici post-belliche (e considerandole, tranne poche eccezioni, più grandi delle contemporanee cantanti di repertorio italiano) mi sono spesso chiesto se si sarebbe potuta affidare loro la rinascita e la valorizzazione del grande repertorio italiano post-romantico ed extra-verista.

In generale credo che sarebbe stato possibile.
Non è male sognare una Rysanek nella parte di Mila di Codro (magari affiancata alla nostra Olivero nella parte di Candia della Leonessa).
Non sarebbe stato male sentire la mia Silja nella Donna Serpente di Casella o la Moedl nei cavalieri di Ekebu.

La Borkh, poi, è stata realmente una celebratissima Silvana della Fiamma (praticamente la sua unica apparizione alla Scala, oltre alla Lady Macbeth di Shostakovich).
Perché allora non Francesca?

Perché a me Francesca pare diversa da tutte le opere sue contemporanee, persino di Zandonai.
Forse a condizionarmi è proprio la grande riuscita della Gencer.

Le declamatrici, nella loro esasperata ricerca di colori, sono state costrette a sacrificare la linearità del canto, la millimetrica gestione agogica del fraseggio.

Quando mai avremmo potuto chiedere loro le prodigiose gradazioni dinamiche che rendono così emozionate il canto della Gencer in questo ruolo (ma, siamo onesti, anche della Olivero e della Kabaywanska)?
E' possibile secondo te gestire e valorizzare la frase dannunziana, avviluppata nei pepli melodici di Zandonai, senza una linearità di stampo quasi belcantistico?

(è pur vero che nemmeno le belcantiste, dal canto loro, avrebbero potuto valorizzare la "parola" come fanno la Gencer e la Olivero).

Se ascolto una frase come:
"è dolce cosa vivere obliando, fuor della tempesta che ci affatica... non richiamate, prego, l'ombra del tempo, in questa fresca luce che alfine ci disseta"
io vi sento come... un linea violinistica.
Non riuscirei a prescindere dalla varietà "strumentale" del fraseggio nemmeno se in cambio avessi i mille colori di una Varnay o di una Welitsch.

Alla fine forse solo la Borkh (il cui canto era ampio, vellutato e misticheggiante) e la giovane Gwyneth Jones (che inizialmente era una grande melodista, sensuale e abilissima nelle filature) avrebbero potuto stare a galla.
La mia Silja sarebbe stata penosa. E persino la Nilsson (amata dai nostri vociologi in quanto più tradizionale come emissione) sarebbe risultata ingessata fra le volute e gli ammiccamenti modali di questa musica.

Forse le declamatrici "ben educate" ed edonistiche della fase inter-bellica (la Leider, la Lehmann, la Larsen-Toedsen, la Lawrence) avrebbero potuto far bella figura, ma....
ma... resta il problema della lingua.

Come avrebbero potuto loro comprendere le lusinghe caleidoscopiche della scrittura dannunziana?
E come avremmo potuto noi tollerare una traduzione in tedesco di
"io sol vidi una rosa
che mi si offerse più viva
del labbro di una fresca ferita...
e un canto giovine udii nell'aria".


E tu, Fabrizio, che giustamente affermi che la Gencer si è spesa poco su questo terreno, quali altri ruoli le avresti suggerito?
In quali altre opere di questa estetica pensi che la Gencer avrebbe rinnovato il miracolo (anzi il mistero) di questa Francesca?

Io ci ho riflettuto, credimi, ma non sono approdato a niente.
E mi sono rassegnato a mettere Francesca a parte, e a mettere a parte l'esecuzione della Gencer.

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Messaggioda MatMarazzi » ven 19 ott 2007, 23:12

dottorcajus ha scritto:Stimolato da voi tutti faccio qualcosa di estremamente insolito per me. Sto ascoltando e comparando Olivero/Gencer (La Kabaivanska ha purtroppo l'insopportabile Matteuzzi e neanche il mio amore per la Raina riesce a farmelo digerire). Intanto devo dire che l'opera mi sta piacendo e molto.
Roberto


Be'... a che punto sei? :)

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Messaggioda Luca » ven 19 ott 2007, 23:48

Beh, a mio avviso, una interessante Francesca sarebbe potuta essere la Crespin. Se non altro una visione più vicina alla Gencer che non alla Olivero. Comunque un posto di rilievo in quest'opera anche se soltanto di buona fattura e non particolarmente travolgente sul piano interpretativo risulta esser stata la Pobbe.

Saluti, Luca.
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Messaggioda dottorcajus » sab 20 ott 2007, 0:03

Ho potuto ascoltare parzialmente le due edizioni. Purtroppo il suono della edizione Olivero è veramente scadente e se può andare bene per un ascolto superficiale, per un analisi più attenta, visto l'importanza della parola, è assai dannoso. Comunque non basterà un singolo ascolto.
Per adesso posso dire che preferisco con Cioni a Del Monaco, preferisco il suono penetrante e spesso al limite di Cioni che a mio parere ha fino ad adesso meglio reso le ansie del personaggio. Del Monaco, al di là del fascino timbrico, mi sembra sempre posizionato sul proscenio in piena esposizione.
Fino a Lunedì non potrò riprendere l'ascolto (probabilmente ricomincio dall'inizio).
Ho ascoltato anche l'edizione Caniglia ma ho trovato poco interessante sia lei che Prandelli.
Roberto
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