Ho notato che in questo bel forum ancora poco spazio è dedicato al Belcanto (a vantaggio di opere di area e tradizioni germaniche e russe..), voglio quindi provare a parlare di quel fondamentale momento della musica operistica che è il melodramma italiano della prima metà dell'800 e confrontare le mie osservazioni con le impressioni e i giudizi altrui.
Voglio iniziare parlando di una delle creature più misconosciute e sottovalutate del Belcanto: la Beatrice di Tenda di Bellini.
Tralasciando le complesse vicende compositive dell'opera, mi voglio soffermare sulla straordinaria qualità della musica.
L'opera infatti, si presenta come un importantissimo punto di svolta nello sviluppo dell'estetica belliniana: ad una trama musicale di estremo e quasi astratto lirismo, con una profusione di melodie di ampio respiro ed una costruzione vocale di primo piano e di inconsueta complessità (sia negli intrecci degli insiemi che nella parti solistiche - in particolare la stratosferica tessitura della protagonista), si accompagna un inusitato approfondimento strumentale (sia nell'orchestrazione che nella varietà timbrica) che riverbera in orchestra la complessità delle linee melodiche. Un progresso rispetto alle precedenti e più essenziali modelli di strumentazione soliti all'autore.
Tanti sono gli esempi di questo nuovo orizzonte raggiunto dall'arte belliniana. L'Introduzione, per prima cosa, dopo un breve preludio che trasporta nel cuore di una vicenda tormentata, assistiamo alle sconsolate elucubrazioni di Filippo che, istigato dai suoi cortigiani, cerca pretesti per liberarsi della moglie, Beatrice: e qui Bellini lavora su di una ossessiva ed enigmatica melodia (di coro e baritono) che suggerisce malinconia, noia, rabbia, melodia che si interrompe di colpo per lasciare spazio alla voce dietro le quinte di Agnese che, con un sottofondo di arpa, canta una delle più struggenti invenzioni liriche belliniane. La stessa linea melodica, variata e mutata in spirito e tempo, è poi usata per "cabaletta" di Filippo. Come non citare poi, dopo lo splendido duetto tenore/mezzosoprano di Orombello e Agnese, la Cavatina di Beatrice "Ma la sola, ohimè! son io" con una melodia tra le più ampie e sognanti di tutto il repertorio belliniano, o il Duetto con Filippo. E poi la grande Scena del Giudizio, e, nel finale, il Terzetto atipico (con la voce di Orombello fuori scena) "Angiol di pace", che resta uno dei vertici musicali di Bellini, con la sua trama delicata ed eterea. Infine la grande scena finale "Ah se un urna è a me concessa" scritta per la Pasta (prima interprete dell'opera) che unisce all'ampiezza della melodia e respiro, un'atmosfera straniata e astratta (che si ritrova solo in "Casta Diva").
Un'opera quindi di forte impatto e di forte impegno, che prelude ai Puritani e, soprattutto, a quello che sarebbe diventato Bellini, se la morte non l'avesse stroncato anzitempo..
Bellini credeva molto nella sua opera, scrisse di non ritenerla indegna delle sue sorelle - Norma e Sonnambula -, io credo, spingendomi ancora più in là dei giudizi dell'autore, che se Beatrice è quantomeno di pari valore a Norma, essa è di molto superiore a Sonnambula.
Spiace quindi, la sorte che le è toccata, di totale rimozione, ma tanti sono i motivi dell'oblio: ha pesato la diffusione di Norma, ha pesato il fatto di non essere mai stata cantata dalla Callas - viatico di una diffusione mediatica anche commerciale -, ha pesato il presentarsi come un unicum nel catalogo belliniano (più complessa e difficile), ha pesato soprattutto, la mancanza di un protagonista tenore (qui è infatti personaggio secondario che non canta nessuna aria) fatto che ha impedito a celebri accoppiate del passato di cimentarsi in essa (ma è proprio la distribuzione delle voci una delle caratteristiche più rivoluzionarie dell'opera, con la grande parte da protagonista per baritono). Oltretutto il libretto non è dei migliori scritti da Romani. Non pochi, poi, i problemi e le difficoltà legate alla impervia parte di Beatrice: sia sul piano vocale (con una tessitura ed una richiesta di "agilità" particolarmente impervie) che su quello interpretativo, difficile dosare il dramma e il lirismo (Beatrice, poi, resta sempre in sè, e il suo sacrificio resta consapevole e voluto - con un approccio romantico - non c'è traccia di un escape emozionale quale può essere una scena di pazzia, o di sonnambulismo).
Non molte sono le riproposte discografiche di questo capolavoro, non molte sono state le dive attratte dal ruolo (la Gencer, la Gruberova, la Freni, la Anderson, la Gulin, la Aliberti), ma solo una resta l'esecuzione per eccellenza: quella della Sutherland.
Parlo dell'incisione in studio (DECCA), diretta da Bonynge (con tutti i crismi filologici) con un giovane Pavarotti (che regala un Orombello superbo), il bravo Opthof (nel difficile ruolo di Filippo) e l'ottima Veasey (Agnese). Su tutti però, primeggia la Sutherland degli anni migliori, con una voce ed una tecnica che andava dove voleva, agilità e trilli perfetti, una tenuta di intonazione costante negli innumerevoli salti che prevede la partitura, un fraseggio superbo e di incredibile perfezione. Lo splendore di una voce capace di ogni cosa unita al malinconico ed astratto lirismo che richiede la parte. La Sutherland qui non canta soltanto, dipinge un'interpretazione unica nella storia dell'opera. Davvero qui la Sutherland è la più grande cantante del secolo ed è il Belcanto! Senza paragoni e senza nessun altra che le possa stare al pari. Non ci sono altre parole per descrivere questa superba interpretazione, bisogna ascoltare ed emozionarsi...
Mi scuso della lunghezza e spero che qualcun altro voglia lasciare le sue impressioni e che magari, chi resta ancora dubbioso su questo estremo capolavoro di Bellini, possa essere invogliato ad un nuovo ascolto...
Per gli estremi discografici lascio quelli dell'edizione DECCA:
Filippo: Cornelius Opthof
Beatrice: Joan Sutherland
Agnese: Josephine Veasey
Orombello: Luciano Pavarotti
Anichino/Rizzardo: Joseph Ward
London Symphony Orchestra
Ambrosian Opera Chorus
Richard Bonynge
DECCA 1967