Verdi secondo Lamberto Gardelli - 4: "I due Foscari"
Inviato: ven 23 giu 2017, 8:48
Giuseppe Verdi
I due Foscari
Tragedia lirica in tre atti
Libretto di Francesco Maria Piave
Francesco Foscari: PIERO CAPPUCCILLI
Jacopo Foscari: JOSE CARRERAS
Lucrezia Contarini: KATIA RICCIARELLI
Jacopo Loredano: SAMUEL RAMEY
Barbarigo: VINCENZO BELLO
Pisana: ELIZABETH CONNELL
servo del doge: FRANZ HANDLOS
fante del Consiglio dei Dieci: MIECZYSLAW ANTONIAK
ORF Symphony Orchestra and Chorus
Direttore: Lamberto Gardelli
Edizione: Philips (1977)
“I due Foscari” possono essere intesi come una sorta di lungo commiato: per due atti si piange la sorte di Jacopo, condannato all’esilio perpetuo, nel terzo atto l’esiliato parte e presto arriva da un lato la notizia della sua morte, dall’altro la notizia della sua innocenza. Questo quadro è già delineato fin dalla prima scena, e non conosce una significativa evoluzione. Questo è il punto di svolta di quest’opera che, Verdi stesso, non esitò a definire come un’opera che ha “una tinta, un colore troppo uniforme dal principio alla fine”. Le differenze di evoluzione della trama qui sono nette rispetto ai pregressi esiti di “Nabucco” ed “Ernani”. Perchè allora Verdi si ostinò a voler ricavare un’opera da questo dramma byroniano, lui che era solito essere attento alla scelta dei caratteri, alla varietà e all’equilibrio delle situazioni? Già nel luglio 1843 ne aveva proposto ii soggetto alla Fenice: Verdi pensava che in un teatro veneziano un soggetto veneziano calzava a pennello; invece di tutt’altro avviso era la direzione del teatro che, con sano senso pratico, rifiutò la proposta proprio perchè avrebbe chiamato in causa nomi e cognomi di antiche famiglie che avrebbero potuto offendersi del modo in cui venivano trattate. Questi aspetti non avevano più ragion d’essere l’anno seguente, quando all’impresario Antonio Lanari per conto del Teatro Argentina di Roma. E allora vennero proposti e quindi dati “I due Foscari” (4 novembre 1844).
Delicatezza e pathos: queste le qualità di rilievo dell’opera. I personaggi invece sono davvero così diversi rispetto alle opere del passato. Jacopo Foscari, passivamente coraggioso, romanticamente devoto alla città che l’ha cacciato, un uomo che riesce ad affrontare la prigione e la tortura più dell’esilio; suo padre, un vecchio Captain Vere veneziano, deciso a reprimere i propri sentimenti paterni quando sono in contrasto col suo dovere verso lo stato e le sue leggi; Lucrezia per la quale l’amore per il marito significa tutto e le leggi del suo paese nulla; e, infine, Loredano, freddo e implacabile, che non sarà soddisfatto finchè la morte di suo padre e di suo zio non sarà vendicata da quella dei due Foscari.
Nonostante però questa prova drammaturgica assai esile, “I due Foscari” rimangono un’opera di fondamentale importanza (nonchè bellezza estetica) per comprendere il Verdi del futuro.
Proverò a fare un elenco di questi elementi:
- Innanzitutto l’ambientazione marina. Nel primo atto per esempio, l’apostrofe tenera a Venezia è il momento in cui Jacopo, condotto dinanzi ai Dieci dopa una lunga detenzione, passa davanti a una finestra e rivede la sua città, prorompendo in un’esclamazione commossa: “Brezza del suol natio, il volto a baciar voli all’innocente” e mentre si affaccia al verone il flauto fa sentire un frullo lievissimo. Quest’idea e il seme della scrittura delle scene marine che anni dopo dara i suoi frutti nel Boccanegra, culminando nella marina brezza in cui Simone cerca refrigerio; e anche Jacopo adotta un ritmo di barcarola, quasi a introiettare anche nel linguaggio la sua appartenenza alla città di mare, la “regina delle onde”.
- Al centro de “I due Foscari” sta l’idea che la politica sia spesso un gioco sporco di ambizioni, vendette private e oppressione. Era un tema urgente, ma ovviamente da affrontare con le dovute cautele. Verdi tornerà caparbiamente a riproporlo, presentandolo sempre in termini tali da sfuggire alle tenaglie censorie. Si pensi al modo disinvolto con cui il duca di Mantova spedisce in carcere Monterone, o al potere torbido degli angioini nella Palermo dei “Vespri siciliani”; alle meschine reazioni dei nobili genovesi radunati nella sala del consiglio di fronte a un esterrefatto Boccanegra e infine alla casta sacerdotale che nell’”Aida” dispone della vita e della morte altrui.
- II tema politico ne “I due Foscari non è legato soltanto all'ufficialita dei tribunali, ma anche al dramma privato: altro tema che accompagnerà Verdi per tutta la vita, toccando i suoi vertici nel Simone, ne “Il ballo in maschera”, nel “Don Carlo”. Questo è un elemento che mette in campo un altro aspetto assao caro a Verdi, quello del rapporto padri-figli, che si ripropone in tante declinazioni diverse da “Nabucco” a “Luisa Miller”, permea la trilogia popolare, riaffiora prepotentemente nei Vespri, nel Boccanegra, nel “Don Carlo” e infine in “Aida”.
- Il consiglio dei Dieci è un personaggio vivente dell’opera. Sono una presenza minacciosa e foriera di sciagure. A parlare per loro c’è l’orchestra: il timbro degli archi gravi, il lento strisciare delle frasi cromatiche, i forti improvvisi che rompono ii pianissimo dominante, il ripetersi oppressivo dello stesso motivo tortuoso siamo a un passo dai sicari del “Macbeth”, e dai soldati di ronda ne “La forza del destino”.
Sicuramente non è un elenco esaustivo ma aiuta a capire meglio quest’opera che, se è pur vero che si tratti di un titolo assai deforme e privo di eterogeneità, non va espunto dal catalogo verdiano ma piuttosto si tratta di un notevole esperimento, quasi sinfonico.
Per quello che abbiamo detto, ovvero che “I due Foscari” è sostanzialmente un’opera statica, dagli ampi risvolti lirici e patetici, Gardelli ci consegna una visione dell’opera molto attenta ai dettagli, in particolare quelli delle oasi liriche così numerose in questo titolo e, per questo, credo che “I due Foscari” possa considerarsi come la migliore registrazione verdiana di Gardelli. Davvero molto bello il preludio al primo atto ma ancor più l’accompagnamento della cavatina “Dal più remoto esiglio” o nel finale dell’opera, un tappeto sonoro cullante e trasognante. Gardelli tralascia ogni sorta di visione risorgimentale e ottocentesca per tuffarsi quasi esclusivamente in un’interpretazione lunare, romantica e quasi espressionista. Si veda l’evocazione della brezza nel primo atto, citata sopra: ecco, queste immagini Gardelli ce la fa vivere molto bene e ci da una appassionata descrizione naturalistica della laguna veneziana. Da sottolineare che per altro Gardelli proprio a Venezia ci è nato. Splendido ancora una volta poi è il lavoro svolto in cooperazione con il coro e l’orchestra possiede davvero dei timbri smaglianti. E ancora una volta Gardelli lascia il segno con una scelta di cast mozzafiato, perfetto in ogni singolo elemento: duo Carreras-Ricciarelli, Cappuccilli fino a un lussuosissimo Samuel Ramey quale Loredano.
Katia Ricciarelli come Lucrezia Contarini ha dalla sua il fascino del timbro immacolato e celestiale. Affascinante è la poesia che imprime alle linee melodiche sia liriche sia quelle più concitate o d’imprecazione, oppure ancora i passaggi di più chiara impronta ornamentale. Però decisamente le pagine migliori sono quelli in cui viene resa giustizia a un timbro come il suo, quindi per esempio il liricismo di “Tu al cui sguardo onnipossente”.
Carreras ci lascia un fantastico Jacopo Foscari dal punto di vista del timbro vocale, meno in quello tecnico. La parte è infatti spesso inpiccata in acuto e qualche problema di tessitura è evidente, ma Carreras riesce comunque a dare espressività a un ruolo che gli calza come un guanto. Splendido è l’ingresso della cavatina “Dal più remoto esiglio” oppure ancora l’aria del carcere, in cui il patetismo donizettiano emerge e Carreras può far volare la voce su affascinanti melodie cantate a mezzavoce.
Infine Cappuccilli ci offre davvero una prova magistrale, paradigmatica ed esemplare. La voce scorre in maniera molto omogenea e smaltata sia nei patetismi di “O vecchio cor che batti” sia nelle cesellature di frasi più intense e furiose. Infine, davvero un lusso il Loredano di Samuel Ramey: poche frasi ma costruite con immensa potenza e forza drammatica, dalle quali si evince immediatamente l’amarezza, l’ironia sarcastica e tutta l’invidia che caratterizzano il personaggio.
Registrazione quindi che, secondo la mia visione, è tra le migliori del Verdi secondo Gardelli e deve essere assolutamente conosciuta.
I due Foscari
Tragedia lirica in tre atti
Libretto di Francesco Maria Piave
Francesco Foscari: PIERO CAPPUCCILLI
Jacopo Foscari: JOSE CARRERAS
Lucrezia Contarini: KATIA RICCIARELLI
Jacopo Loredano: SAMUEL RAMEY
Barbarigo: VINCENZO BELLO
Pisana: ELIZABETH CONNELL
servo del doge: FRANZ HANDLOS
fante del Consiglio dei Dieci: MIECZYSLAW ANTONIAK
ORF Symphony Orchestra and Chorus
Direttore: Lamberto Gardelli
Edizione: Philips (1977)
“I due Foscari” possono essere intesi come una sorta di lungo commiato: per due atti si piange la sorte di Jacopo, condannato all’esilio perpetuo, nel terzo atto l’esiliato parte e presto arriva da un lato la notizia della sua morte, dall’altro la notizia della sua innocenza. Questo quadro è già delineato fin dalla prima scena, e non conosce una significativa evoluzione. Questo è il punto di svolta di quest’opera che, Verdi stesso, non esitò a definire come un’opera che ha “una tinta, un colore troppo uniforme dal principio alla fine”. Le differenze di evoluzione della trama qui sono nette rispetto ai pregressi esiti di “Nabucco” ed “Ernani”. Perchè allora Verdi si ostinò a voler ricavare un’opera da questo dramma byroniano, lui che era solito essere attento alla scelta dei caratteri, alla varietà e all’equilibrio delle situazioni? Già nel luglio 1843 ne aveva proposto ii soggetto alla Fenice: Verdi pensava che in un teatro veneziano un soggetto veneziano calzava a pennello; invece di tutt’altro avviso era la direzione del teatro che, con sano senso pratico, rifiutò la proposta proprio perchè avrebbe chiamato in causa nomi e cognomi di antiche famiglie che avrebbero potuto offendersi del modo in cui venivano trattate. Questi aspetti non avevano più ragion d’essere l’anno seguente, quando all’impresario Antonio Lanari per conto del Teatro Argentina di Roma. E allora vennero proposti e quindi dati “I due Foscari” (4 novembre 1844).
Delicatezza e pathos: queste le qualità di rilievo dell’opera. I personaggi invece sono davvero così diversi rispetto alle opere del passato. Jacopo Foscari, passivamente coraggioso, romanticamente devoto alla città che l’ha cacciato, un uomo che riesce ad affrontare la prigione e la tortura più dell’esilio; suo padre, un vecchio Captain Vere veneziano, deciso a reprimere i propri sentimenti paterni quando sono in contrasto col suo dovere verso lo stato e le sue leggi; Lucrezia per la quale l’amore per il marito significa tutto e le leggi del suo paese nulla; e, infine, Loredano, freddo e implacabile, che non sarà soddisfatto finchè la morte di suo padre e di suo zio non sarà vendicata da quella dei due Foscari.
Nonostante però questa prova drammaturgica assai esile, “I due Foscari” rimangono un’opera di fondamentale importanza (nonchè bellezza estetica) per comprendere il Verdi del futuro.
Proverò a fare un elenco di questi elementi:
- Innanzitutto l’ambientazione marina. Nel primo atto per esempio, l’apostrofe tenera a Venezia è il momento in cui Jacopo, condotto dinanzi ai Dieci dopa una lunga detenzione, passa davanti a una finestra e rivede la sua città, prorompendo in un’esclamazione commossa: “Brezza del suol natio, il volto a baciar voli all’innocente” e mentre si affaccia al verone il flauto fa sentire un frullo lievissimo. Quest’idea e il seme della scrittura delle scene marine che anni dopo dara i suoi frutti nel Boccanegra, culminando nella marina brezza in cui Simone cerca refrigerio; e anche Jacopo adotta un ritmo di barcarola, quasi a introiettare anche nel linguaggio la sua appartenenza alla città di mare, la “regina delle onde”.
- Al centro de “I due Foscari” sta l’idea che la politica sia spesso un gioco sporco di ambizioni, vendette private e oppressione. Era un tema urgente, ma ovviamente da affrontare con le dovute cautele. Verdi tornerà caparbiamente a riproporlo, presentandolo sempre in termini tali da sfuggire alle tenaglie censorie. Si pensi al modo disinvolto con cui il duca di Mantova spedisce in carcere Monterone, o al potere torbido degli angioini nella Palermo dei “Vespri siciliani”; alle meschine reazioni dei nobili genovesi radunati nella sala del consiglio di fronte a un esterrefatto Boccanegra e infine alla casta sacerdotale che nell’”Aida” dispone della vita e della morte altrui.
- II tema politico ne “I due Foscari non è legato soltanto all'ufficialita dei tribunali, ma anche al dramma privato: altro tema che accompagnerà Verdi per tutta la vita, toccando i suoi vertici nel Simone, ne “Il ballo in maschera”, nel “Don Carlo”. Questo è un elemento che mette in campo un altro aspetto assao caro a Verdi, quello del rapporto padri-figli, che si ripropone in tante declinazioni diverse da “Nabucco” a “Luisa Miller”, permea la trilogia popolare, riaffiora prepotentemente nei Vespri, nel Boccanegra, nel “Don Carlo” e infine in “Aida”.
- Il consiglio dei Dieci è un personaggio vivente dell’opera. Sono una presenza minacciosa e foriera di sciagure. A parlare per loro c’è l’orchestra: il timbro degli archi gravi, il lento strisciare delle frasi cromatiche, i forti improvvisi che rompono ii pianissimo dominante, il ripetersi oppressivo dello stesso motivo tortuoso siamo a un passo dai sicari del “Macbeth”, e dai soldati di ronda ne “La forza del destino”.
Sicuramente non è un elenco esaustivo ma aiuta a capire meglio quest’opera che, se è pur vero che si tratti di un titolo assai deforme e privo di eterogeneità, non va espunto dal catalogo verdiano ma piuttosto si tratta di un notevole esperimento, quasi sinfonico.
Per quello che abbiamo detto, ovvero che “I due Foscari” è sostanzialmente un’opera statica, dagli ampi risvolti lirici e patetici, Gardelli ci consegna una visione dell’opera molto attenta ai dettagli, in particolare quelli delle oasi liriche così numerose in questo titolo e, per questo, credo che “I due Foscari” possa considerarsi come la migliore registrazione verdiana di Gardelli. Davvero molto bello il preludio al primo atto ma ancor più l’accompagnamento della cavatina “Dal più remoto esiglio” o nel finale dell’opera, un tappeto sonoro cullante e trasognante. Gardelli tralascia ogni sorta di visione risorgimentale e ottocentesca per tuffarsi quasi esclusivamente in un’interpretazione lunare, romantica e quasi espressionista. Si veda l’evocazione della brezza nel primo atto, citata sopra: ecco, queste immagini Gardelli ce la fa vivere molto bene e ci da una appassionata descrizione naturalistica della laguna veneziana. Da sottolineare che per altro Gardelli proprio a Venezia ci è nato. Splendido ancora una volta poi è il lavoro svolto in cooperazione con il coro e l’orchestra possiede davvero dei timbri smaglianti. E ancora una volta Gardelli lascia il segno con una scelta di cast mozzafiato, perfetto in ogni singolo elemento: duo Carreras-Ricciarelli, Cappuccilli fino a un lussuosissimo Samuel Ramey quale Loredano.
Katia Ricciarelli come Lucrezia Contarini ha dalla sua il fascino del timbro immacolato e celestiale. Affascinante è la poesia che imprime alle linee melodiche sia liriche sia quelle più concitate o d’imprecazione, oppure ancora i passaggi di più chiara impronta ornamentale. Però decisamente le pagine migliori sono quelli in cui viene resa giustizia a un timbro come il suo, quindi per esempio il liricismo di “Tu al cui sguardo onnipossente”.
Carreras ci lascia un fantastico Jacopo Foscari dal punto di vista del timbro vocale, meno in quello tecnico. La parte è infatti spesso inpiccata in acuto e qualche problema di tessitura è evidente, ma Carreras riesce comunque a dare espressività a un ruolo che gli calza come un guanto. Splendido è l’ingresso della cavatina “Dal più remoto esiglio” oppure ancora l’aria del carcere, in cui il patetismo donizettiano emerge e Carreras può far volare la voce su affascinanti melodie cantate a mezzavoce.
Infine Cappuccilli ci offre davvero una prova magistrale, paradigmatica ed esemplare. La voce scorre in maniera molto omogenea e smaltata sia nei patetismi di “O vecchio cor che batti” sia nelle cesellature di frasi più intense e furiose. Infine, davvero un lusso il Loredano di Samuel Ramey: poche frasi ma costruite con immensa potenza e forza drammatica, dalle quali si evince immediatamente l’amarezza, l’ironia sarcastica e tutta l’invidia che caratterizzano il personaggio.
Registrazione quindi che, secondo la mia visione, è tra le migliori del Verdi secondo Gardelli e deve essere assolutamente conosciuta.