Celletti e la "variante" Carmen
Inviato: mar 25 mar 2014, 11:17
Forse i più giovani tra i melomani non se lo ricordano ma una delle questioni più dibattute da Celletti riguardava la Carmen. Tutto ebbe inizio nei primi Sessanta quando uscirono quasi in contemporanea le edizioni EMI e Rca. Nella prima, com'è noto, campeggiano i nomi della Callas e Pretre; nella seconda, quelli di Karajan e della Price.
Anch'io non ero ancora nato, ma quando negli anni Ottanta frequentavo da universitario i gruppi di appassionati, la querelle cellettiana su Carmen veniva ancora tirata in ballo con gradi minori o maggiori di partigianeria secondo l'umore del momento. Pensate il "peso" di Celletti sul melomane italiano: ad oltre un ventennio di distanza il suo giudizio ancora costituiva un metro di misura nel valutare quasi tutte le Carmen posteriori alle due incriminate (Abbado e Solti comprese). Ribadisco: sul melomane italiano medio che bazzicava i dischi. All'estero Celletti non sapevano nemmeno chi fosse.
Di cosa si parlava?
In pratica Celletti vedeva nell'edizione Rca (principalmente in Karajan e la Price) una sorta di sintesi perfetta di quello che, secondo lui, doveva essere la Carmen più autentica. Colori sgargianti, sensualità esplosiva ed esibita, sole, passione, nacchere e flamenco. Una Carmen verista ma senza gli eccessi veristi perchè tutti cantavano -così lui sosteneva- secondo i dettami della tecnica vocale giusta.
A questa visione in technicolor contrapponeva l'edizione più "austera" con la Callas a cui ovviamente attribuiva molti pregi ma che considerava eccentrica perchè -testuale- "una Carmen sessualmente frigida è un controsenso".
A cinquant'anni di distanza è logico che queste opinioni -e soprattutto le motivazioni con cui sono sorrette- ci facciano sorridere. Così come ci fanno sorridere certe sintesi cellettiane (la Carmen più "francese" di Pretre e quella più "mediterranea" di Karajan) che vogliono dire tutto e niente. Ma nella sua semplicità, questa brutale alternanza tra due stereotipi di donna, una tutta testa e, perdonatemi il termine, l'altra tutta fica, non mancò di trovare seguaci che, parlando cellettese, finivano per banalizzare ancor più le già banali considerazioni drammaturgiche del maestro.
Detto questo, Celletti è da capire; figlio del suo tempo, adolescente quando ancora il cinema si chiamava cinematografo, cresciuto con un concetto dell'esotico e dell'altrove per forza di cose generico e fiabesco e soprattutto maturato in un mondo dove i rapporti di forza uomo-donna seguivano, sotto certi aspetti, regole cavernicole, detto questo, è facile capire come, da adulto, sposasse le tesi semplicistiche ma fascinose della Carmen di Karajan. Inoltre si sa che Celletti, profondo e autorevole conoscitore di voci, sotto il profilo teatrale, registico e drammaturgico era niente di più che un analfabeta.
Bene. Tutta questa tirata per arrivare al punto.
Non ascoltavo questa edizione da molti anni.
Mi è capitato di riprenderla in mano nei giorni scorsi.
Comincia. Suonone da Decca/Rca alla Culshaw. Morbidezze viennesi da Sofiensaal. Stereofonia a manetta. Coro dei bambini tipo marcia radetsky, Primo traballone. Il coro delle sigaraie. Meraviglioso. Ma quando mai in un'altra edizione? Transeat. Poi arriva la Price.
E qui davvero mi sono convinto che i dischi è doveroso ascoltarli e riascoltarli in varie fasi della vita. Altrimenti si finisce per continuare a ripetere giudizi e sintesi fatti anni prima, ancora convinti di essere nel giusto...
La Price non solo è modernissima. Ma addirittura "suona" -perdonatemi il termine- trovando soluzioni che ancora adesso troveremmo sperimentali se fatte da una Bartoli o da una Kermes. Gravi aperti, inflessioni blues, ritmiche trascinate, note volutamente sporche e intubate, colorismi a tutto spiano, velluti più da spiritual che da opera... al confronto Corelli e Merrill sembrano catafalchi di un'altra epoca. Provate ad ascoltare gli incisi del primo durante la Seguidilla...
Lo ammetto: sono rimasto sbalordito riascoltando questa Carmen.
Ammetto anche di aver giudicato certe soluzioni di alcune interpreti a me contemporanee come "nuove" solo perchè avevo dimenticato quelle escogitate più di mezzo secolo fa dalla Price.
Ma mi ha ancora più sbalordito il fatto che Celletti beatificasse e santificasse questa Carmen la quale invece (il disco lo testimonia) per gran parte mostra, come in un campionario, la sintesi di tutto quello che Celletti invece deprecava e stigmatizzava e considerava "non canto".
Non solo i miti canori vanno rivisti, ma, lo dico a molti cellettiani del 2014, anche certi miti della critica discografica.
Invito al riascolto anche certi appassionati di oggi che ancora continuano a incoronare d'alloro questa Carmen per motivi sostanzialmente sbagliati: loro perché convinti da Celletti che la Price canti Carmen come Leonora del Trovatore, io (e tanti altri) proprio perché non lo fa.
Ciao
WSM
Anch'io non ero ancora nato, ma quando negli anni Ottanta frequentavo da universitario i gruppi di appassionati, la querelle cellettiana su Carmen veniva ancora tirata in ballo con gradi minori o maggiori di partigianeria secondo l'umore del momento. Pensate il "peso" di Celletti sul melomane italiano: ad oltre un ventennio di distanza il suo giudizio ancora costituiva un metro di misura nel valutare quasi tutte le Carmen posteriori alle due incriminate (Abbado e Solti comprese). Ribadisco: sul melomane italiano medio che bazzicava i dischi. All'estero Celletti non sapevano nemmeno chi fosse.
Di cosa si parlava?
In pratica Celletti vedeva nell'edizione Rca (principalmente in Karajan e la Price) una sorta di sintesi perfetta di quello che, secondo lui, doveva essere la Carmen più autentica. Colori sgargianti, sensualità esplosiva ed esibita, sole, passione, nacchere e flamenco. Una Carmen verista ma senza gli eccessi veristi perchè tutti cantavano -così lui sosteneva- secondo i dettami della tecnica vocale giusta.
A questa visione in technicolor contrapponeva l'edizione più "austera" con la Callas a cui ovviamente attribuiva molti pregi ma che considerava eccentrica perchè -testuale- "una Carmen sessualmente frigida è un controsenso".
A cinquant'anni di distanza è logico che queste opinioni -e soprattutto le motivazioni con cui sono sorrette- ci facciano sorridere. Così come ci fanno sorridere certe sintesi cellettiane (la Carmen più "francese" di Pretre e quella più "mediterranea" di Karajan) che vogliono dire tutto e niente. Ma nella sua semplicità, questa brutale alternanza tra due stereotipi di donna, una tutta testa e, perdonatemi il termine, l'altra tutta fica, non mancò di trovare seguaci che, parlando cellettese, finivano per banalizzare ancor più le già banali considerazioni drammaturgiche del maestro.
Detto questo, Celletti è da capire; figlio del suo tempo, adolescente quando ancora il cinema si chiamava cinematografo, cresciuto con un concetto dell'esotico e dell'altrove per forza di cose generico e fiabesco e soprattutto maturato in un mondo dove i rapporti di forza uomo-donna seguivano, sotto certi aspetti, regole cavernicole, detto questo, è facile capire come, da adulto, sposasse le tesi semplicistiche ma fascinose della Carmen di Karajan. Inoltre si sa che Celletti, profondo e autorevole conoscitore di voci, sotto il profilo teatrale, registico e drammaturgico era niente di più che un analfabeta.
Bene. Tutta questa tirata per arrivare al punto.
Non ascoltavo questa edizione da molti anni.
Mi è capitato di riprenderla in mano nei giorni scorsi.
Comincia. Suonone da Decca/Rca alla Culshaw. Morbidezze viennesi da Sofiensaal. Stereofonia a manetta. Coro dei bambini tipo marcia radetsky, Primo traballone. Il coro delle sigaraie. Meraviglioso. Ma quando mai in un'altra edizione? Transeat. Poi arriva la Price.
E qui davvero mi sono convinto che i dischi è doveroso ascoltarli e riascoltarli in varie fasi della vita. Altrimenti si finisce per continuare a ripetere giudizi e sintesi fatti anni prima, ancora convinti di essere nel giusto...
La Price non solo è modernissima. Ma addirittura "suona" -perdonatemi il termine- trovando soluzioni che ancora adesso troveremmo sperimentali se fatte da una Bartoli o da una Kermes. Gravi aperti, inflessioni blues, ritmiche trascinate, note volutamente sporche e intubate, colorismi a tutto spiano, velluti più da spiritual che da opera... al confronto Corelli e Merrill sembrano catafalchi di un'altra epoca. Provate ad ascoltare gli incisi del primo durante la Seguidilla...
Lo ammetto: sono rimasto sbalordito riascoltando questa Carmen.
Ammetto anche di aver giudicato certe soluzioni di alcune interpreti a me contemporanee come "nuove" solo perchè avevo dimenticato quelle escogitate più di mezzo secolo fa dalla Price.
Ma mi ha ancora più sbalordito il fatto che Celletti beatificasse e santificasse questa Carmen la quale invece (il disco lo testimonia) per gran parte mostra, come in un campionario, la sintesi di tutto quello che Celletti invece deprecava e stigmatizzava e considerava "non canto".
Non solo i miti canori vanno rivisti, ma, lo dico a molti cellettiani del 2014, anche certi miti della critica discografica.
Invito al riascolto anche certi appassionati di oggi che ancora continuano a incoronare d'alloro questa Carmen per motivi sostanzialmente sbagliati: loro perché convinti da Celletti che la Price canti Carmen come Leonora del Trovatore, io (e tanti altri) proprio perché non lo fa.
Ciao
WSM