La Traviata (Verdi)
Inviato: mer 30 set 2009, 11:50
La traviata "fantasma" della Callas
Sto leggendo in questi giorni il libro di Peter Andry "Inside the recording studio" edito dalla Scarecrow Press nel 2008.
Peter Andry, chi era costui?
Sconosciuto, come tutti i record producer, se non agli appassionati più "tecnologici", Andry -come ho già scritto in un altro post- appartiene al poker d'assi della registrazione operistica della seconda metà del novecento di cui gli altri sono Legge, Culshaw e Mohr.
Andry tra l'altro condivide con Mohr il primato della carriera più lunga, eterna se rapportata alle carriere realtivamente "brevi" di Legge e Culshaw.
Mohr (Rca) debuttò in sala di registrazione con l'integrale di Beethoven di Toscanini (che debutto!) e firmò praticamente tutte le registrazioni operistiche RCA (tolte pochissime siglate Culshaw) per lasciare il timone nel 1977
Andry non è stato da meno; free lance per diverse majors, ha cominciato la carriera per la Decca con Olof a Vienna nel primi anni Cinquanta per chiuderla all'incirca nel 1990 con il DG di Muti registrato a Vienna.
Tra l'altro, di tutta la banda, Andry credo sia l'unico ad essere ancora vivo, classe 1927.
Per capirne la statura basta elencare alcuni titoli di cui è stato producer: Frau Decca con Bohm, Giro di Vite Decca-Pears-Vyvyan-Britten, Nozze Decca Erich Kleiber, tutta la prima trilogia dapontiana sempre per la Decca e Rosenkavalier sempre con Kleiber sr. Per la Emi ha curato la Carmen di Beecham e quella della Callas,i due Mozart di Giulini, il Mozart di Barenboim (anche il Parsifal del 1990), la Turandot della Caballé, l'Otello, l'Aida, il Don Carlo la Salome di Karajan, il Flauto, il Don Giovanni e l'Olandese di Klemperer, l'Amico Fritz Freni-Pavarotti, e praticamente tutto il Verdi-Emi di Muti.
Un capitolo del libro è dedicato alla Callas.
Andry dice che l'ha conosciuta intimamente a fine corsa, chiusa in un quasi-eremitaggio parigino e restia ad accettare nuove sfide.
Durante le sedute di Carmen c'era stato solo un rapporto professionale.
E parla di questo progetto -di cui io non avevo mai sentito parlare- ovvero di una Traviata.
L'idea, dice Andry, venne promossa da Karajan che voleva farne un disco e un film unendo gli sforzi della Emi e della DG.
Poi Karajan si ritirò e rimase la Emi la quale decise per il solo audio.
La Traviata era un'antica spina nei rapporti Legge e Callas. Com'è noto lei l'aveva registrata per la Cetra ed aveva firmato una clausola che non le permetteva dir registrare nuovamente questo titolo per una decina d'anni.
Legge, che non poteva ovviamente lasciare il suo catalogo operistico sguarnito di un titolo come Traviata, decise di affidare il ruolo alla Stella suscitando, così dicono, le ire della Callas che se la prese anche con Serafin reo di essersi prestato a questa operazione.
La Emi pensò quindi di ritornare in corsa -scaduto l'embargo- approntando una registrazione che, nelle prospettive di vendita, doveva sbancare i botteghini superando anche il successo mondiale della sua ultima Tosca diretta da Pretre.
Alla Callas la Emi aveva dato pieni poteri: poteva decidere come, quando e con chi.
Ovviamente non si approdò a nulla, ma è interessante notare le varie trafile artistiche, le retromarce, gli entusiasmi, le depressioni che animarono questo progetto. Giulini, Paskalis, Aragall, Cioni, Cecchele, Pavarotti, Domingo ancora Pretre... la Callas ascoltava, chiedeva, pretendeva. Voleva conoscere questa nuova generazione di cantanti rifiutando con fermezza i divi del momento come Kraus, Gedda e Bergonzi. Andry racconta di eterni pomeriggi parigini passati ad ascoltare nastri su nastri per trovare qualcosa di soddisfacente. Cercarono di mettere al suo fianco anche Di Stefano ma lei rifiutò seccamente. Alla fine la Callas decise, così dice Andry, per Pavarotti. Lapidaria: "Well, he might do. Let's have him".
Si definirono le date di registrazione (Roma, settembre 1967), l'orchestra (Santa Cecilia), il direttore (Giulini).
Poi la Callas (pochi giorni prima) chiese di posporre tutto adducendo motivi legati al clima romano, troppo caldo in quel periodo e deleterio.
E, dice Andry, fu la fine del progetto. La Emi aveva già investito (e perso) migliaia di sterline per un'ipotesi di lavoro. Non si poteva andare avanti.
Al di là dei fatti raccontati da Andry in questo capitolo esce il toccante ritratto di una grandissima artista, capace, con una lucidità e uno spirito critico feroce, di ammettere i propri limiti e di valutare le proprie condizioni vocali senza nessuna pietà.
In questa ultima Callas -così come ce la racconta Andry- non c'è nessun divismo di bassa lega e anche quello che sulle prime sembra una capriccio da superstar diventa un chiaro segnale del disagio di un'artista che si rende conto che il mondo le si sta sbriciolando sotto i piedi.
Io non ne sapevo niente. E voi?
WSM
Sto leggendo in questi giorni il libro di Peter Andry "Inside the recording studio" edito dalla Scarecrow Press nel 2008.
Peter Andry, chi era costui?
Sconosciuto, come tutti i record producer, se non agli appassionati più "tecnologici", Andry -come ho già scritto in un altro post- appartiene al poker d'assi della registrazione operistica della seconda metà del novecento di cui gli altri sono Legge, Culshaw e Mohr.
Andry tra l'altro condivide con Mohr il primato della carriera più lunga, eterna se rapportata alle carriere realtivamente "brevi" di Legge e Culshaw.
Mohr (Rca) debuttò in sala di registrazione con l'integrale di Beethoven di Toscanini (che debutto!) e firmò praticamente tutte le registrazioni operistiche RCA (tolte pochissime siglate Culshaw) per lasciare il timone nel 1977
Andry non è stato da meno; free lance per diverse majors, ha cominciato la carriera per la Decca con Olof a Vienna nel primi anni Cinquanta per chiuderla all'incirca nel 1990 con il DG di Muti registrato a Vienna.
Tra l'altro, di tutta la banda, Andry credo sia l'unico ad essere ancora vivo, classe 1927.
Per capirne la statura basta elencare alcuni titoli di cui è stato producer: Frau Decca con Bohm, Giro di Vite Decca-Pears-Vyvyan-Britten, Nozze Decca Erich Kleiber, tutta la prima trilogia dapontiana sempre per la Decca e Rosenkavalier sempre con Kleiber sr. Per la Emi ha curato la Carmen di Beecham e quella della Callas,i due Mozart di Giulini, il Mozart di Barenboim (anche il Parsifal del 1990), la Turandot della Caballé, l'Otello, l'Aida, il Don Carlo la Salome di Karajan, il Flauto, il Don Giovanni e l'Olandese di Klemperer, l'Amico Fritz Freni-Pavarotti, e praticamente tutto il Verdi-Emi di Muti.
Un capitolo del libro è dedicato alla Callas.
Andry dice che l'ha conosciuta intimamente a fine corsa, chiusa in un quasi-eremitaggio parigino e restia ad accettare nuove sfide.
Durante le sedute di Carmen c'era stato solo un rapporto professionale.
E parla di questo progetto -di cui io non avevo mai sentito parlare- ovvero di una Traviata.
L'idea, dice Andry, venne promossa da Karajan che voleva farne un disco e un film unendo gli sforzi della Emi e della DG.
Poi Karajan si ritirò e rimase la Emi la quale decise per il solo audio.
La Traviata era un'antica spina nei rapporti Legge e Callas. Com'è noto lei l'aveva registrata per la Cetra ed aveva firmato una clausola che non le permetteva dir registrare nuovamente questo titolo per una decina d'anni.
Legge, che non poteva ovviamente lasciare il suo catalogo operistico sguarnito di un titolo come Traviata, decise di affidare il ruolo alla Stella suscitando, così dicono, le ire della Callas che se la prese anche con Serafin reo di essersi prestato a questa operazione.
La Emi pensò quindi di ritornare in corsa -scaduto l'embargo- approntando una registrazione che, nelle prospettive di vendita, doveva sbancare i botteghini superando anche il successo mondiale della sua ultima Tosca diretta da Pretre.
Alla Callas la Emi aveva dato pieni poteri: poteva decidere come, quando e con chi.
Ovviamente non si approdò a nulla, ma è interessante notare le varie trafile artistiche, le retromarce, gli entusiasmi, le depressioni che animarono questo progetto. Giulini, Paskalis, Aragall, Cioni, Cecchele, Pavarotti, Domingo ancora Pretre... la Callas ascoltava, chiedeva, pretendeva. Voleva conoscere questa nuova generazione di cantanti rifiutando con fermezza i divi del momento come Kraus, Gedda e Bergonzi. Andry racconta di eterni pomeriggi parigini passati ad ascoltare nastri su nastri per trovare qualcosa di soddisfacente. Cercarono di mettere al suo fianco anche Di Stefano ma lei rifiutò seccamente. Alla fine la Callas decise, così dice Andry, per Pavarotti. Lapidaria: "Well, he might do. Let's have him".
Si definirono le date di registrazione (Roma, settembre 1967), l'orchestra (Santa Cecilia), il direttore (Giulini).
Poi la Callas (pochi giorni prima) chiese di posporre tutto adducendo motivi legati al clima romano, troppo caldo in quel periodo e deleterio.
E, dice Andry, fu la fine del progetto. La Emi aveva già investito (e perso) migliaia di sterline per un'ipotesi di lavoro. Non si poteva andare avanti.
Al di là dei fatti raccontati da Andry in questo capitolo esce il toccante ritratto di una grandissima artista, capace, con una lucidità e uno spirito critico feroce, di ammettere i propri limiti e di valutare le proprie condizioni vocali senza nessuna pietà.
In questa ultima Callas -così come ce la racconta Andry- non c'è nessun divismo di bassa lega e anche quello che sulle prime sembra una capriccio da superstar diventa un chiaro segnale del disagio di un'artista che si rende conto che il mondo le si sta sbriciolando sotto i piedi.
Io non ne sapevo niente. E voi?
WSM