Carissimi,
torno su quest'opera verdiana con alcune considerazioni attorno ad un personaggio:
Elisabetta di Valois. Si tratta di una creatura molto difficile da rendere per le varie stratificazioni emozionali che la compongono. Per avere un'idea completa del personaggio è necessario ascoltare l'opera nella sua integralità perché inizia con l'affermazione di una gioia terrena (primo incontro con Carlo) e termina con quella di una gioia ultraterrena (ben sintetizzata nell a frase ripetuta all'unisono con Carlo "Ma lassù ci vedremo in un mondo migliore"). Questo le offre una positività del tutto particolare che prescinde, se vogliamo, dalla sua fede cristiana (da lei sovente ribadita), rispetto agli altri personaggi preda di gelosie, ideali patriottici, smanie di potere e di vendetta. Una positività non lineare che passa per alti e bassi in tutta l'opera ma che poi riemerge trasfigurata nel finale. In fondo è l'unica creatura aperta ad un futuro che non parli di liberazione politica (Posa), di risoluzione violenta (Inquisitore), di espiazione mal digerita (Eboli).
E' chiaro allora che l'esecutrice è davvero messa alla frusta nell'esprimere questo itinerario esistenziale della regina di Spagna. Il panorama discografico mi pare non particolarmente persuasivo ad onta dei facili ottimismi che vedono la superiorità della Caballé (pronta subito - mi riferisco soprattuto all'edizione Giulini - a rifugiarsi in un castello sonoro autoreferenziale, bellissimo e prodigo di magie quanto si vuole, ma ad usum delphini). Non abbiamo neppure un 'live' integrale della Callas e si resta, a mio avviso, con un pò di delusione, anche se resto dell'idea che una Tebaldi degli anni '55-'56 si sarebbe avvicinata al centro del bersaglio, anche con il suo timbro matronale (in fondo Elisabetta è una regina...). Forse non avremmo avuto Bergonzi, ma Del Monaco non Fischer-Dieskau, ma Bastianini non la Bumbry, ma la Simionato non Ghiaurov, ma Siepi ecc. ecc.
Saluti ormai domenicali...
Luca.