Macbeth (Verdi)

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Messaggioda teo.emme » mar 19 feb 2008, 2:07

Devo dire che a me l'edizione Muti piace molto. La Cossotto è una Lady più aggressiva della Verrett, ma molto aristocratica. Milnes è decisamente meglio di Cappuccilli, è più elegante e nobile. Infine Carreras è buono, laddove Domingo (nell'edizione DGG/Abbado) regala una delle sue peggiori esecuzioni, dozzinale, approssimativo...

Dovrei parlare un pò della Cossotto, ma rimando a domani...
teo.emme
 

Messaggioda MatMarazzi » mar 19 feb 2008, 13:17

Pruun ha scritto:A me i clip audio non si sentono, né con Mozilla, né con IE!! :evil: :evil: :evil:


Non capisco, ma non ti si aprono direttamente come a me?
Comunque ti ringrazio della risposta, nonostante la stanchezza post-esame e pre-lavoro! :)

Ma sulla Verrett non condivido:
Innanzitutto il timbro. Tu dirai e che importa? invece per me importa, eccome...


Torniamo sempre lì! :)
Il timbro... il fascino fisico... il carisma...
Ebbene, mi darai atto, Pruun, che questo io l'avevo riconosciuto fin dal mio primo post sulla Verrett.
E' vero: il timbro è rigoglioso (nonostante le diffuse durezze)
E' vero: era una gran bella donna
E' vero: sapeva magnetizzare l'attenzione.

Ok, ma questo non è canto.
Questa non è interpretazione operistica.
Gente con bel timbro, bel corpo, bella faccia e piena di fascino la trovi anche al supermercato.
Quello che io intendo per canto è qualcosa di diverso.

Anzitutto musica (il chè significa scienza del ritmo, della dinamica, del colore sonoro, della frase musicale e delle sue articolazioni) e ovviamente teatro, perché l'opera è teatro: quindi scienza della pronuncia, dell'articolazione sillabica, della mimica, ecc....

Ora tu potrai dirmi finché vuoi che anche il "timbro" e (aggiungo io) l'aspetto fisico, sono già valori espressivi.
E' vero... Servono anche loro a costruire un personaggio.
Ma sono la bravura dell'asino! :) Nel senso che non c'è alcun merito ad averli.

In astratto posso concordare con te sul fatto che il timbro e la fisicità della Verrett corrispondono al tipo di personaggio che hai descritto: sensuale ma in modo matronale (donde la sfumatura "materna"), risoluta, rigogliosa.
Bene, e poi?
Basta avere un timbro e una faccia così e così?
E dove mettiamo la musica e il teatro?

Io ho presentato questo confronto non perché volessi paragonare un'interpretazione a un'altra: è chiaro che sono diversi le idee e il progetto. Ma questo era scontato.

No, io ho proposto il confronto perché mi pare incommensurabile la differenza nella qualità di canto.
Da una parte c'è una che (quale che sia la sua interpretazione) sfrutta il canto in tutte le sue possibilità, coltiva e rispetta la parola, sa gestire ritmi, colori, giochi dinamici.
Dall'altra una che mette una nota dopo l'altra.

Ad esempio, tu scrivi:

Questa Lady è sensuale, ferina,... io nel suo "Follie" ci sento una sfumatura supponente, materna


un'impressione che mi si rafforza nell'ironia del "Ma dimmi altra voce.." anche qui con una fumatura materni


questa femminilità rigogliosa e sensuale, questo complesso edipico mostruoso evocato dalla morbidezza della voce e dalla sicurezza (apparente) del personaggio


Bene, dove lo senti tutto questo?
Avanzo una risposta (dimmi se sbaglio): nel timbro.

Per esprimere sensualità (perché ammetto che la esprime) la Verrett usa forse il ritmo, i chiaroscuri?
La Gencer è sensuale nel "vien" perchè varia l'emissione (sfodera il suo registro misto di gola) e la dinamica (un sussurro) e il ritmo (brevissimo, quasi un sopiro).
La Verrett cosa fa DI MUSICALE per essere sensuale?
E per essere materna?
Tira fuori il suo "timbro" sempre uguale.

In compenso, possibile che solo io resti allibito di fronte a quelle frasi musicali (che, come sempre in Verdi, avrebbero bisogno di essere "respirate", accarezzate, variate di mille pulviscolari intuizioni ritmiche) eseguite dalla Verrett con quella rigidità da studentessa?

Vedo che non hai commentato "Quell'animo trema, combatte, delira".
Per me qui siamo a livelli di quasi dilettantismo... Persino la Moedl canta quella pagina molto meglio.
Lo stesso vale per la cabaletta.

Poi perché la cabaletta non ti convince? ... mi pare che regga bene il tempo di Abbado


Ma Pruun... un cantante (specie se considerato "storico") non deve solo "reggere un tempo", vivaddio! :)
Deve introiettarlo il tempo! Deve riempilro di se stesso!
Anche se è il direttore a deciderlo, è comunque dal cantante (come dice Elektra) che la musica deve sgorgare!

Se anche Abbado non stacca il tempo giusto e lo gestisce male (mi spiace per Gustav, ma l'opera italiana ha un respiro ben preciso), una cantante vera avrebbe dovuto renderlo vivo con la sua personale pulsazione.
Anche la Gencer, a un certo punto, si trova costretta da Gui in un ritmo troppo lento (quando rientra: "vedi, le mani ho lorde anch'io").
E' chiaro che il tempo è un po' troppo lento e credo, conoscendola, che lei avrebbe voluto risultare più precipitosa; ma nessun problema.
Prontamente la cantante si adatta al ritmo e vi scioglie la frase con uguale determinatezza.

Insomma, io non dico che la Verrett canti male.
E capisco benissimo il fascino di quel timbro (e tutto ciò che può comunicarci).
Ma per dire che uno è al vertice delle classifiche di un ruolo ci vuole qualcosa in più.
Una costruzione musicale e drammatica vera!

Ho detto che la Callas non mi piace nella Lady Macbeth scaligera, ma in ogni frase c'è comunque un'elaborata architettura.
Le note non sono semplicemente una dopo l'altra, come si farebbe a una prima lettura.
La Verrett questo mi comunica: la prima lettura.
La pronuncia è dilettantesca e impresentabile, i colori pochissimi, i ritmi scanditi a solfeggio, le frasi buttate lì.

Insomma, scusami. Sembra che ce l'abbia con i tuoi beniamini! :)
Ma non è così! E' solo che non riesco a starmene zitto!
Io voglio che il cantante si sbatta (come farebbe un pittore, un poeta, un architetto) perché è l'unico modo per costruire qualcosa!

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Messaggioda MatMarazzi » mar 19 feb 2008, 14:44

beckmesser ha scritto:Il problema di questa seconda lettura, al limite, è che tutto sommato la scena della pazzia finale diventa quasi inutile: la perfetta follia, come la perfetta normalità, sono entrambe infinitamente meno interessanti del crinale che le divide…


Tutto il discorso è molto interessante.

Credo però che la Gencer palermitana sia in effetti molto diversa dalla Scotto. Quando avrai sentito lo spezzone proposto potrai dirmi cosa ne pensi.

Secondo me, quello della Scotto è il teatro dell'estremo, dell'encefalogramma impazzito (come dici tu), delle maschere istericamente tolte e messe per affrontare la complessità e l'orrore della vita.
Quella della Gencer (di Palermo) è, al contrario, l'applicazione sistematica degli stilemi "virginiali e idealizzati" dell'eroina romantica all'orrore di Shakespeare.
E' una Lucia, una Elvira dei Puritani, una Leonora del Trovatore che si ritrovano a mollo in un mare di sangue, di cattivi odori, di paure inconfessabili.

Nel 1960, la Gencer non aveva ancora in repertorio alcun ruolo cattivo (nei quali divenne famosa successivamente).
Al contrario viveva di vittime angelicate, trasognate e infantili.

E' questo mondo di purezza romantica che riversò nella sua prima Lady e che si esplicita in un canto vellutato, altero, pudico e senza sorriso, dominato da vibrazioni sotto pelle e levità cortese.
Il legato etereo, assorto del suo "sonnambulismo" svela gli stessi rapimenti di Lucia e Amina, lo stesso estasiarsi nel sonno della ragione per sfuggire agli orrori del mondo.
Per involontaria che fosse, l'operazione è di una rilevanza culturale a mio parere storica (qui sì che si può scomodare questo termine...)

Permettimi al proposito un po' di storia dell'interpretazione (a vantaggio non certo tuo, Beckmesser, ma di eventuali neofiti che ci leggessero).

Il Macbeth di Verdi conobbe una lunga fase di oblio, tra la fine dell'800 e i primi del 900. Rade le riprese, a vantaggio di alcuni grandi artisti (Battistini ad esempio).

Poi fu riportato in vita dai tedeschi negli anni 20-30, nell'ambito della loro "Verdi renaissance".
Purtroppo negli stessi anni, noi italiani non sapevamo nemmeno cosa fosse il Macbeth (anzi, irridevamo sprezzanti agli "anni di galera" di Verdi).
E' quindi normale che il "taglio" drammaturgico imposto dai tedeschi facesse scuola. Quello che mancava loro però era la comprensione del trait-d'union fra il Macbeth (annata 1847) e l'humus in cui era immerso alla sua nascita: ossia il Romanticismo musicale italiano, il retaggio belcantistico, la cristallizzazione dei personaggi (specie femminili) nell'allegoria dei sentimenti.

Non conoscendo questo mondo, i tedeschi giustamente non poterono nemmeno interrogarsi sull'anomalia (apparente) rappresentata da Lady, il suo essere il "male".
Meno ancora poterono capire quanto questo "male" fosse debitore del "bene" idealizzato e romantico dell'operismo italiano.

Quando finalmente si cominciò a fare Macbeth anche in Italia (dopo la seconda guerra mondiale) il debito verso i Tedeschi era tale che nemmeno noi fummo in grado di vederci chiaro.

Chi fu chiamata a Firenze nel 51: la Varnay. Significativo no?
Grandissima certo, ma il cui "male" era facilmente assimilabile a quello (più scontato) di Orturd.
Idem per la Nilsson alla Scala.
Certo, nel 52 si interpellò la Callas, che aveva stile e vocalità giuste.
Ma anche nel suo caso, un regista tedesco e un direttore tedescofilo la spinsero a una semplificazione mitteleuropea (ribadisco che la Callas del 58 per la EMI rimise a posto le carte, ma un recital è troppo poco).

Ecco perché la Gencer fu e resta un'operazione culturale di rottura (all'epoca largamente incompresa e destinata a non avere seguito): perché svelò senza alcun dubbio o infingimento l'equivalenza semantica e poetica fra Lady Macbeth e (per restare a Verdi e a Vittorio Gui) Battaglia di Legnano, la specularità del loro universo, la sfumata dialettica "belcantistica" del bene e del male.

Purtroppo nulla ci resta della sua Lady scaligera con Scherchen e la regia di Vilar (1964); ma quando la Gencer approdò a Venezia con Gavazzeni (68) e a Roma con De Lullo (69) era già radicalmente cambiata.
A quel punto era la tiranna donizettiana, dominatrice sprezzante di tutti i mali del mondo, occhio fulminante e primadonnismo incombente, a scuotere manti per il palcoscenico, trascinandosi dietro la sua solita corona insaguinata.

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Messaggioda Pruun » mar 19 feb 2008, 14:49

No, no, ma non è solo il timbro della Verrett..

"Quell'animo trema", ad esempio, mi pare mirabile nella ricerca di sfumature (senti "l'invitto che fu").
Io volevo dire che "dal" timbro, da quel tipo di figura, da quel tipo di impostazione la Verrett fa partire un'interpretazione che è diversa perché è diverso il materiale di partenza.
Qui però mi pare si vada su un discorso diverso: la Gencer, con quel timbro chiaro e sicuramente non bello, deve per forza dannarsi l'anima col fraseggio, proprio per suggerire un personaggio...
La Verrett può partire dal timbro, quindi il fraseggio e l'interpretazione possono sembrarti meno approfondite, e probabilmente lo sono, ma perché fanno leva su un fascino timbrico e sensuale che serve anch'esso a un tipo di personaggio diverso.

Spero di essermi spiegato bene... :wink:

Sulla Cossotto devo dire che non ho mai adorato la sua Lady: mi sembra troppo preoccupata di far vedere che ce la fa a fare tutte le note, ma in quel caso il fraseggio mi sembra meno interessante di quello della Verrett, fatta salva una maggiore disinvoltura nell'articolazione delle frasi che mi sembra scontata, dato che stiamo parlando di una madrelingua.

Meglio che te la prendi con i miei beniamini (è un caso poi)...
sai che p***e a leggere
- Io credo che la Verrett sia divina
- Sono d'accordo
- Anche io
- Niente da eccepire
- Avete ragione

:roll: :roll: :roll: :roll: :roll:

Condivido in toto, invece, il discorso sulla Gencer... però a me pare che come la Gemcer abbia evidenziato le parentele con il belcanto la Verrett abbia tirato fuori quel lato "materno" che io trovo solo nella sua Lady... il fatto che sia partita avvantaggiata per me non significa nulla, però... 8)

Tu hai detto che quello che intendi per canto è qualcosa di diverso...
e che ti devo dire? Mi sa che non ci prenderemo mai... :roll: :roll:
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Messaggioda Luca » mar 19 feb 2008, 16:25

Poi fu riportato in vita dai tedeschi negli anni 20-30, nell'ambito della loro "Verdi renaissance".
Purtroppo negli stessi anni, noi italiani non sapevamo nemmeno cosa fosse il Macbeth (anzi, irridevamo sprezzanti agli "anni di galera" di Verdi).
===============================================
Faccio notare all'amico Matteo che quanto scrive è giusto, però c'è da osservare che nel 1932 Macbeth fu riesumato qui a Roma avendo la Scacciati quale Lady. Ripresa forse rara ma con un gran nome per quei tempi.

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Messaggioda beckmesser » mar 19 feb 2008, 16:34

MatMarazzi ha scritto:Quella della Gencer (di Palermo) è, al contrario, l'applicazione sistematica degli stilemi "virginiali e idealizzati" dell'eroina romantica all'orrore di Shakespeare.
E' una Lucia, una Elvira dei Puritani, una Leonora del Trovatore che si ritrovano a mollo in un mare di sangue, di cattivi odori, di paure inconfessabili.


Sottoscrivo e probabilmente avevo semplificato troppo: intendevo che la Gencer palermitana, come la Scotto e al contrario di Callas e Verrett, appartiene al mondo delle Lady miseramente umane, deboli e vinte (frustrate?) fin dall’inizio (malgrado la lotta): che poi i mezzi di cui si avvalgano siano diversissimi è evidente (ed in parte anche i risultati).

Malgrado non sia un ammiratore sfegatato della Lady della Verrett e abbia sempre considerato la Gencer infinitamente superiore (e, in assoluto, seconda solo alla Scotto), provo comunque a fare il difensore d’ufficio dell’americana, dato che le conclusioni cui arrivi mi sembrano eccessive. Innanzi tutto, una questione di metodo: una disanima così (spietatamente…) analitica mi sembra inevitabile torni a vantaggio di interpreti che basano la loro interpretazione sullo scavo di ogni sillaba, sul calibrarsi di colori, ritmi e accenti di ogni inciso; su interpreti, appunto, di natura essenzialmente analitica. Ma non è l’unica possibilità: un personaggio (in certi repertori…) può essere costruito anche attraverso mezzi più strettamente tecnici (proiezione del suono, costante variazione della messe di voce, trascolorare dei colori e dei pesi non in ogni sillaba, ma in frasi di gettata più ampia). Tanto per fare un esempio su un cantante che non credo ti susciti particolare emozione: quando Bergonzi attacca “Morir si pura e bella”, il solo fatto di riuscire a usare quel peso, quel colore, quel legato, per mio si traduce in cifra espressiva ben definita e non è un mero esercizio tecnico (come invece lo è, sempre per mio conto, in Corelli). Vickers raggiunge lo stesso risultato (creare un personaggio) attraverso mezzi diversi: varia pesi, colori, ritmi ad ogni sillaba, mentre Bergonzi li fa trascolorare impercettibilmente uno nell’altro. Libero poi ciascuno di preferire l’uno o l’altro, ma non credo si possa dire che Bergonzi fa solo accademia…

Lo stesso è nel confronto delle Lady. Già la frase “del gufo udii lo stridere testé che mai dicesti”: io nella Verrett non sento la strega cattiva che dici. Sento un senso di arcano sbigottimento, di attesa, dato dal timbro, certo, ma anche da come quel timbro viene usato (le “u”di “gufo” e “udii” leggermente arrochite, le “e” di testé un po’ strette: non credo siano errori di pronuncia; sono mezzi, forse anche manierismi, di cui la Verrett si è sempre servita per modulare quel timbro tanto particolare), dal sostegno del fiato che varia impercettibilmente, dal ritmo ternario meno scandito rispetto alla Gencer. Anche il vituperato “quell’animo trema” mi sembra funzionale al discorso generale, e il modo di trattare le acciaccature di “chi mai lo direbbe l’invitto che fu” mi sembra renda il gioco chiarissimo: scandite, sottolineate, quasi ostentate, derisorie. Una visione meno originale della Gencer? Probabilmente sì. Proprio banale? Probabilmente no, e proprio in virtù di un timbro tanto particolare che screzia di sensualità e ambiguità una visione che altrimenti potrebbe diventare monocorde (proprio come avviene, se ben ricordo, con la Cossotto, ad esempio). Anche il finale non mi sembra così negativo. Anzitutto, il tempo: personalmente, preferisco l’impostazione Gencer-Gui (e, anzi, Muti-Scotto saranno ancora più funambolici…), ma anche quella di Abbado ha una sua logica. Tempo, sonorità, dinamiche consentono un’evidenziazione interessante delle linee mediane dell’armonia, creando un senso di “invischia mento” che ribalta la visione di tutto il duetto: in Gencer-Gui la tensione cresce nella prima parte, raggiunge un picco in quella centrale e si scarica nel finale. In Verrett-Abbado la tensione non c’è all’inizio (dove c’è solo attesa) comincia a crescere nella sezione centrale e… raggiunge il culmine nel finale, senza scaricarsi affatto… Qui, semmai, sono Abbado e la Verrett ad essere più originali, anche se forse meno efficaci...

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Messaggioda MatMarazzi » mar 19 feb 2008, 16:35

Luca ha scritto:Faccio notare all'amico Matteo che quanto scrive è giusto, però c'è da osservare che nel 1932 Macbeth fu riesumato qui a Roma avendo la Scacciati quale Lady. .


Sì, si.. lo sapevo.
E anche che vent'anni prima, sempre a Roma, c'era stata la riesumazione con Battistini.
Ma bastano due riprese in cinquant'anni?
Specie confrontate alle decine e decini di produzioni, nello stesso periodo, in tutti i teatri della Germania e dell'Austria (per non parlare di Glyndebourne)?

Temo di no! :(

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Messaggioda Teo » mar 19 feb 2008, 18:50

beckmesser ha scritto: Innanzi tutto, una questione di metodo: una disanima così (spietatamente…) analitica mi sembra inevitabile torni a vantaggio di interpreti che basano la loro interpretazione sullo scavo di ogni sillaba, sul calibrarsi di colori, ritmi e accenti di ogni inciso; su interpreti, appunto, di natura essenzialmente analitica. Ma non è l’unica possibilità: un personaggio (in certi repertori…) può essere costruito anche attraverso mezzi più strettamente tecnici (proiezione del suono, costante variazione della messe di voce, trascolorare dei colori e dei pesi non in ogni sillaba, ma in frasi di gettata più ampia). Tanto per fare un esempio su un cantante che non credo ti susciti particolare emozione: quando Bergonzi attacca “Morir si pura e bella”, il solo fatto di riuscire a usare quel peso, quel colore, quel legato, per mio si traduce in cifra espressiva ben definita e non è un mero esercizio tecnico (come invece lo è, sempre per mio conto, in Corelli). Vickers raggiunge lo stesso risultato (creare un personaggio) attraverso mezzi diversi: varia pesi, colori, ritmi ad ogni sillaba, mentre Bergonzi li fa trascolorare impercettibilmente uno nell’altro. Libero poi ciascuno di preferire l’uno o l’altro, ma non credo si possa dire che Bergonzi fa solo accademia…


Premetto che tra i due ascolti proposti, tendo a propendere anche io per la Gencer, mentre invece vedo di gran lunga migliore l'intenzione e la realizzazione di Capuccilli a confronto con il mitico Taddei (che fra parentesi come interprete lo preferisco quasi sempre al primo...).

Trovo "interessantissimo" il concetto espresso da Beckmesser che sopra ho riportato.
E' arcinoto per chi mi conosce che non sono affatto un estimatore di Bergonzi, tanto più per il suo "personalissimo" gusto interpretativo (e qui mi taccio per non izzare le ire dei suoi estimatori).
Cio nonostante, l'esempio citato, pur non apprezzando ripeto l'interpretazione per mere questioni di gusto, trovo non faccia una piega.

A questo punto, mi chiedo e vi chiedo una cosa: sulla base di quale principio siamo in grado di stabilire se incute più paura la frase dell'una o dell'altra Lady? Ok possiamo vivisezionare nota per nota le intenzioni e le proposte, ma alla fine ciò che fa paura, ciò che mette i brividi può avere maggiore effetto su una data persona a seconda di come "lui" la vive o la vissuta, o no?
Attenzione, non voglio con questo mettere in discussione le tesi e le antitesi, ne l'approcio di analisi, sia chiaro, ne mettere le due Lady sullo stesso piano; parlo solo dell'effetto emotivo di chi ascolta.

Inoltre, è mio personalissimo avviso (ma può essere che mi sbagli) che l'interpretazione di un grande artista, certamente si basi su uno studio approfondito della partitura, ma siamo così sicuri che si spinga fino a questi livelli - eccessi ? (peraltro tengo a precisare che quanto analizzato dal buon Marazzo è come sempre uno spunto di riflessione interessantissimo)
Io non ne sarei così convinto... certo si potrebbe sostenere che quel modo di fraseggiare, accentare, colorare, ecc..ecc.. sia una "caratteristica dell'artista" una sua "peculiarità" perchè sovente viene ripetuta nelle varie interpretazioni che ci ha lasciato e che quindi ci consegnano un figura artistica ben deliniata, ok non nego questo, ma mi chiedo e vi chiedo, quanto c'è di studiato e ricercato e quanto provenga da un indubbio senso istintivo? non credete poi che il risultato ottenuto dal cantate in questione possa anche derivare da un analisi-preparazione diversa da quella che ciascuno di noi gli attribuisce?
Perdonami Matt, ma personalmente qualche dubbio sul fatto che la Gencer abbia visto e messo tutte quelle intenzioni che ci hai visto tu (e credimi sono davvero molto belle), io ce l'ho (e non lo dico per sminuire ne quello che hai visto ne tantomeno la Gencer...)
Solo per citare un esempio, ricordo un intervista fatta diversi anni fa a Pasolini, in occasione dell'uscita di un suo libro di poesie, nella quale l'intervistatore chiedeva numi su una poesia che lo aveva particolarmente colpito per l'utilizzo di alcune parole diciamo espressivamente forti. Pasolini rispose: perchè mi piacevano, non c'è una vera e propria questione strutturale, ma solo un semplice istinto poetico.

Pongo questi quesiti, proprio perchè penso che le due visioni citate da Beckmesser e da me quotate, possono a volte intervenire anche in osmosi e quindi, l'interprete potrebbe essere e non essere sempre partito dalla stessa analisi e dalla stessa visione che noi gli attribuiamo; pur provocando in noi il medesimo effetto...

Confronto comunque interessante che chiederei agli amici amministratori di introdurre un poco più spesso (so che siete parecchio presi...).
Un grazie all'amico Marazz per l'interessante disanima.

Salutissimi.

Teo
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Messaggioda Luca » mar 19 feb 2008, 19:36

E anche che vent'anni prima, sempre a Roma, c'era stata la riesumazione con Battistini.
Ma bastano due riprese in cinquant'anni?
Specie confrontate alle decine e decini di produzioni, nello stesso periodo, in tutti i teatri della Germania e dell'Austria (per non parlare di Glyndebourne)?
===============================================
Non intendevo affermare una ri-circolazione di quest'opera nei teatri italiani del tempo, mi pare ovvio. Faccio però notare come l'area tedesca ha privilegiato in questo tempo un'altra opera a tinte cupe quale è Il Tabarro tanto che nel periodo 1938-43 appaiono le prime incisioni di entrambe le opere. La Myto ha fatto una cosa saggia nel presentare il Tabarro diretto da C. Krauss e come bonus alcuni brani del Macbeth del '43 con la Hongen. Non è un caso: si tratta di opere dove il conflitto interiore, la durezza di animo e quanto altro si può definire come "maledetto" fa da padrone. Consiglio VIVAMENTE di ascoltare Il Tabarro: pur cantato in tedesco, possiede una spettralità ed un'essenzialità che le edizioni successive in italiano (la prima è quella con Reali e la Petrella del 1950) non conoscono.

Saluti, Luca.
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Messaggioda MatMarazzi » mer 20 feb 2008, 2:46

beckmesser ha scritto: Questo è quanto riesco a fare come difensore d’ufficio, dai quali notoriamente non ci si aspetta molto…


E invece la tua difesa (come quella di Pruun e altri) è stata generosa, con stimoli convincenti e spunti di riflessione.
A me resta il sospetto che si voglia spremere sangue dalle proverbiale rapa… :)
Sed de hoc satis.

Ho già in mente un altro confronto che, appena ho tempo, vi proporrò.
Fadecas suggeriva altri ascolti con Lady Gencer; e non mi dispiacerebbe.
Ma il topic di questo thread è "Verrett contro tutte"; quindi preferisco mettere un’altra Lady in modo che il discorso non si areni su un confronto a due.

Piuttosto, Beckmesser, vorrei difendermi dal tuo appunto sul "metodo", che era poi lo stesso che mi rivolgeva Gustav a proposito di Abbado.

una disanima così (spietatamente…) analitica mi sembra inevitabile torni a vantaggio di interpreti (cut) di natura essenzialmente analitica. Ma non è l’unica possibilità: un personaggio (in certi repertori…) può essere costruito anche attraverso mezzi più strettamente tecnici (proiezione del suono, costante variazione della messe di voce, trascolorare dei colori e dei pesi non in ogni sillaba, ma in frasi di gettata più ampia).


Nessuno nega che sia proprio così!
Oddio... certo che avrei preferito che, invece di Bergonzi (su cui prima o poi avrei qualcosina da dire), si fosse citata (che so) la Callas quando canta “ah non credea mirarti” o altri deliranti cantabili da protoromanticismo italiano.
Lì si che il disegno è di vastissime proporzioni.
Infatti pur essendo la Callas la cantante più analitica immaginabile (cosa che non direi di Bergonzi) in queste scene congelava colore e intensità in una fissità incantatoria, immacolata sul filo del legato.
CIò che intendeva evocare (una fluttuazione immateriale della coscienza, sospesa nello spazio e nel tempo) imponeva proprio l'assenza di ogni movenza, effetto, varietà di colore per battute e battute.

Ma non è affatto detto che un simile progetto possa sfuggire a un’analisi come quella che ho tentato.
E’ sempre dalle piccole cose che si perviene al grande.
Ti basta il primo suono, la prima nota di “Ah non creda mirarti” per capire che la Callas sta ordendo qualcosa.
E non perché quel primo suono comprenda o sveli già il disegno finale, ma perché tende ad esso con forza, ne è parte.
E’ come quando vedi le fondamenta di un palazzo in costruzione: non puoi intuire che forma avrà il palazzo, ma sai già che lì qualcosa verrà costruito.

Non c’è stato modo (nei brani analizzati) di riflettere su disegni grandi solo perché, a mio avviso, non ce n’erano.
La Gencer è una che lavora in modo “impressionistico”. E’ una tesi che ho già espresso quando si parlava di agogica e di ritmo.
Lei insegue (e imbriglia, nei limiti del possibile) un libero avvicendarsi di emozioni. Ne gusta l’impatto nel loro fluire.
Può essere coerente, nel corso dell’opera, ma non architettonica, come poteva essere la Callas.
Quanto alla Verrett, sono ultra-convinto che non ci fossero disegni di particolare ampiezza neppure lì! :)
E anche quelli che hai individuato tu sono molto più facilmente “abbadiani” che “verrettiani”.

Concludo con una rapida risposta anche a Teo.

Mi spiace, ma io all’istinto non credo.
Come non ho mai creduto ai cantanti “generosi”.

Il lavoro dell’arte è una fatica estenuante, di analisi, ricerca, critica, riflessione, sperimentazione.
E non si giunge a risultati se non a questo prezzo.
E’ vero che ci sono cantanti che non si interrogherebbero mai, a differenza della Gencer, sul valore di un suono, di un recitativo, di un ritmo, di un colore. Sono quelli che, una volta sicuri di agganciare l’acuto e di produrre tanti suoni “tondi” e “avanti”, pensano che il loro lavoro sia finito.
E invece non è ancora cominciato.

La musica è un lavoro senza fine, come ogni forma d'arte, come la poesia.
E’ lo sfibrante “labor limae” (come disse un poeta) sulle “sudate carte” (come disse un altro).
Pasolini non la pensa così?
Forse perché non era né Catullo, né Giacomo Leopardi.

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Messaggioda gustav » mer 20 feb 2008, 21:58


Se anche Abbado non stacca il tempo giusto e lo gestisce male (mi spiace per Gustav, ma l'opera italiana ha un respiro ben preciso), una cantante vera avrebbe dovuto renderlo vivo con la sua personale pulsazione.
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Caro Mat,
sono mi vedo costretto a spezzare una lancia in tuo favore...Ho riascoltato per bene tutto il pezzo

LADY
Vedi! Le mani ho lorde anch'io;
poco spruzzo, e monde son.
L'opera anch'essa andrà in oblio...

MACBETH
Odi tu? Raddoppia il suon!

LADY
Vien!
Vieni altrove! Ogni sospetto
rimoviam dall'uccisor;
torna in te! Fa' cor, Macbetto,
non ti vinca un vil timor.

MACBETH
Deh potessi il mio delitto
dalla mente cancellar!
Deh, sapessi, o re trafitto,
l'alto sonno a te spezzar!

e l'ho anche confrontato con quello di Muti e Cossotto ecc...Al di là del fatto che è chiaro che l'opera deve possedere un "respiro ben preciso", devo dire che in questo passaggio effettivamente la Gencer è superiore alle altre (nel caso del mio confronto a Cossotto e Verrett)...Tuttavia, per quanto riguarda Abbado rimango un pochino scettico sul fatto che abbia sbagliato gravemente il tempo (anche se per la verità leggermente meglio qui è anche Muti) e un pelo ( ma proprio di poco) legnosetto lo è, pur, come dicevo precedentemente, rimanendo coerente con la sua impostazione rigorosa, ma sempre raffinata...Infatti se la Genser risulta migliore, ritengo che questo sia dovuto esclusivamente alla sua particolare bravura dimostata in questo frangente; insomma Abbado o meno, è la Verrett a non essere all'altezza, ma solo, ripeto in questo frangente...perchè per il resto continuo ad apprezzarla profondamente in questo ruolo...Dai concediamogloielo: è difficile essere sempre perfetti... :D

Ciao...
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Messaggioda VGobbi » ven 22 feb 2008, 22:51

MatMarazzi ha scritto:Ok, ma questo non è canto.
Questa non è interpretazione operistica.
Gente con bel timbro, bel corpo, bella faccia e piena di fascino la trovi anche al supermercato.
Quello che io intendo per canto è qualcosa di diverso.

Anzitutto musica (il chè significa scienza del ritmo, della dinamica, del colore sonoro, della frase musicale e delle sue articolazioni) e ovviamente teatro, perché l'opera è teatro: quindi scienza della pronuncia, dell'articolazione sillabica, della mimica, ecc....

Scusami, ma se ci atteniamo a questo la Sutherland sarebbe un clamoroso bluff, non credi? La mia non e' assolutamente una provocazione, pur conoscendo il mio forte disamore per la Sutherland. Ma vorrei capire, se possibile.

Mi unisco anch'io ai dubbi e perplessita' espresse da beckmesser e teo4ottave. Davvero e' difficile chi puo' affermare se una cantante, dal punto di vista espressivo, sia piu' convincente rispetto ad un'altra. Qui, a mio modestissimo avviso, torna di gran moda il concetto della soggettivita' : non e' bello cio' che e' bello, ma e' bello cio' che piace.

MatMarazzi ha scritto:Ho già in mente un altro confronto che, appena ho tempo, vi proporrò.

In attesa che Mat ci proponga altri confronti (e non ne mancano di esempi), dico la mia sui due clips audio postati. Premettendo che a me la Verrett piace e parecchio, aiutata da un direttore ed un partner (Cappuccilli in questa edizione sembra trasformato, meno plateale come artista e piu' sfumato del solito) all'altezza della situazione, quel che mi ha colpito di piu' della Gencer (non avendo il live in questione) e' la sua capacita' di riempire le note, come direbbe il Marazzo. La sua capacita' di dare significato a quel che canta, la sua bravura nell'aderire e lavorare sul ritmo della frase musicale. Davvero interprete superba, non c'e' che dire.

Mi e' d'uopo una domanda. Che differenze intercorrono tra le due Lady della Gencer, ovverossia quella palermitana e quella veneziana? Grazie a chi sapra' delucidarmi.
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Messaggioda Teo » sab 23 feb 2008, 12:23

MatMarazzi ha scritto: Mi spiace, ma io all’istinto non credo.
Come non ho mai creduto ai cantanti “generosi”.


Questione di punti di vista, io credo che l'istinto sia fondamentale nella ricerca, così per esempio nella scienza, chiaro che di per se non basta, serve altro (ma mi pare anche un tantino scontato); a volte succede che quello che esce dall'istinto è in perfetta sintonia con quello che senti, e in quel preciso momento non ti serve altro (una frase, una parola, un accento...).
Attenzione per me "istinto" non è uguale a "improvvisazione"...non ci si improvvisa nell'opera...
Non ho capito poi il rapporto dell'istinto con il discorso sui cantanti "generosi" :cry:

MatMarazzi ha scritto: Il lavoro dell’arte è una fatica estenuante, di analisi, ricerca, critica, riflessione, sperimentazione.
E non si giunge a risultati se non a questo prezzo.


E chi ha mai negato questo :D l'istinto, così come l'intuito, per essere dimostrato deve anche essere supportato da un lavoro intenso.
Tu credi che la Gencer sia stata proprio così incredibilmente "analitica" in quell'interpretazione? io non lo penso, per lo meno non nella misura con la quale tu l'hai sviscerata...però è questioni di punti di vista...
Chiaro, non la sto paragonando a una cantante qualsiasi, la grandezza sta anche nella sua preparazione, però mi sia concesso, a mio avviso non esiste o tutto così o niente...


MatMarazzi ha scritto: Pasolini non la pensa così?
Forse perché non era né Catullo, né Giacomo Leopardi.


Beh, non credo sia il caso di fare classifiche...e poi sinceramente non riesco a pensare a Pasolini come ad un "dilettante allo sbaraglio"....

Salutissimi.

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Messaggioda MatMarazzi » sab 23 feb 2008, 12:51

VGobbi ha scritto:Scusami, ma se ci atteniamo a questo la Sutherland sarebbe un clamoroso bluff, non credi?


Proprio se ci atteniamo a questo la Sutherland non è un bluff! :)
Fragile dal mero punto di vista dell'articolazione (ma secondo me non tanto in difficoltà quanto la Verrett), la Sutherland era una vera e propria scienziata del canto e della musica! :)
Ogni nota è funzionale a un disegno, il ritmo è gestito con un'abilità che fa passare per scolarette il 99% dei cantanti, la dinamica è calibrata con sottigliezza e riflessione, il rapporto con l'orchestra è addirittura strumentale.
Che poi non tutte le interpretazioni della Sutherland siano riuscite col buco questo è vero (tutti i ruoli in cui il colore è necessario, o quelli in cui si dovrebbe esprimere passione e umanità); ma negli altri ruoli (le Anna, le Alcine, le Semiramidi, le Margherite di Valois, le Lakmè, le Norme, le Turandot) è stata interprete maiuscola.
Le stesse osservazioni minuziosissime che ho fatto sulla Lady della Gencer si potrebbero fare su di lei.

Mi unisco anch'io ai dubbi e perplessita' espresse da beckmesser e teo4ottave. Davvero e' difficile chi puo' affermare se una cantante, dal punto di vista espressivo, sia piu' convincente rispetto ad un'altra. Qui, a mio modestissimo avviso, torna di gran moda il concetto della soggettivita' : non e' bello cio' che e' bello, ma e' bello cio' che piace.


Calma!
Non voglio parlare per altri, ma a me non pare proprio per niente che Beckmesser abbia detto qualcosa del genere.
La storia della soggettività (che mi pare abbiate tirato fuori solo tu e Teo) è a mio parere semplicemente una bufala. :)
Che il Casta Diva della Callas sia migliore di quello della Ricciarelli (annata 87) è un dato semplicemente oggettivo.
Questa storia della musica e dell'interpretazione come arte dell'indefinito e dell'indecifrabile è una chiacchiera.
La musica (sia scritta, sia eseguita) è fatta di segni ben precisi, analizzabili e interpretabili alla luce delle convenzioni del genere.

mi ha colpito di piu' della Gencer (non avendo il live in questione) e' la sua capacita' di riempire le note, come direbbe il Marazzo. La sua capacita' di dare significato a quel che canta, la sua bravura nell'aderire e lavorare sul ritmo della frase musicale. Davvero interprete superba, non c'e' che dire.


Fammi capire.
Prima dici che la fruizione è totalmente soggettiva e poi sottoscrivi tutto quel che ho scritto sulla Gencer! :)
Be'... che dire... :)

Mi e' d'uopo una domanda. Che differenze intercorrono tra le due Lady della Gencer, ovverossia quella palermitana e quella veneziana?


In realtà la risposta l'ho già data.
Ma la ripeto volentieri.
Anzitutto è cambiata la voce: nel 68 la Gencer era molto appesantita e assai meno brillante (per inciso evita il re bemolle del sonnumbulismo).
Poi è cambiata, in parte, la tecnica: gli artifici del 68 sono meno "coloristici" e più vincolati alla declamazione drammatica.
Infine è cambiato l'atteggiamente interpretativo: Lady Macbeth è assimilata alle grevi tiranne dei ruoli Ronzi de Begnis in cui era divenuta specialista.
Insomma una lettura radicalmente diversa, non priva di interesse (e all'epoca letteralmente idolatrata), ma a mio parare molto meno interessante di questa Lady palermitana.

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Messaggioda MatMarazzi » sab 23 feb 2008, 13:04

Teo ha scritto:Attenzione per me "istinto" non è uguale a "improvvisazione"...non ci si improvvisa nell'opera...


Già! Il punto è questo.
Un suono non esce dall'istinto ma dallo studio.
Il che significa che è stato pensato, razionalizzato, provato, sciscerato, concordato (il cantante non è solo, ma canta mentre suonano altre decine di persone), realizzato.
L'istinto, se mai è stato un punto di partenza, è - al momento dell'esecuzione - un pallido ricordo.

MatMarazzi ha scritto: Tu credi che la Gencer sia stata proprio così incredibilmente "analitica" in quell'interpretazione?


Semplicemente ha emesso una serie di suoni "significanti" (cosa che, ad esempio, a Corelli capita raramente).
E ne ha emessi pochi senza significato (i famosi manierismi dietro a cui molti cantanti, e lei stessa qualche anno dopo, si nascondono).
E non si emettono suoni "significanti" senza una adeguata riflessione.

Preferisci pensare che sia frutto dell'ispirazione del momento? :)
Compresi i diabolici rapporti ritmici con l'orchestra e con Gui in "follie che sperdono"? Compreso il prefetto rallentando in "quell'animo trema" in cui violini e voce sembrano la stessa cosa?
Compreso il rapporto dinamico calibratissimo con Taddei per tutta la prima parte del duetto?
:) Be... liberissimo.
Io invece penso di no.
:)

MatMarazzi ha scritto: Pasolini non la pensa così?
Forse perché non era né Catullo, né Giacomo Leopardi.


Beh, non credo sia il caso di fare classifiche...


Io invece penso di sì! :)
Si possono fare classifiche in musica come in poesia.
Tu stesso non preferisci Corelli a José Cura?
Bene: io preferisco - e di gran lunga - Catullo e Lopardi a Pasolini.

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