Fidelio (Beethoven)

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Messaggioda MatMarazzi » gio 10 gen 2008, 18:37

beckmesser ha scritto:la matrice è quella classico-viennese su cui viene innestata (fino a creare qualcosa di completamente nuovo) l’esperienza nuova dell’opera francese del periodo rivoluzionario. Per mio conto non è un caso


Sì certo. Condivido in toto.
A dire il vero, pensavo di averlo già detto anche io quando avevo accostato il teatro Feydeau all'An der Wien e l'opéra-comique al singspiel e avevo fatto osservare che la Scio (regina del Feydeau e creatrice di Medée) era una specilista delle pièces à sauvetage, al cui genere appartiene Fidelio.
L'unica cosa che mi premeva chiarire è che parlando di questo repertorio (e di questa vocalità) occorre tenere distanti le eroine della Tragédie Lyrique (anche se dello stesso Cherubini) che si allestiva all'Academie Royal.
In soldoni, è giusto accostare Medea a Leonora.
Meno giusto, secondo me, evocare la Vestale, l'ultimo Gluck e persino quel Cherubini (vedi Abencerages) che scriveva per l'Opéra.


E per mio conto le ragioni di quell’interesse sono chiare: è quello l’esempio che gli consente di formarsi il linguaggio che gli serve ad esprimere ciò che gli interessa, per il quale Mozart non basta più. Il linguaggio di Mozart era sostanzialmente quello melodico di origine italiana, piegato ad una duttilità tale da consentire di seguire ogni più sottile sfumatura psicologica dei personaggi. Ma, appunto, a Beethoven di melodia italiana e di psicologia non interessava nulla: lui voleva esprimere idee, convinzioni, e per questo il linguaggio scabro, contrastato e “asimmetrico” di Cherubini


Quello che dici è giusto. Però stiamo parlando di lievi differenze (intendo tra la vocalità del Mozart serio e quella di Leonore-Medée).
Nel senso che tecnicamente una cantante "seria" della Vienna dell'eoca poteva fare furore con Leonore e Medea (la Milder, come si è detto, li cantò entrambi) proprio come con Donna Anna e Vitellia.
Mentre un'Isolde di ieri e di oggi ci lascia le penne.

Poiché il discorso era nato dall'impostura tecnico-linguistica che colpisce oggi il personaggio di Leonora, io torno a sottolineare che le attuali interpreti aduse a maneggiare il repertorio serio mozartiano siano le più indicate.

Del resto, per mio conto l’importanza di Fidelio è proprio questa: essere il mattone fondante di quel processo che sposterà progressivamente il centro del discorso musicale dalla frase musicale alla parola, arrivando fino alla declamazione wagneriana.


Questo è un discorso interessantissimo.
Da dove nasce il rivoluzionario declamato wagneriano?
Ebbene... io non credo che il soprano "popolare-progressista" del tipo Leonore-Medea ne sia all'origine.
Semmai questo ha influenzato il "drammatico d'agilità" romantico (la Schrodent Devrient, la Malibran...)

A differenza tua, penso che il modello tecnico-vocale a cui Wagner guardava fosse quello della declamazione francese (opportunamente elaborata) di Rameau-Gluck.
E' paradossale no?
Ma se ci pensi...

Parliamone.

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Messaggioda VGobbi » ven 11 gen 2008, 0:45

pears ha scritto:Inoltre, ho da poco l'edizione Davis con Heppner e la Voigt. La conoscete? che ve ne pare?

Volevo correggere il tiro. Non e' tanto la direzione di Davis od il canto pigolante della Norberg-Schulz (tra l'altro, lo confesso, in quest'occasione mi e' parsa decisamente brava), quanto la mia immane fatica ad ascoltare l'opera. Comunque, mi son sentito tutto il primo cd, l'aria di Florestan ed il finale con l'entrata di Don Fernando. Cast di altissimo livello, prestazione superlativa di tutti e direzione semplice, forse fin troppo ordinaria ma per lo meno pulita, di Davis. Nel complesso, penso che potrebbe stare tranquillamente nella top five dei Fidelio discografici live e non.
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Messaggioda beckmesser » lun 14 gen 2008, 11:03

MatMarazzi ha scritto:In soldoni, è giusto accostare Medea a Leonora.
Meno giusto, secondo me, evocare la Vestale, l'ultimo Gluck e persino quel Cherubini (vedi Abencerages) che scriveva per l'Opéra.


Non sono del tutto d’accordo, e per due ragioni. Una di carattere generale, ed è che sono sempre perplesso ad enfatizzare l’elemento “ambientale” sull’attività creativa di certi compositori. Sia ben chiaro, è evidente che non vivevano in una teca di cristallo e che interagivano con le esigenze pratiche di teatri ed interpreti ma, appunto, interagivano: e dall’idea che mi son fatto di Cherubini, dubito che fosse così in linea con lo stile Feydeau in cui si trovava a lavorare e che, d’altro lato, Spontini fosse altra cosa perché scriveva per l’Opera… Ma questo è un discorso lungo che magari si può fare in altra sede… La seconda ragione è che, ammesso e non concesso che Medea e Vestale avessero caratteristiche così diverse al momento della loro creazione a Parigi, io mi riferivo all’impatto che provocarono a Vienna su Beethoven, e mi sembra che in Europa essere vennero viste (pur con le loro differenze di scrittura e struttura) come esempio di uno stesso nuovo stile, almeno nelle loro caratteristiche generali. E, in ogni caso, io credo che Vestale abbia influito enormemente su Fidelio (ovviamente sulla versione definitiva). Anzi, mi ha sempre colpito un dato cronologico: le versioni 1805-1806 di Leonore dividevano i palcoscenici viennesi con le opere di Cherubini, che per mio conto furono la chiave che consentì a Beethoven di uscire dalle secche in cui si trovava. Le famose 22 recite del Fidelio 1814 si alternavano con una ripresa di Vestale, che pure Beethoven studiò accanitamente prima di porre mano alla revisione…

A differenza tua, penso che il modello tecnico-vocale a cui Wagner guardava fosse quello della declamazione francese (opportunamente elaborata) di Rameau-Gluck.
E' paradossale no?
Ma se ci pensi...


No, non è paradossale, ma non vedo una così marcata linea di demarcazione fra il filone che chiami “popolare-progressista” e quello di Rameau-Gluck. Come ho detto sopra, ammesso che questi filoni fossero ben demarcati alle origini in Francia (e non lo credo del tutto: anche la vocalità di Cherubini deriva da Rameau e dal Gluck francese, con ovvie reminiscenze italiane) nel loro recepimento europeo (e viennese in particolare) formarono un tutt’uno che sostanzialmente (attraverso la problematica sintesi di Fidelio) superava il melodismo simmetrico di Mozart e degli italiani e poneva le basi di un canto di carattere sillabico e asimmetrico che si svilupperà prima nell’opera romantica tedesca e, poi, nel declamato del tardo Wagner.

Discorso interessante, comunque…
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Messaggioda melomane » mar 22 gen 2008, 1:40

Carissimi,

Leonore (e poi Fidelio) si colloca nella fase di percorso di Beethoven in cui era avvenuto, con decisione e in modo irreversibile, il distacco dal maestro Haydn ed era in corso la rielaborazione degli insegnamenti degli altri grandi riferimenti: Salieri, che gli trasmise il senso della tragedia musicale borghese e Forster, portatore di spunti interessanti sull'arte compositiva del quartetto.
E' il periodo della Terza Sinfonia, il primo decennio dell'Ottocento, quello in cui compaiono sulla scena le due "Leonore"; quello definito "eroico" ma non del tutto a ragione: come giustamente vien fatto notare, non sono gli ideali politici a dominare la poetica beethoveniana, immagine che appagava più le esigenze letterarie borghesi che non quelle innovative del musicista, ma un'innovazione musicale fondta su una pluralità di temi, l'invenzioni di soluzioni basate sulla dissonanza dal grande impatto emotivo, un uso stupefacente ma ragionato del contrappunto.
Motivato dalla ricerca della forma come dramma ispirata alla musica antica, Beethoven esplora le potenzialità del timbro sperimentandone intensità, dinamica, estensione: strumenti di questo percorso furono l'attività pianistica e il virtuosismo. Le produzioni che ne scaturirono non sono classificabili univocamente in termini di gioiosità (Sonata “Waldstein”) o cupezza (Sonata “Appassionata”). Il musicista tedesco intuì il potenziale “eversivo” del suono, lo sguardo “mirava” al polifonismo novecentesco, Beethoven non fu mai un romantico. La stesura definitiva del 1814 appartiene addirittura a un periodo di ulteriore maturità.

Il binomio Furtwängler-Mödl, fu un incontro tra dio e musa nella rivelazione dei momenti più trafittivi dell'epos wagneriano, ma in Beethoven non c'è epos... L'incisione del 1953 è un grande ascolto, ma prescinde dalla ricerca e dalla sperimentazione che guidarono il percorso beethoveniano. Sono invece credibili gli accostamenti vocali: Leonora e Marzelline sono due “pari”, due donne.
Böhm diresse la stessa Mödl nel 1955 alla Staatsoper di Vienna (il video con Dermota su YouTube di cui è stato accennato), ma la voce della cantante tedesca era già più dura e ferrigna e la Marzelline della Seefried troppo angelicata. La bacchetta di Böhm, uno dei divulgatori più accreditati del verbo mozartiano, poteva essere lo strumento più fedele delle invenzioni del musicista di Bonn: il direttore austriaco sembrò invece più preoccupato di rendere l'ansia e la solennità di molte pagine forzandone l'accentuazione, togliendo così “voce” alla partitura.
Più a segno Lovro Von Matačić nell'incisione del 1964, da cui traspare per intero la natura dell'opera, che fu definita un'opera comica su cui si costruisce un dramma che sfocia nella tensione tragica e si risolve in un inno di slancio umanitario. La direzione di Matačić si mantiene asettica e improntata all'esecuzione polifonica, Anja Silja in particolare dipinge Leonora non come personaggio ma trovando i colori e il respiro adeguato all'orchestra, le altre voci sono calibrate dalla direzione e dalla ripresa.

Un caro saluto

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Messaggioda pbagnoli » mar 22 gen 2008, 14:20

Considerazioni interessanti, Francesco, che gettano una luce non banale su un periodo interpretativo che troppo spesso e troppo facilmente è stato etichettato come "romanticista".
A fronte di ciò, ci stanno le interpretazioni più moderne, molto più "light" o che guardano ad altri modelli esecutivi: sono quelle che definiamo, forse impropriamente, "filologiche".
Fra questi due estremi ci stanno altre idee: quelle neoclassiciste di stampo mutiano, per dire, o altre che puntano solo all'effettismo di maniera al servizio di qualche star (che non saprei come classificare).
Oggi una Modl probabilmente non avrebbe nessuna possibilità di esistere in un repertorio di questo genere; o forse sì?... Se consideriamo la Meier, probabilmente...
Ma che spazio dovremmo attribuire a un Gardiner, per esempio? O a un Harnoncourt?
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Beethoven oggi

Messaggioda melomane » mer 23 gen 2008, 9:55

Non ho ascoltato il Fidelio diretto da Harnoncourt ma avanzo una considerazione che attiene allo stato della critica sull'esecuzione dell'opera di Beethoven in genere.
Prima dell'affermarsi dell'approccio filologico la prassi più aderente a spartito e indicazioni originali poteva essere etichettata come obsoleta ma - per contro - l'apporto interpretativo personale rischiava di esporre il direttore agli strali dei più conservatori.
Attualmente anche il discorso filologico ha perso la patina di novità, ma Harnoncourt sembra si confermi in grado di "attualizzare" il verbo trovando un equilibrio giocato sulla valorizzazione delle voci a scapito del predominio dello strumentale e non facendo della melodia la base dell'esecuzione.
Probabilmente in linea con la sperimentazione di Beethoven.

Ma, ribadisco, queste sono considerazioni che ho sentito a proposito del repertorio sinfonico.

Un caro saluto

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Messaggioda MatMarazzi » sab 26 gen 2008, 12:06

Caro Beckmesser,
per prima cosa mi scuso dell'enorme ritardo con cui ti rispondo.

beckmesser ha scritto:... sono sempre perplesso ad enfatizzare l’elemento “ambientale” sull’attività creativa di certi compositori. ...
e dall’idea che mi son fatto di Cherubini, dubito che fosse così in linea con lo stile Feydeau in cui si trovava a lavorare e che, d’altro lato, Spontini fosse altra cosa perché scriveva per l’Opera


Be' se conosci la storia dell'Academie Royale sai che c'è sempre stato ben poco da interagire. ;)
Sia in ambito reale, sia napoleonico, l'istituzione non lasciava alcuna libertà etica o morale (e tantomeno stilistica) al compositore, chiamato a svolgere un ben preciso ruolo di celebrazione e esaltazione.
Se all'Opèra si esaltava il potere, in chiave classicistica, al Feydeau lo si contrastava in chiave illuministica.
Se all'Opéra si consumavano fastose liturgie di monumentalità linguistica e affettiva, al Feydeau vinceva la sobrietà, la solarità irridente e la vivacità di idee e di slanci (e di mezzi).

Mi chiedo in tutta franchezza come si faccia a non cogliere l'immensa, radicale differenza per un compositore fra lo scrivere per un teatro di stato, con regole ferree e ben precisi dictat politici da rispettare, e lo scrivere per un teatro di fierezza illuministica, anti-monarchica, che sfida anche la matrice "musicale" avversaria, magari fondandosi su movenze (ritmiche, coloristiche) più prossime alla tradizione popolare, come fecero anche Beethoven e lo stesso Mozart per i teatri di Schikanaeder.
Tu dici che non va "enfatizzato" l'ambiente (io direi il committente), eppure chiunque si accorgerebbe della differenza anche musicale e narrativa, oltre che etica, fra la Clemenza di Tito e il Flauto Magico.

E poiché si parlava soprattutto di questioni "vocali" (dal momento che tutto il discorso era nato dal fatto che tu individuavi in Julia della Vestale una della sorelle di Leonora) io continuo a chiedermi cosa possa esserci in comune fra Julia e Medea, spartito alla mano?
Per me nulla.
La Vestale, come ogni altra opera di origini rameau-gluckiane, è praticamente fondata sul recitativo, nel senso che la declamazione alessandrina straripa dal recitativo e informa di sè i pezzi chiusi.
Al contrario, Medea (come Leonora) non ha praticamente recitativi, se non qualche accompagnato.

Julia è priva di acuti, priva di agilità, priva di accensioni ritmiche.
Medea (come Leonore) è tutta un acuto, un'agilità, un'accesione ritmica.
Come tessitura, Medea è più acuta di almeno una terza.

Hai presente Renata Tebaldi? Sicuramente sì... :D
Per quanto non abbia mai cantato la Vestale (che avrebbe fatto benissimo) è stata una vera specialista di Spontini e dei ruoli Branchu.
Ha cantato sia Olimpia, sia Fernando Cortez, e le ha cantate molto meglio di tutte le sue Mimì o Traviate.
Bene. Ce l'avresti vista in Fidelio? O in Medea? O in Lodoiska?

non vedo una così marcata linea di demarcazione fra il filone che chiami “popolare-progressista” e quello di Rameau-Gluck.

Be' se non ti bastano le differenze di natura etica, ideale, strutturale e quelle di natura vocale, non so come convincerti! :)
Nota che, come ho già detto, sono d'accordo con te se parli di canto "sillabico e asimmetrico" in riferimento a Cherubini (quello del Feydeau, scusa se insisto ;)) ma continuo a non condividere il riferimento a Spontini...
Cosa c'è di più sontuosamente aulico, riposante, simmetrico del suo canto...?

Alle volte temo che si voglia considerare Spontini più romantico di quel che fu, solo per lo sfarzo orchestrale e la sontuosità del suo declamato.
Ma tutto questo era già presente in Gluck e perino in Rameau: Spontini (che per inciso a me piace tantissimo) ha solo spolverato di neoclassicismo e con nuovi sfarzosi fondali orchestrali una scena già vista.
La scena della sontuosità celebrativa e intellettualizzante dell'antichissima istituzione monarchico-parigina.
Napoleonico prima e restaurazionista poi, Spontini mi pare anche umanamente all'opposto degli ideali illuministici, di sobrietà razionalistica e solarità coraggiosa, di cui si fanno portavoce Medea e Leonore.
Fu celebrato in tutta Europa?
E' vero... ma in Europa non albergavano solo i rivoluzionari, i massoni e gli illuministi! :)

Salutoni
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Messaggioda elvino » sab 26 gen 2008, 21:53

Scusatemi se mi intrometto,secondo voi Salieri con le sue Danaides e il suo Tarare non ha influenzato Spontini per le sue opere francesi ? Da letture effettuate ho appreso che Spontini fu un convinto estimatore di Salieri e delle sue opere arrivando a comporre dei pezzi nuovi per Tarare ripreso nel 1818 mi pare,su incarico dello stesso Salieri e dicendo più volte di essere stato influenzato da Salieri.
Secondo voi in cosa Spontini assimila lo stile del suo predecessore ?
Grazie
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Messaggioda MatMarazzi » dom 27 gen 2008, 2:28

elvino ha scritto:Scusatemi se mi intrometto,secondo voi Salieri con le sue Danaides e il suo Tarare non ha influenzato Spontini per le sue opere francesi ? Da letture effettuate ho appreso che Spontini fu un convinto estimatore di Salieri e delle sue opere arrivando a comporre dei pezzi nuovi per Tarare ripreso nel 1818 mi pare,su incarico dello stesso Salieri e dicendo più volte di essere stato influenzato da Salieri.
Secondo voi in cosa Spontini assimila lo stile del suo predecessore ?
Grazie


Eh, caro Elvino,
hai proprio citato Salieri, il nome che spariglia le carte e le generalizzazioni! :)
Salieri è proprio l'autore dello spirito illuminista e roussoniano nell'Accademie Royale. E che quindi contraddice in parte le mie argomentazioni...

Ma non per merito suo! ;)
Come Mozart a Vienna, era il potere stesso ad essere divenuto filo-massonico e libertario: la corte di Maria Antonietta (ironicamente) era un rifugio di pensatori avanguardisti, sperimentali e illuministi, come Beaumarchais (librettista del Tarare).
La Rivoluzione avrebbe cambiato molte cose! :)

Io non sapevo che Spontini avesse composto pezzi nuovi per la ripresa del Tarare, nè che fosse ammiratore di Salieri... ti sono gratissimo dell'informazione, ma temo di non poter rispondere alla tua domanda.
Certo che da quel poco che conosco del Salieri parigino (molto diverso da quello viennese), penso che Spontini vi abbia trovato un'ampiezza di eloquio, una brillantezza orchestrale e una ridondanza maestosa nel recitativo tali da anticipare la svolta verso il "sinfonismo lirico" di Spontini...
E' una banalità, ne convengo, ma non saprei cosa altro aggiungere.

Tu cosa ne pensi? Secondo te in cosa è consistita questa filiazione?
Forse qualcosa di ideale?
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Messaggioda beckmesser » mer 06 feb 2008, 13:49

MatMarazzi ha scritto:Tu dici che non va "enfatizzato" l'ambiente (io direi il committente), eppure chiunque si accorgerebbe della differenza anche musicale e narrativa, oltre che etica, fra la Clemenza di Tito e il Flauto Magico.


Certo, se ne accorgerebbe chiunque e me ne accorgo anch’io, solo non credo che queste differenze dipendano principalmente dal “committente”, ma dal diverso modo con cui Mozart si approccia a due soggetti (storie, personaggi, ecc.) completamente diversi. L’esempio di Mozart mi sembra interessante. Il problema, a mio modesto parere, è che spesso si tende a valutare un intero repertorio sulla base di 4 o 5 capolavori che, a tutti gli effetti, rappresentano delle eccezioni. Voglio dire: noi non abbiamo praticamente nessuna esperienza diretta (di ascolto o di studio) di quello che era il repertorio normale dell’Auf der Wieden di Shikaneader, se non la Zauberflote, e di conseguenza si tende a vedere tutto un genere alla luce di quell’unico capolavoro. Dato poi che una delle poche cose che si sa di quel repertorio è che era, tendenzialmente, “popolare”, si finisce anche col concludere che gli elementi “popolari” del Flauto devono essere una conseguenza dell’”ambiente” in cui l’opera è nata. Ma da quel poco che indirettamente sappiamo del repertorio di quel teatro, ciò che vi si rappresentava dovevano essere ridicole sciocchezze in cui la musica aveva un ruolo marginale e di nessuna pretesa. E per “adattarsi” a quell’ambiente Mozart avrebbe concepito l’inaudita complessità (di forma e di contenuto) del Flauto? Per gente abituata a qualche strofetta cantata ogni tanto, Mozart avrebbe concepito gli assiemi, il linguaggio della regina della notte, il corale degli uomini armati? Sarà un problema mio, ma proprio non riesco a vedercelo. Non è il teatro di Shikanaeder che ha influenzato il Flauto: è il Flauto che ha creato l’immagine (probabilmente falsata) che noi abbiamo del teatro di Shikaeneder. E lo stesso vale per Parigi: al Feydeau sappiamo (indirettamente) che si rappresentavano essenzialmente pièces au sauvatage, con lieto fine pressoché obbligatorio e dal forte connotato semiserio. E la scabra tragicità di Medée cosa c’entra? Davvero faccio fatica a vedere in Medée un esempio di "sobrietà razionalistica e solarità coraggiosa".

Idem l’Opéra: concordo su quello che scrivi sui lacci, vincoli e prescrizioni che vi vigevano. Ma il fatto è proprio questo: Spontini fu costretto dalla commissione che vi regnava ad una vera via crucis di modifiche e ritocchi, proprio perché nell’opera non si ravvisavano quelli che erano i requisiti “Opéra”. Ma la Vestale, anche dopo questi adattamenti, rimase sostanzialmente quello che era prima, ossia un’opera che rompeva tutti gli schemi precedenti. Ancora una volta: non fu l’Opéra a influenzare la Vestale, fu la Vestale a creare lo stile dell’Opéra degli anni ’10 e ’20, così come il Tell creerà quelli degli anni ’30 e successivi.
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Messaggioda MatMarazzi » sab 09 feb 2008, 11:39

Caro Beckmesser,
non è per insistere... è chiaro che la pensiamo diversamente e non è mio desiderio convincerti a tutti i costi.
Anzi, temo il rischio che la nostra discussione finisca per sclerotizzarsi in posizioni alteramente contrapposte, nel qual caso perderebbe molto del suo interesse, anche per l'eventuale lettore.
Però... non posso che restare della mia idea di fronte ad affermazioni come questa, riguardo le differenze fra Flauto Magico e Clemenza di Tito.

non credo che queste differenze dipendano principalmente dal “committente”, ma dal diverso modo con cui Mozart si approccia a due soggetti (storie, personaggi, ecc.) completamente diversi.


Cambia solo il plot? la vicenda?
In un contesto terribile come l'Europa post-rivoluzione francese (quel contesto che costò carissimo proprio a Mozart) era dunque la stessa cosa scrivere per un teatro popolare e di fremiti massonici e libertari (evidentemente vicino alla rivoluzione francese) e scrivere per un teatro di corte, imperiale, un (guarda caso) vecchio testo di idealizzazione monarchica e assolutista?
No, mi spiace. Non è la stessa cosa, per me.
E non solo per questioni estetiche, ma anche per questioni morali e ideali.
Kurt Weill scrisse cabaret in Germania e musical in America.
Non viceversa.

Quanto alla tua tesi che nel teatro di Schickanaeder si rappresentassero solo sciocchezze dove la musica era marginale, mi spiace ma non condivido affatto.
Fu Schikanaeder a far rappresentare a Vienna il Ratto dal Serraglio, altro testo di ideali illuministici e di forma "popolare" e nazionalistica (con la complicità, allora, di Joseph II); fu Schikanaeder a insufflare nell'opera tedesca (e nella forma del Siengspiel) il fremito massonico-illuminista che arrivò a contagiare anche Mozart; fu Schikanaeder a commissionare la Leonore/Fidelio a Beethoven.
E lo potè fare perchè aprì e diresse teatri forgiati alle sue idee e alla sua estetica.
Altro che "schiocchezze"! L'opera romantica tedesca, emanicipata dal classicismo di corte, e di contenuti nazionalistici e libertari è nata lì.

Meno ancora condivido la tua equazione "popolare" = "semplice".
Un testo popolare può essere mille volte più complesso di un testo "sedicente" colto.
E questo in tutte le epoche e in tutte le culture.
Secondo me c'è una complessità tecnico-registica nei film di Dino Risi a fronte della quale i tre quarti dei film di Pasolini sembrano balbettamenti.
Nulla di strano che Mozart (o Beethoven o, molto più tardi, Weill) pur scrivendo testi popolari lo facessero con una perizia e una visione da grandi compositori.
Fra l'altro, come abbiam detto, i testi dell'An der Wien, erano popolari solo all'apparenza: come contenuti erano molto più all'avanguardia di tutte le polverose opere serie date per gli intellettuali della corte asburgica. Popolare era solo il materiale linguistico a cui attingevano.


Ma la Vestale, anche dopo questi adattamenti, rimase sostanzialmente quello che era prima, ossia un’opera che rompeva tutti gli schemi precedenti.


Concordo che rimase quello che era.
Ossia un'opera celebrativa dell'autorità, statica e imperiale come le tragèdies precedenti, macigno settecentesco spolverato di neo-classicismo, con vocalità che tutto sono fuorchè "spezzate e asimmetriche" (per usare una tua bella immagine).
:) Naturalmente sto esagerando un po' per spirito di discussione...
E tuttavia io continuo ad avvertire una differenza sinceramente sostanziale tra una Vestale e una Medea.
Ed è la stessa differenza che sento fra i paludati e convenzionali Abenceraggi (peraltro bellissimi) di Cherubini, rispetto alla stessa Medea o a Lodoiska.
Perché variava il contesto!
E l'esempio che citi di Rossini è evocatore.
Chissà perché il Tell l'ha scritto per Parigi e non per Napoli.
Idem per Donizetti.
Chissà perché il Don Pasquale e il Marin Faliero sono stati scritti per il teatro degli Italiani di Parigi e non per l'opéra (che invece accolse Favorite e Don Sebastiano).
Oggi noi, sotto la definizione "opera", facciamo un gran minestrone.
Ma allora era ben diverso scrivere per un teatro popolare e rivoluzionario e scrivere per un teatro-megafono degli ideali monorchici e assolutisti.
Comunque, appurato che la pensiamo diversamente, prometto di non insistere oltre.

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Abbado

Messaggioda MatMarazzi » mer 10 ago 2011, 17:41

Riapro questo combattutissimo thread per richiamare al vostro interesse l'ultimo articolo di Bagnoli (che in questo momento è eroicamente prolifico) :)
Lo trovate qui:
http://www.operadisc.com/rec_dischi.php?id=836

Vi troverete non solo i consueti spunti di riflessione, ma anche alcune posizioni davvero sorprendenti! :)

Salutoni,
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Re: Fidelio (Beethoven)

Messaggioda teo.emme » mer 10 ago 2011, 19:38

Come Pietro ben sa, la mia valutazione del Fidelio di Abbado non è affatto positiva (ho articolato altrove i miei ragionamenti intorno a quest'incisione): non solo per gli errori di cast, ma soprattutto per la linea interpretativa che sottende la lettura di Abbado. Vecchia, decrepita, defunta: possibile che nel 2011 dobbiamo ancora sorbirci un Fidelio "giacobino" (cosa ben diversa da "illuminista")? Possibile che ancora si tramuti una vicenda che vuole mostrare come l'allontanamento dall'ordine naturale, dalla legalità e dal "diritto" generi sopraffazioni e disumanità, in una dichiarazione d'intenti rivoluzionari/sessantottini? Possibile che ancora si debbano trasformare i dialoghi (riscritti per l'occasione) per renderli più politici e ideologicamente corretti: mettendo in bocca ai personaggi frasi di retorica libertaria che nulla c'entrano con la loro dimensione (l'esempio di Marzelline è emblematico)? Possibile che, ancora, il finale II appaia come una cantata rivoluzionaria (quando in realtà è il "trionfo" dell'ordine costituito e ristabilito dall'intervento dall'alto del nobile che rappresenta i valori tradizionali della legalità)? A me ha deluso moltissimo. Anche a livello musicale - rispetto al ciclo delle sinfonie - mi sembra un malriuscito mix tra il Beethoven di Abbado degli anni '80 e il suo Mozart (che non mi ha mai entusiasmato..anzi). L'orchestra e il coro sono splendidi (ovvio), ma suonano "solo" benissimo: e non credo sia abbastanza. Per me occasione sprecata.
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Re: Fidelio (Beethoven)

Messaggioda pbagnoli » gio 11 ago 2011, 14:34

teo.emme ha scritto:Come Pietro ben sa, la mia valutazione del Fidelio di Abbado non è affatto positiva (ho articolato altrove i miei ragionamenti intorno a quest'incisione): non solo per gli errori di cast, ma soprattutto per la linea interpretativa che sottende la lettura di Abbado. Vecchia, decrepita, defunta: possibile che nel 2011 dobbiamo ancora sorbirci un Fidelio "giacobino" (cosa ben diversa da "illuminista")?

Ciao teo: aspettavo con ansia il tuo intervento.
Avrei voluto quotare per intero il tuo post, ma mio cugino - attento custode degli spazi a nostra disposizione - mi avrebbe rimproverato. Ma il tuo post è esemplare e meriterebbe davvero di essere quotato nella sua totalità, perché è l'espressione più chiara di come possa essere intesa un'interpretazione a seconda dei punti di vista.
Ovviamente non mi è sconosciuta la tua recensione: me la sono letta con attenzione, così come mi leggo sempre tutto quello che scrivi. Non solo: all'epoca - come sai - non avevo ancora questi dischi, per cui la tua recensione è stato il primo parere con cui mi sono confrontato e, se devo dire, mi ha un po' prevenuto nel loro ascolto. Me li sono dovuti ascoltare un bel po' per maturare questo parere che, come vedi, si colloca un po' lontano dal tuo punto di vista.
Tu parli di:
:arrow: errori di cast. E' sostanzialmente l'unico punto in cui convergiamo, anche se le conclusioni cui arriviamo sono diverse. Per te Kaufmann e Stemme sono censurabili sempre (è il punto di vista del blog su cui scrivi; blog che, peraltro, propugna anche la Flagstad come somma interprete di Leonore...), per me sono "sbagliati" come scelta, ma arrivano lo stesso a configurare una prestazione ricca di personalità, buon senso e lucidità esecutiva. Meglio la Stemme, secondo me, ma non butterei via Kaufmann. E' una vecchia impostazione, come sappiamo. Se avesse diretto Klemperer, ancora attaccato ai vecchi criteri esecutivi, non avremmo avuto nulla da dire; con questo Abbado, invece, avvertiamo uno iato non colmabile
:arrow: lettura vecchia. A me sembra nuovissima negli impasti timbrici, nell'agogica, nei colori orchestrali che mi richiamano - e prepotentemente - i colori mozartiani. Credo, a parte gli esperimenti di Gardiner e Harnoncourt, che sia la prima volta che questo tipo di lettura arrivi a imporsi in questa maniera. Le lettura dei due illustri antecedenti erano dei "laboratori": questa è un'interpretazione assolutamente compiuta. E non è solo questione di ouverture: il punto in cui mi convince maggiormente è proprio nel primo atto, nelle baruffe di Marzelline e Jaquino, che a me sembrano trattati con un'attenzione e un'intensità che non ho mai visto in nessun'altra interpretazione. Sono proprio le interpretazioni para-romantiche a bypassare questi bozzetti la cui importanza invece è fondamentale, come giustamente sottolineavi tu nella tua recensione. E la presenza del Tamino della precedente registrazione del Flauto Magico, come ho detto, non mi sembra affatto casuale; anzi!
:arrow: lettura giacobina. Tu nella tua recensione dici una cosa che mi ha fatto molto riflettere, e che citerei (se mi permetti): [quote]Fidelio è piuttosto la celebrazione di uno status quo prerivoluzionario, di un mondo ordinato gerarchicamente secondo i dettami della natura (l’amore coniugale come fondamento di ogni società che vuole essere “giusta”)/quote]
Può essere.
Il problema, lasciando perdere le questioni relative al fatto che, in realtà, Fidelio, non è solo una questione privata fra due coniugi il cui amore viene messo in crisi da un arresto (e in ciò non sarebbe diverso da centinaia di altre storie analoghe che abbiamo già ascoltate), ma c'è un elemento politico che entra continuamente in scena, è la data: Fidelio esce nel 1804, quando cioè Napoleone, 5 anni dopo aver abolito definitivamente quello che restava della Rivoluzione (18 brumaio), proclama l'Impero; e, conseguentemente, Beethoven ritira la dedica dell'Eroica.
Io quindi non sono per niente d'accordo con la tua affermazione: secondo me, Fidelio è un dramma "settecentesco" nella più piena accezione del termine; e gli ideali ivi celebrati sono proprio quelli rivoluzionari di cui Beethoven, quanto il meno il Beethoven di quel periodo, era ancora un acceso sostenitore.
Per me Beethoven nel 1804 è ancora un acceso giacobino, i cui ideali sono stati traditi dal personaggio che ne sembrava il più affidabile custode; e il finale dell'opera, soprattutto per come ce lo restituisce Abbado, è l'estrema celebrazione di un momento storico ormai tragicamente finito. Così amaro, triste e rassegnato non l'avevo mai sentito eseguire da nessuno. Ed è proprio il continuo richiamo orchestrale a un Settecento ormai finito che rende questo finale incongruo, anacronistico e, in definitiva, non risolto. Non è consolante, questo Fidelio di Abbado; così come non lo è stata nessuna delle sue grandi interpretazioni che lasciavano aperti molti interrogativi
:arrow: le riscritture dei dialoghi. Non me ne preoccuperei più che tanto: è un Singspiel, e siamo già abituati da anni alle riscritture dei dialoghi (vedi Carmen, per esempio: non c'è una redazione dei dialoghi che sia uguale a un'altra). Tu sai che io non ho particolarmente in simpatia le... simpatie di Abbado, ma qui non ci vedrei proprio un omaggio a esse, bensì a quegli ideali (Libertè-Egalitè-Fraternitè) che erano finite con il colpo di stato del 18 Brumaio e seppellite con la proclamazione dell'Impero. Idea arbitraria? Può essere: ma in effetti ogni interpretazione è un'idea arbitraria
:arrow: torno un attimo al cast, perché in effetti è l'unica piattaforma che ci vede uniti, almeno nelle premesse. Continuo a sostenere che, con altri cantanti, anche tu alla fine saresti stato più convinto. Se ti fossi trovato di fronte a una pattuglia di cantanti mozartiani, forse avresti accettato il punto di vista di Abbado. Così invece ti sei trovato di fronte cantanti che avresti potuto trovare in un'incisione di Karajan o, peggio, di Barenboim... e, non amandoli, ti sei sentito tradito!
Grazie dei soliti spunti di discussione!!!
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Re: Fidelio (Beethoven)

Messaggioda teo.emme » gio 11 ago 2011, 18:59

Ti rispondo volentieri (Fidelio è una delle mie opere preferito e su di essa si potrebbe scrivere all'infinito) seguendo i tuoi rilievi:
1) IL CAST: giustamente dici che è il punto su cui concordiamo. Aldilà dei gusti personali sui singoli cantanti (ammetto di avere un'idiosincrasia per Kaufmann, ma non per la Stemme). Per me questa scelta - che si pone nel solco della tradizione più conoslidata - è già qualificante, e impedisce qualsiasi efficacia: il problema è il solito, lo stile e la capacità di affrontare le oggettive difficoltà vocaliste di una scrittura che guarda più a Mozart che a Wagner (come è ovvio che sia). Ma non mi ripeto, dato che concordiamo. Solo vorrei specificare che per me la Flagstad non è certo una Leonore attendibile.
2) LETTURA VECCHIA: sì...vecchia e decrepita, aldilà di alcune abili "mascherature", siamo lontani anni luce dalla rivoluzione copernicana che lo stesso Abbado ha compiuto con il ciclo sinfonico. Il problema è a monte. E risiede (paradossalmente) in Mozart. Il Mozart di Abbado è ben suonato. Punto. Sembra rinunciatario: un gioco lezioso e asettico, quasi frivolo nel rinunciare a qualsiasi approfondimento (forse per il timore di ricalcare eccessi romantici). Il fatto è che un '700 apollineo e "canoviano" è frutto di una visione parziale e non completa. Manca la razionalità spietata, il cinismo, la finta leggerezza alla Voltaire, lo sguardo disilluso all'uomo inteso come essere complesso... Perché parlo di Mozart? Perché Abbado ricorre a questa visione mozartiana per il suo Fidelio. Laddove nelle sinfonie si poteva ascoltare l'influenza di Haydn e le corse in avanti della scrittura beethoveniana, nel Fidelio Abbado gioca in rimessa: applica Mozart al suo vecchio Beethoven (quello della sua inutile integrale degli anni '80). Se ascolti questa incisione e subito dopo la confronti con Harnoncourt (su Gardiner ho molti dubbi, soprattutto per le scelte testuali), sembrano due mondi differenti: dove sono i contrasti, le asprezze, la tensione? E' tutto rammollito in un'anonima melassa (anonima esattamente come le sue Nozze di Figaro o il suo Don Giovanni). I personaggi minori (al solito) risultano estranei...ovvio, Abbado (come tanti altri, da Furtwaengler in poi) non sa che farne... Lo dice la stessa presenza del Tamino della sua (brutta) incisione: Tamino/Jaquino è una stupidaggine...sono due personaggi inavvicinabili, avere usato il medesimo interprete significa non aver capito nulla di entrambe le opere. Tamino/Florestan ha senso...ma utilizzare la voce ritenuta più mozartiana, per un ruolo di contorno, significa ritenere quel ruolo sostanzialmente estraneo, quasi un retaggio di passato (capitato per caso). Abbado è profondamente incoerente: applica la sua visione di Mozart (consolatoria e rassicurante), ma recupera le suggestioni di un Beethoven vecchio stile (attraverso morbidezze e smancerie), relega nella separata sede dei personaggi "comici" le voci più mozartiane e affida il resto a orchi nibelungici e cantanti wagneriani.
3) LETTURA GIACOBINA: qui vi sarebbe molto da dire. A parte che l'idea di un Beethoven giacobino, non è storicamente attendibile. Appartiene alla vulgata che ha voluto enfatizzare un'aneddotica tutta da dimostrare (anche le circostanze per cui mutò la dedica all'Eroica non sono chiare, atteso che il primo autografo - quello che conterrebbe la cancellata intitolazione a Bonaparte, è perduto e ne rimane una copia manoscritta con sovrascritture di mano incerta). Ma è proprio la sovrapposizione tra elezione a Imperatore dei Francesi e Fidelio che contesto.
- innanzitutto Beethoven ricorre ad un testo fortemente antigiacobino (Bouilly raffigurò in Pizzarro, lo spietato Carrier, uno degli agenti organizzatori del terrore di Robespierre, mandato proprio a Tours per eliminare sommariamente i detenuti delle carceri senza che si celebrassero processi), e mi sembra incongruo che un "giacobino" scegliesse proprio un lavoro del genere per la sua unica opera.
- in realtà Beethoven inizia a scrivere l'opera nel 1803, quando Napoleone era ancora Primo Console (non c'entra nulla l'eroica, dunque) e diede ad essa la sua versione definitiva solo nel 1814. Nel 1804 Fidelio ancora non esiste: esiste Leonore (che è opera profondamente diversa).
- Leonore/Fidelio si inserisce in un genere che ha poca attinenza con la politica (si pensi a Lodoiska) e già era stata messa in musica dal francese Gaveaux. Succederanno altre due Leonore (Paer e Mayr) prima che Beethoven metta la parola fine al suo Fidelio. Insomma il solito modus operandi dei teatri e dei compositori dell'epoca: un libretto di successo sfruttato in tante occasioni, non certo la consapevolezza politica di un "giacobino" fervente che rimane deluso da Napoleone!
Il discorso è lungo e andrebbe approfondito...
4) LA RISCRITTURA DEI DIALOGHI: non è grave snellirli o riadattarli, è grave fargli dire quel che non dicono... Trasformare una storia che è e vuole essere la celebrazione (anche politica) della restaurazione della legalità (la stessa Leonora lo dice: Dio e Diritto) contro gli abusi di un potere disumano (terrore giacobino), e dell'amore coniugale che supera le difficoltà e gli accidenti della vita, in un pretesto per forzature ideologiche, è inaccettabile. Cosa c'entrano gli ideali della Rivoluzione francese? Nulla... E' il solito Abbado che ha l'ansia di apparire ideologicamente corretto. Appesantisce solo la vicenda e risulta grottesco sentire in bocca a Marzelline (ragazza semplice e ingenua, innamorata di Fidelio e senza alcuna velleità rivoluzionaria) un'ode alla Libertà! Suvvia... E poi questi ideali di Libertè-Egalitè-Fraternitè, si oscurano già molto prima del 18 brumaio.
5) TIRANDO LE SOMME: da Abbado mi aspettavo di più...
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