beckmesser ha scritto: In fondo, a me sembra che fra Solti e Karajan la vera tempra dell’innovatore (o almeno del ricercatore) ce l’avesse il primo: meno appariscente, forse, meno eclatante, ma più consapevole.
Be', dipende a cosa fai riferimento.
Se parli del repertorio, è vero, Solti affronta, soprattutto in campo sinfonico, interi settori che Karajan ha evitato o trattato di sfuggita.
Del resto è comprensibile. Solti è stato prima a Los Angeles poi a Chicago. E l'essere onnivori è una condizione quasi obbligata per guidare un'orchestra USA.
Se invece ti riferisci, diciamo così, non al quanto ma al come non sono d'accordo.
Karajan, nell'opera, anche negli anni più discutibili, ha sempre interagito con le voci.
Dialogava con i solisti.
Solti mai o quasi mai.
Pensa a cosa ha fatto Karajan nell'Arianna della Emi. In quegli anni.
Anche Solti ha affrontato Strauss con Arabella pressappoco nello stesso periodo.
Tra le due letture però c'è un abisso. E non parlo solo di qualità del suono, di correttezza, di ritmo, perchè l'Arabella di Solti, a chi piace lo Strauss tutto guizzi e luccichii, è magnifica.
Parlo proprio di innovazione nel linguaggio e nel rapporto con le voci.
Si parlava di Aida.
Ho già detto di come apprezzi questa incisione di Solti.
Prova però a mettere su l'incipit dell'atto del Nilo di quel capolavoro che la Karajan II.
E sentirai la differenza tra un'esecuzione correttissima e un'atmosfera.
Prendi il Rosenkavalier della Decca. E' bellissimo, opulento, sontuoso e vale la pena di ascoltare la Crespin.
Però sono convinto che se Solti, al posto della Crespin, avesse avuto un'altra cantante avremmo avuto un Rosenkavalier simile, sempre opulento e sontuoso, a prescindere dalla solista.
Con Karajan no.
dato che sei uno dei pochi, in questo covo di pericolosi filo declamatori esterofili
, a non avere crisi di orticaria appena si accenna a Bergonzi,
Mi piace Bergonzi ma, come ho già detto, ne rilevo tutti i limiti. E personalmente capisco l'orticaria di chi non lo regge.
Così come gratto in silenzio (almeno ci provo) la mia orticaria quando sento ad esempio parlare di Cura.
Ricordo che ne parlammo con Mat a Londra nel primo intervallo della Fanciulla.
Ciò non toglie che gli riconosca meriti assoluti e, nel panorama tenorile moderno, unici.
Uno di questi è la verità teatrale. A Cura, piaccia o non piaccia, qualunque cosa canti finisci col credere.
Verità teatrale, lo dico a scanso di equivoci
, che non c'entra niente col verismo o ancora peggio con il realismo.
Quella verità teatrale che proprio a Bergonzi manca.
Che poi, per me, certi fraseggi definiti inerti di Bergonzi valgano tutte le verità di Cura... è cosa che riguarda i miei gusti, i miei trascorsi di bimbetto all'opera, le madeleine proustiane dei primi ascolti.. e che, tengo a sottolinearlo, non mi sognerei di utilizzare
mai come strumento critico.
conosci l’edizione live dal Met dell’Aida di Solti?
La conosco e devo dirti che, come tutte le registrazioni di Bergonzi dal met dell'era Bing, non lo trovo così convincente.
Il Bergonzi che mi piace è un altro.
Qui c'è il solito tenorone da Met che tiene i la naturali del finale III a perdifiato.
E che, tentando di fare il prescritto "dolce" sul sib del "ciel dei nostri amori" rischia la stecca...
E poi quell’iniziale “Sce quel guerrier io fosssci, sce il mio sciogno sci avverassce” è grandioso…
Be', se vogliamo fare le bucce a Bergonzi, per onestà, nell'Aida Decca, in quanto a dizione siamo vicini al disastro.
Quel trombone di Merrill nel III atto è da parodia.
Solti era puntiglioso nella partitura ma a quanto pare non sentiva ancora il bisgono di un coach linguistico.
Ciao
WSM