Caro Ric,
intanto una precisazione.
Come tu ben sai, questo non è un "covo di wagneriani", ma solo un sito in cui Wagner è amato e collocato (insieme ad ogni altro compositore) in un bagaglio ampio e condiviso che è - o dovrebbe essere - l'opera nel suo insieme.
Così come il fatto che qui si parli a ragion veduta di una Varnay, di una Lotte Lehmann o di un Hotter (senza limitarci alla solita tiritera sui "tedeschi che urlano", ecc...) non fa di noi dei fanatici del declamato a danno di altre tradizioni canore.
Purtroppo in Italia siamo talmente abituati a considerare l'Opera da punti di vista parziali (e questo vale, ahimé, anche per le aule universitarie in cui dovrebbero formarsi i nuovi musicologi) che quando qualcuno dice che nell'opera C''E' ANCHE Wagner - oltre a Verdi, Rossini e Mozart - viene additato come un idolatra del tedesco.
Riccardo ha scritto:
Ma ti chiedo: sei sicuro che questo problema di Wagner nell'oggi riguardi TUTTO il Wagner e non in particolar modo il Ring, che è proprio il luogo dove in qualche modo si concentra in modo esasperato tutta l'ideologia (drammaturgica) wagneriana?
Capisco dove vuoi arrivare!

Io ho affermato che il problema di Wagner oggi (se mai c'è) sia esterno a lui e riguardi semmai il rapporto tra la sua musica e il nostro tempo.
Tu invece cerchi di riportare il problema su Wagner, sul Ring in particolare, sulla fragilità (a tuo sentire) fra la forza del pensiero e l'efficacia del nesso musica-teatro che esprime quel pensiero.
Forse hai ragione tu, ma io non ci credo.
Se davvero Wagner fosse stato "fragile" musicalmente e drammaturgicamente, la sua opera non si sarebbe imposta e in modo così clamoroso per oltre un secolo.
Non esiste al contrario un compositore che abbia imposto (ci piaccia o meno) una simile fascinazione su tutta la cultura a lui coeva e successiva.
Non può essere una questione di "pensiero", ma per forza di linguaggio.
Il fatto stesso che il Ring abbia prodotto letture opposte e altrettanto sbagliate (quella infantile e insensata filo-marxista o quella altrettanto illogica superomista e filo-nazista) dimostra che la sua forza non sta tanto nel concetto (che pure c'è, mi spiace per Kulsho, ed è doveroso sforzarsi di comprenderlo... altrimenti è come apprezzare la Venere del Tiziano per le tette belle sode

), bensì nella forza immediata e possente della sua esposizione musical-teatrale.
Io ribadisco la mia tesi: che se oggi le nuove interpretazioni di Wagner non ci convincono è perché non vogliamo più saperne - che lo ammettiamo o meno - di negazioni e critiche al Da-Sein (come Triboulet ha ammesso, riassumendo il pensiero di tutti noi).
I nostri poveri interpreti attuali si arrovellano, si scervellano per tentare altre strade interpretative, disperdendo Wagner in una Babele di riletture e provocazioni che già da molto tempo hanno stancato e solo perché non hanno più il coraggio di seguirlo in quella strada di negazione che è la stessa del pensiero religioso (altra illustre vittima della nostra cultura).
Non vogliamo più saperne di metafisiche, di religioni, di Enti o di Nienti.
E dire che la strada per rendere ancora vivo Wagner ci sarebbe...
Checché ne dica il nostro ironico Triboulet, oggi la Metafisica è ancora viva!
Solo che non ha più l'aspetto di una religione o di un libro di filosofia: oggi è la fisica teorica, che dalla meccanica dei quanti in poi ha, sull'altare della Scienza in cui l'abbiamo posta, potuto scardinare senza che ce ne accorgessimo tutti i fondamenti oggettivi dell'esistenza, riportando l'umanità a quello stesso stadio di incertezza universale che alimentò i capolavori di Wagner.
Il fatto è che non lo sappiamo, perché mentre all'epoca di Wagner la riflessione filosofica era pane quotidiano, sapere condiviso, oggi la fisica teorica non ci tange per nulla: sappiamo che c'è, sappiamo che ogni tanto ci scappa qualche Nobel, ma senza alcuna influenza sulle nostre vite e sul dibattito collettivo.
Ci siamo abituati a fare a meno non solo delle religioni, non solo della riflessione filosofica, ma persino del dubbio.
E ne siamo soddisfatti (altrimenti non reggeremmo il turbine della vita di oggi).
Paradossalmente lo spazio e il tempo non sono mai stati tanto assoluti come nell'epoca che ne ha dimostrato la non-assolutezza!

E' per questo che, secondo me, Wagner è tanto lontano da noi quanto un libro di catechismo.

Perché tutto ciò che per lui era importante, per noi non lo è affatto: anzi, non ne vogliamo nemmeno sentir parlare!

Stando così le cose, forse sarebbe effettivamente meglio lasciarlo sedimentare un po'... e concentrarci (come dice Aspro) sulle incisioni del passato, nate quando i problemi che pubblico e artisti condividevano erano diversi.
Io almeno la vedo così.
Salutoni,
Mat