MatMarazzi ha scritto:Quanto alla questione della traduzione, veniamo a Teo.emme.
In realtà il mio discorso riguarda solo in parte l'affaire della traduzione ritmica del Tell (invero pessima).
Sgombro subito il campo dalla questione di Giudici: il mio era ovviamente un motto di spirito...stigmatizzavo l'uso e - più spesso - l'abuso da parte di Giudici dell'espressione "retrovia culturale", con cui bolla (a marchio d'infamia), qualsiasi personale "sgradimento". Lo si nota soprattutto negli aggiornamenti al suo voluminoso volume, dove l'utilizzo di suddetta espressione segna semplicemente tutto ciò che non incontra il suo gusto: spesso è dispensata a sproposito e, sovente, contraddice quanto scritto nelle parti non sottoposte a revisione (laddove si legge che la medesima circostanza può essere segno di progresso come segno di regresso, ad uso e consume delle "lune" dell'autore dello scritto)... Ma lasciam stare e occupiamoci di faccende più serie.
Innanzitutto confermo quanto scritto in merito al belcanto, proponendo le tue stesse obiezioni in merito: non si può ragionare storicamente con l'atteggiamento del giudice che sentenzia. La prospettiva storica in cui si inserisce il Tell di Chailly, infatti, non può e non deve essere sottovalutata (come non la sottovaluto in merito al melodramma italiano). Nessuno mette in discussione i problemi e le ingenuità (quando non gli errori), tuttavia non si può considerare come anche nel '79 l'impegno di una grossa major del disco in un'operazione quale l'incisione in studio di un Guglielmo Tell integrale (laddove la "lacuna culturale" già era stata colmata dall'incisione di Gardelli) è cosa che non può essere liquidata come operazione di retrovia.
Questo in linea di principio
Quanto alla traduzione italiana: è assodato come spesso le versioni ritmiche italiane (dell'epoca) fossero scadenti e, cosa gravissima, falsassero i rapporti musicali e i valori delle note (richiedendo, spesso, pesanti interventi onde modificare la prosodia originale, al fine di inserire i diversi contenuti metrici in strutture musicali nate per tutt'altre forme). Tra le tante traduzioni quella del Guillaume Tell (non mi infastidisce affatto il titolo originale, non temere, lo conosco perfettamente) resta una delle peggiori della storia dell'opera: non solo, infatti, costringe ad una edulcorazione dei contenuti più "rivoluzionari" del testo, ma, purtroppo comporta SPESSISSIMO, l'alterazione della struttura musicale, vanificando e banalizzando l'autentica lezione rossiniana. Lo spiega bene Gossett nel suo recente saggio, con esempi pratici e concreti. Poco importa, poi, il fatto che l'autore avesse prestato il consenso a tale versione (nel caso del Tell, peraltro, ciò non risulterebbe da alcuna fonte): all'epoca l'integrità del lavoro sfuggiva ben presto alle mani del suo autore il quale poteva accettare le modifiche o biasimarle, senza tuttavia poter intervenire per porre dei freni (ci provò Verdi con l'inserimento di clausole ad hoc nei contratti di commissione, ma con scarsi o nulli risultati). E quindi? Ovviamente il Tell italiano è la pallida fotocopia del Guillaume Tell francese. Ovviamente la lingua originale, in questo caso soprattutto, andrebbe preferita punto. Eppure non si può non tener conto della particolare situazione del mercato discografico di 30 anni fa... Quanto appeal avrebbe avuto l'edizione originale (atteso lo scarso successo di quella targata EMI, che - tant'è vero - sparì presto dai cataloghi per tornare solo recentissimamente ed in nuova veste super economica)? Questo non giustifica la DECCA, ma in un certo senso la perdona. Già pareva un lusso avere un secondo Tell inciso in studio e perfettamente integrale. Storicamente la scelta dell'italiano - oggi giustamente improponibile - è comprensibile. Non dimenticare, poi, che solo una decina d'anni prima la stessa casa impose a Bonynge i tanti tagli subiti da Semiramide, per permettere che rimanesse entro un numero limitato di facciate.
Ben diversa è, invece, la questione della tendenza a "recuperare la lingua originale per ogni opera: non si eseguivano più le opere tedesche in italiano o quelle italiane in tedesco...e questo specialmente nel caso del prodotto discografico, che aveva ambizioni più universali che non il singolo teatro": davvero era così diffusa negli anni '70? Quanto tempo c'è voluto per un Don Carlos in lingua originale? E quanto ce ne vorrà per un Vepres in francese (in studio e ufficiale)? Non parliamo poi di Favorite e Dom Sebastien. Per non dire del Moise, del Siege o di Medée... Certo non si eseguiva più Wagner in italiano, ma la proposta di opere francesi di compositori italiani in lingua originale, era ancora poco praticata.
Anch'io sono abbastanza vecchio per poter aver visto il Tell di Muti. Ecco, quella sì operazione più grave di retrovia (per usare l'espressione). Incomprensibile in tale occasione, se si pensa ai passi che la filologia aveva nel frattempo compiuto, nonché la dimestichezza - anche del pubblico scaligero - con opere in lingua originale (Muti non ebbe le stesse remore, qualche anno più tardi con la Vestale).
(Ps: quali scelleratezze filologiche compì nel Moise? Lo chiedo non per polemica, ma per informazione: non vidi l'opera in teatro, né ho mai visto il DVD dell'occasione...sarei curioso di aggiungere ulteriori capitoli all'affaire Muti vs. Filologia: al primo posto metterei il finale wagneriano dell'Iphigénie di Gluck...)
Sulla maggior o minore "bravura" di Chailly e Muti: giustamente scrivi che è opinione personale. Io preferisco Chailly. Ovviamente non condivido quanto scrivi sulla presunta incapacità di Chailly di rendere le atmosfere del Tell o il suo indulgere nella pomposità noiosa. Io trovo sia l'esatto contrario: ma, ripeto, sono gusti. E i gusti non si discutono.