Decca 1980, (Bartoletti, Caballé, Pavarotti, Milnes, Ghiaurov, Baltsa)
Verdi aveva già scritto 5 anni prima Aida e sia Puccini che Giordano e Cilea (nonché la giovine scuola italiana) erano ben aldilà da venire, quando il cremonese Ponchielli musicò a Milano nell’aprile del 1876 questo pasticciato libretto di Boito ambientato a Venezia, e che narra la triste vicenda di Gioconda vanamente innamorata di Enzo la quale, in ossequio ai desiderata della vecchia madre cieca di professione indovina, salva la vita alla rivale Laura, e quindi si uccide per sfuggire alle grinfie del cattivo Barnaba sorta di Scarpia ante-litteram.
Si tratta di opera alquanto “facile” che o piace molto o poco o punto, siccome Gioconda è soprattutto una grande festa di voci e di suoni a me e lo dico subito piace un casino (e molto più delle varie Adriane o dei vari Chenier o Mefistofeli….) al punto che non esito a metterla tra le mie preferite in assoluto.
Proprio perché caratterizzata da una musica molto orecchiabile e di tipico sapore italo-melodico (quasi da sceneggiato televisivo di una volta) con molti pezzi chiusi di presa immediata negli anni un po’ retorici e meno scafati della nostra amata Italia ebbe un grande successo, mentre oggi soffre di un certo qual snobismo culturale che ha fatto si che, con poche eccezioni, i grandi direttori della seconda metà del novecento abbiano preferito tenersene un po’ alla larga e così i più la conoscono orami solo per il celebre balletto “la danza delle ore” immortalato nel disneyano Fantasia.
Va anche detto che allestire oggi la Gioconda non è certo impresa da poco momento giacchè nel mettere dentro praticamente tutto il proprio talento il prode Ponchielli ha previsto la necessità di disporre di ben cinque fuoriclasse dell’arte canora dato che la particolare tessitura, soprattutto per quanto concerne la protagonista, richiede mezzi vocali non comuni e non a caso fu proprio l’opera che consentì alla Arena di Verona tanti annetti fa di reclutare quello sconosciuto e pingue soprano greco-americano che in seguito sarebbe diventata la leggendaria Maria Callas.
D’altro canto oneri e onori come sempre giacchè dal punto di vista interpretativo-vocale almeno i tre ruoli principali (Gioconda, Enzo e Barnaba) possono, se ben cantati, costituire un trionfo con pochi paragoni per un soprano, un tenore ed un baritono di voce ricca e sana, ed ecco la ragione per la quale, ad onta della latitanza delle grandi bacchette, quasi tutti i grandi del dopoguerra di riffo e di raffo si sono cimentati in questa operona che poi quando viene messa in scena vince ogni scetticismo scatenando entusiasmi di massa, giacchè contiene alcuni momenti davvero sublimi.
La prima difficoltà, come spesso in questo genere musicale un tantino ibrido, è quella di trovare un direttore che ami questa musica e ne sappia rivelare gli aspetti più diretti ed autentici senza falsi intellettualismi ma anche senza frettolosa superficialità, insomma un direttore vecchia scuola alla Serafin (guarda caso l’artefice della Gioconda areniana di cui si diceva) ed in tempi più “moderni” alla Gavazzeni che ne incise una fortunatissima edizione parecchi anni fa.
La seconda è quella di reperire una grande protagonista che non solo deve possedere una tecnica a prova di bomba per sostenete la micidiale tessitura tutta a sbalzi della parte, ma pure un notevole carisma interpretativo sennò si resta in una serie di suoni forti e monotoni alla lunga noioserrimi.
La terza è quella di ingaggiare un tenore di sicuro spicco vocale perché la parte di Enzo è stupenda e richiede una voce fascinosa e squillante ed uno stile eroico e “italiano” che sappia fare venire i brividi alla invettiva “dal suo barbaro consorte” del 2° atto, commuovere nella romanza “cielo e mar” e travolgere nel terzetto finale che costituisce il momento clou della vicenda.
Infine anche tutto il “resto” deve pur sempre mantenere alta la soglia di valore perché la intera vicenda musicale regge su molto momenti di insieme e quindi non tollera zoppicamenti di contorno.
Ciò detto, e fermo restando che a me (come a molti della mia generazione) non è toccata in sorte la fortuna di assistere in Teatro ad alcuna meritevole edizione di una delle mie opere predilette, suggerisco di ricorrere come spesso al non troppo ricco panorama discografico di questa opera oggi in pericoloso odore di oblio e a questo punto, dopo vari ascolti comparati, suggerisco senza esitazioni la sontuosa Decca del 1980 diretta da Bartoletti a suo tempo alquanto criticata dai tanti soloni (pur non mancando anche qui talune crepe di cui si dirà).
Dico questo perché tutte le altre, per un motivo o per l’altro, mostrano all’ascolto odierno maggiori lacune (tipo, Callas, Simionato e Bergonzi a parte, suoni fissi continui da parte di celebrati cantanti degli anni ’50 e ’60), ed il meglio, come si sa, è nemico del bene…..e questo sia chiaro è un gran bene anzi un benissimo.
Innanzitutto la direzione di Bartoletti qui è semplicemente perfetta al punto che non credo sia possibile a nessun altro direttore di assemblare meglio Gioconda e a ciò si aggiunga il valore della orchestra ed il celebre suono Decca e quindi già musicalmente parlando questa è la edizione di riferimento per apprezzare finalmente l’opera di Ponchielli.
Seconda cosa questa edizione presenta un terzetto di voci maschili privo di paragone alcuno sia guardando al prima sia guardando al dopo. Pavarotti e Milnes infatti firmano per mio conto una delle loro migliori prove discografiche della loro pur nutrita carriera, e sentire certe frasi valorizzate da tale arte sia vocale che interpretativa (sissignori anche per il Luciano-nazionale qui ispiratissimo) ha davvero del miracoloso al punto che si può addirittura affermare che in questo disco da veri fuoriclasse quali sono i due citati, migliorano persino la musica stessa di Ponchielli, e poi, dulcis in fundo, sentire la importante parte di Alvise colorata dalla voce senza confronti di un Ghiaurov è un benessere uditivo che non ci fa rimpiangere neppure il Siepi della precedente Decca.
Tanto per capirci prendiamo le tre entrate del primo atto del primo disco e di seguito ci arriva una ballata di Barnaba senza precedenti per musicale insinuanza degna di Rigoletto, la frase parla o cattiva…fuoriuscire da una sorta di Ramfis e infine quell’invettiva in acuto Vituperio che solo il Pavarotti degli anni d’oro, quello che scatenava furori nel rivederti amelia da Ballo in Maschera o nel Dulcamara volo tosto da Elisir per intenderci.
E così per tutta l’opera e sentite cosa diventa in bocca a quella voce tenorile il travolgente ho ritrovato l’angelo o il duetto stesso con Laura o ancora il ma al suo barbaro consorte ma potrei andare avanti per tutti e 4 gli atti, mi spiace ma i vari Del Monaco o Lo stesso Domingo qui restano indietro e non di poco da questo timbro argentino benedetto emesso con tale sfacciata naturalezza.
Sul fronte femminile, è giusto rinoscerlo ma non si può avere tutto nella vita, le cose non vanno così bene tanto che quando uscì questa edizione come si diceva in molti criticarono la scelta della protagonista certamente sulla carta alquanto distante dalla vocalità proto-drammatica cui ci avevano abituato le precedenti interpreti di Gioconda, Tebaldi inclusa che la affrontò in tarda fase…..
In realtà ad un ascolto a distanza di anni delle tre donne ingaggiate è proprio la protagonista quella che oggi si fa maggiormente apprezzare mentre per esempio la insipida Agnes Baltsa, ai tempi assai in auge soprattutto per la presenza fissa in quel di Salisburgo, oggi risulta di gran lunga, visti i precedenti (che nomansi Stignani, Barbieri, Cossotto o Simionato….) la peggiore Laura della storia del disco, ma per fortuna a ben pensarci Laura è ruolo che non risulta così decisivo per l’insieme (un po’ come Sara nel Roberto Devereux o Elena in Mefistofele o Federica nella Miller) anche perché, a differenza di tutti i suoi colleghi è anche vero che le tocca una delle più brutte romanze della storia dell’opera italica stella del marinar, roba da fare sembrare “acerba voluttà” di Adriana un capolavoro…quanto infine alla cieca taccio per carità di patria ma diciamocelo è molto raro sentire una grande cieca persino in disco a parte rare eccezioni….
Montserrat Caballé, occorre ricordarlo, non arrivava totalmente digiuna a questa incisione.
Giusto l’anno prima nel dicembre 1979 il Teatro di Ginevra che festeggiava i suoi 100 anni decise per l'occasione di riesumare questa opera che non si rappresentava in quel Teatro da quasi un secolo, e così, sempre per l'occasione, venne scritturato un soprano che seppur celeberrimo mai ancora aveva calcato le scene di quel Teatro e con lei il suo tenore prediletto Josè Carrearas, direttore Lopez-Cobos.
Questo "singolare" debutto arrivava dopo avere completato la fase della estensione al repertorio più spinto e basti pensare che qualche mesetto prima aveva inciso (unitamente a Puritani !!!) Cavalleria Rusticana con Muti, e che dopo le recite ginevrine di Gioconda avrebbe eseguito nel suo amato Liceu prima Andrea Chenièr e quindi Turandot.....fino a declinare l'invio di Sinopoli di incidere Abigalille nel Nabucco DG (!!!).
Della popolare opera di Ponchielli, peraltro, la Caballé aveva in precedenza inciso sia la grande aria "Suicidio" (in un recital diretto da Gatto pomposamente definito "Arie da soprano dramatico" sic !!!), sia soprattutto il grande duettone con Laura nel memorabile disco di duetti RCA di 10 anni prima con S. Verrett con una voce ancora spettacolare ma con stile ancora un pò troppo belcantista (lei).
Sia la voce che lo stile di Montserrat Caballé, si diceva, parevano c'entrare poco invero (e poco c'entravano in realtà...) con la vocalità molto "naturalista" di Ponchielli, ma la catalana, piaccia o non piaccia ma è un dato di fatto, si sa, amava cimentarsi in tutte le musiche e sempre e comunque dicendo qualcosa di personale e di meritevole (la sua “firma” si è detto in più occasioni) e quindi, e basta ascoltare, il CD live di quel debutto non delude affatto i suoi fans ma è indubbio che per un insieme di ragioni la successiva edizione in studio risulti più matura ed apprezzabile.
L'inizio della Caballé è già un incipit che segna un colpo a suo favore giacchè la celebre entrata "madre adorata" esibisce quel meraviglioso filato ah come t’amo sensazionale come ci si aspetta da una Caballé in forma e quindi l’atto è concluso dal più straziante Tradita della storia del disco secondo solo alla cupa malinconia della Callas. Anche il secondo atto è buono seppure non memorabile nel duetto ma, come si è detto, non tanto per colpa sua….ma poi all’arrivo di Enzo tutto il finale atto (anche se nel celebre passo concitato "Vedila nel canal morto" si percepisce un qualche affaticamento nel tenere il ritmo veloce del brano) è semplicemente strepitoso e le due splendide voci ripetono insieme la magia di altre prove dei tempi che furono e davvero non capisco dove i vari detrattori lamentino qui la mancanza di accento o di mordente o peggio ancora insistano su presunte pompature nel registro grave (ma doveee ???).
Quanto al quarto atto, che è come noto l'atto di Gioconda, troviamo, checchè se ne dica e forse per una delle ultime volte, la grande Caballé.
Sin dal recitativo di entrata "i compagni verranno questa notte..." è raro sentire così tanti colori e palpiti in queste note solitamente un pò tirate via, ed è davvero stupenda l'esecuzione del Suicidio (anche se risulta un po’ stiracchiato lo scatto acuto in forte di "comanda il cielo di dormire quieta" prima della brusca discesa all'avel....) e quindi ma era prevedibile valorizza come nessuna prima e dopo (Callas inclusa) il tremendo momento della assunzione del velen di Laura ad altra vittima serbato.
Poi arrivano Enzo e occorre sentire cosa riesca a fare una Caballé ispirata nel bellissimo "ridarti un suolo ambito" quindi Laura e la Caballé e Pavarotti in gran forma trasformano quasi il brano di per se musicalmente abbastanza convenzionale nel terzetto della Miller...fino a farci sentire finalmente quanto può essere fascinoso, se cantato da voce di tale bellezza, l'abusato "a te questo rosario".
Vero e proprio prodigio dopo un "vergine santa allontana il demonio" da brivido è quind il bellissimo duettone finale con Barnaba dove le si contrappone un Milnes in vero stato di grazie e così nel punto fintamente civettuolo del vo farmi più bella dove solitamente inciampano quasi tutti i drammatici, abbiamo un grande momento di musica, ma questo si sapeva vista la provenienza belcantista del soprano.....
Certo capisco le perplessità di alcuni se si pensa alla Callas (insuperabile Gioconda) o al fatto che si suole dire che per Gioconda sia necessaria la cd. voce drammatica (che poi non sia tipo quella della Marton che in un video viennese massacra ogni afflato della parte), ma come altre volte è successo è giusto dire che questo stile di questa Gioconda rappresenta un altro modo, ma di certo non per forza meno valido, di affrontare questo ruolo (di cui non è che poi circolino così tante meraviglie...), e siccome mi sono andato, dicevo prima, a recuperare altre incisioni storiche di Gioconda con interpreti ritenute invece doc, allora si deve dire che i suoni fissi in alto di eccelse cantanti come Tebaldi e Cerquetti (sentire per credere) non mi fanno poi tanto preferire i vocioni a questa Gioconda così fascinosa e ricca di diverse sfumature dalla prima nota all’ultima.
Ho letto poi di registro grave osceno e pompato e altre critiche anche da musicologi che stimo assai, ebbene mi permetto di dissentire perché tolta qualche forzatura (che c’è sarebbe sbagliato negarlo) la voce della Caballé qui è ancora meravigliosa come poche altre, certo eravamo ancora nel 1980 e poi e anche a breve le cose sarebbero andate peggiorando, ma io sto parlando di questa Gioconda non di quanto accadde dopo, recite tardive di Orange comprese che potevano essere evitate.
In conclusione se amate Gioconda o volete provare ad apprezzarla consiglio vivamente l’acquisto di questo CD, che tra l’altro sfoggiando il Pavarottissimo potrete trovare in ogni dove anche a buon prezzo e che merita di essere sentito qualora taluno ancora dubitasse che si è trattato prima di ogni altra “zuccherata” di un grandissimo tenore, altro non vi saprei narrare...