DVD HARDY: "Don Carlo", Orange 1984 (Fulton, Caballè, Aragall, Bruson, Bumbry, Estes, Roni)Fresco fresco di stampa arriva sugli scaffali sempre più pieni di nuove video-proposte questo doppio DVD della nota Hardy che riproduce una rappresentazione datata luglio 1984 di Don Carlo in quel di Orange ai tempi trasmesso dalla francese Antenne 2, rappresentazione che risale pertanto a 26 anni fa.
DVD che peraltro mi dicono essere andato subito a ruba nel negozio della scala al punto che ne ho conquistata ieri per puro caso l’ultima copia sol perché era stata messa fuori posto al’inizio.
Nuovo dunque il DVD (anche se ne esistevano da tempo edizioni pirata) rimasterizzato e riammodernato con tutti i crismi ma vecchia al punto che sembrano passati molti più anni è la “tipologia” di spettacolo che quella sera venne proposta al pubblico che gremiva le gradinate di quello che resta tutt’oggi uno dei più suggestivi spazi all’aperto del globo.
Questo per dire subito che il DVD non si rivolge a chi cerca il “nuovo” a tutti i costi nell’opera lirica oppure la verosimiglianza dell’aspetto fisico dei protagonisti, e neppure ai puristi dello spartito integrale, giacchè trattasi di edizione coi tagli di tradizione e di spettacolo privo di particolari suggestioni sia direzionali che registiche dove i cantanti si limitano a cantare senza proporre di loro stessi altro che non la loro mera voce, ed ecco le ragioni per le quali ho premesso che i tanti fans dei vari Kauffman, Villazon, Netrebko e bella compagnia cantante o delle regie geniali ed innovative alla Carsen et similia o ancora i nostalgici di Abbado degli anni d’oro della scala, bene faranno ad astenersi dall’oneroso acquisto del doppio box (47 euro).
Però se invece volete sentire un Verdi di razza grazie ad una compagnia di canto di assoluta, o quasi, eccellenza e che presenta ben tre fuoriclasse assoluti su 5 di cui 2 in assoluto stato di grazia vocale più un quarto elemento che magari canterà anche maluccio ma tuttavia dotato di una voce benedetta dal cielo, se insomma volete sentire un Don Carlo dove l’unico elemento inadeguato dell’intero cast è il basso Filippo, allora questo di Orange fa davvero al caso vostro, e ci fa anche pensare al fatto che non troppo tempo fa un siffatto cast fosse stato scritturato non per la inaugurazione di un grande Teatro alla moda ma per una semplice serata di luglio di un festival estivo all’aperto che peraltro, aldilà della bellezza del luogo, non rientrava neppure tra i più gettonati.
Il canto si diceva la fa dunque da padrone ma occorre dire che anche ad onta di una direzione del giovane Fulton rispettosa ma certo non di particolare ispirazione e di una regia che sostanzialmente si limita a sfruttare i bei fondali naturali del teatro romano di Orange, “quel” canto vince alla grande e ti conquista sin dalle prime battute, al punto che questo Don Carlo “tagliato” ed estivo di un festival tutto sommato di serie B sbaraglia senza rimedio, tanto per dire, non solo la strombazzata inaugurazione scaligera in pompa magna di qualche anno fa ma anche quella più risalente e “colta” del Maestro Muti.
Renato Bruson nel ruolo del fido Rodrigo e Grace Bumbry in quello della principessa Eboli firmano a mio parere una prestazione che non si esita a definire leggendaria sia per generosità vocale (raramente ravvisata nel solitamente più castigato Bruson) sia per ricchezza di tavolozze timbriche al punto che nulla hanno entrambi da invidiare a certe leggendarie ugole verdiane del passato che ancora oggi, anzi direi soprattutto oggi, ci impressionano per potenza e autenticità del colore ed ovviamente ad ogni nota o quasi il pubblico prorompe in ovazioni scomposte ma così istintivamente genuine che finiscono a loro volta con l’ aumentare quell’insuperato effetto teatrale che si produce quando certi capolavori assoluti di Verdi vengono eseguiti come Verdi comandava e si crede ancora oggi comandi.
L’infante di Jaime Aragall ha il fascino di una voce che nel corpo centrale ha sempre avuto ben pochi rivali quanto a bellezza e suadenza e poco importa che come sempre la salita agli acuti sia un po’ il tallone di achille di questo tenore visto che il ruolo non ne richiede poi così tanti, ragion per cui se togliamo miti tipo Corelli o Bergonzi o Tucker, ovvero il meglio verdiano in campo tenorile, il più adeguato paragone con i suoi coetanei Domingo e Carreras non è che poi arrechi gravi nocumenti a “questo” Aragall, certamente e tanto per dire, molto più in parte di Pavarotti, mentre sul resto che è venuto dopo mi taccio anche se le recenti vicende verdiane di Alagna e Filanoti sono ampiamente note a tutti.
Ancora meno di Aragall, che già non lo era, neppure Luigi Roni era un fuoriclasse (ma di fuoriclasse nel difficilissimo ruolo dell’inquisitore saranno anni che non ne compaiono…) ma canta con voce a posto e con accento giusto, ed anche qui, se prendiamo in considerazione le voci gravi della storia del dopoguerra tipo Christoff o Talvela o Ghiaurov o Raimondi è ovvio che scendiamo di qualche gradino, ma se i paragoni diventano altri, allora anche “questo” Roni, come il precedente Aragall, direi che va più che bene anzi direi che va quasi di lusso.
Meno di lusso, ed è l’unica vera pecca di questo cast, è invece l’avere affidato la fondamentale parte di Filippo al basso Simon Estes perché il suo modo di cantare parecchio difettoso stride non poco non solo con Verdi ma anche con quello dei suoi compagni di scena. Va però detto che dalla sua Estes può vantare pur sempre una notevole presenza scenica ed un colore naturale di voce molto adatto al ruolo del vecchio padre deluso nonché del despota marito furente, nonché un volume cospicuo che in spazi aperti ed ampi come quelli di Orange presenta sempre la sua validità, quindi concludo col dire che certo ci sono Filippi migliori di questo e soprattutto c’erano allora, ma se aggiungo però non così tanti non credo di sbagliarmi poi di molto. Il recente Furlanetto scaligero, tanto per dire, a me personalmente non dispiacque perché mi parve uno dei pochi ad avere almeno personalità, ma detto tra noi, non è che dal punto di vista della emissione vocale fosse poi tanto più accurato di questo Estes.
Infine arriviamo alla lieta sorpresa della serata ovvero alla Elisabetta di Monsterrat Caballé che è poi la terza fuoriclasse del cast.
Sorpresa non certo dovuta al ruolo di Elisabetta che è stato forse uno dei suoi miracoli vocali più riusciti in Verdi sin dall’inizio, essendo parte debuttata nel lontano 1963 quando non era ancora “la Caballè” e in seguito uno dei suoi primi grandi trionfi storici italiani in quella famosa recita areniana del 1969 cantata con le stampelle ancora oggi ricordata tra le memorabilia dell’anfiteatro veronese giusto un anno prima di quella meravigliosa incisione per la EMI diretta da Giulini circondata da un cast degno di quegli anni di splendore vocale, ed infine due anni prima di quella celebre serata “all star” al Met anche allora affiancata dalla Eboli di Grace Bumbry nonché da Corelli e Milnes in stato di grazia. Mi fermo qui perché tanti sarebbero (da Barcellona 1971 in avanti) i fenomenali Don Carlo degli anni d’oro della Caballé con buona pace di chi ancora oggi nega la somma grandezza della sua Elisabetta in nome di un atavico pregiudizio che vorrebbe la sua voce poco verdiana sol perché magari i suoi “centri” non avevano la solidità di partenza di una Tebaldi o di una Cerquetti. Peccato per loro (ma in fondo chi se ne importa) che la sua suprema arte della mezza-voce supplisse in modo magico a tale lacuna di partenza e non lo dico certo solo io umile e sconosciuto steccanella che di mestiere fa l’avvocato, ma lo scrisse anche il supremo vate vocale Celletti recensendo in maniera insolitamente per lui clamorosamente elogiastica il citato disco EMI.
Quindi la sorpresa sta nell’anno perché onestamente anche io, che sono come noto un suo grande fan, mai avrei potuto pensare che nel 1984, ovvero due anni dopo la sfortunata Bolena scaligera, la Caballé potesse regalarci una tale Elisabetta. Certo la voce non è più quella di 10 anni prima quando in quello stesso Teatro si produsse in quella Norma con Vickers rimasta insuperata, ma devo dire che la intervenuta massiccia frequentazione del repertorio spinto post 1978 si sente solo in certe note acute a piena voce che suonano talvolta un po’ stiracchiate, e nella linea generale di canto che è sicuramente meno immacolata di quella dei celebri dischi RCA degli anni sessanta e settanta. Volendo anche la estenuante grande scena finale, un tempo vero e proprio suo cavallo di battaglia anche nei concerti con orchestra, ogni tanto la mette a dura prova, però come canta Scarpia è “fallace speranza” tentare di fare, come pure taluno so già cercherà di fare, le pulci a questa sua Elisabetta, perché sin dall’inizio entra in scena ed è…Elisabetta e la grandezza della Caballé è quella di apparire in video come Elisabetta nonostante fosse appunto la…Caballé che della giovane regale contesa non aveva di certo le naturali sembianze. E’ la sua voce ed il suo stile di canto a riuscire, come tante altre volte in passato, a compiere appunto il miracolo.
Basterebbero tra le tante disseminate come sempre qua e là e spesso nei punti meno prevedibili, due “firme” superbe ed indimenticabili, di quelle che anche se stai per ipotesi apparecchiando il tavolo in una altra stanza ti fermi di colpo e corri in semi estasi a riavvolgere il punto dove ciò hai sentito accadesse per rivivere subito la magia, e che sono quelle firme, quelle che come noto ed insegnano le varie Callas, Sutherland, Scotto etc. distinguono il fuoriclasse dal pur bravo e pur anco perfetto esecutore.
Ne cito due: la prima è ovviamente la interminabile chiusa in legato pianissimo del “non pianger mia compagna” con l’effetto mistral (quel vento che già tanta parte ebbe nella magia della Norma del 1974), quel mistral che scompagina i veli delle ancelle proprio mentre lei si allontana altera sulle note in diminuendo del brano tenendo l’interminabile filato ed avverti proprio il tipico rumore immanente dello sfregamento delle migliaia di mani del pubblico impazzito che aspetta solo di potere esplodere nella ovazione liberatoria e grata, cosa che poi puntualmente arriva e più regina di così, ragazzi, si muore, altro che storie.
L’altro momento magico è quando nel corso dell’infuocato duetto con Filippo gli si rivolge con quel magico “voi lo sapete un dì promessa…” che io giuro non riesco proprio a sentire da nessuna altra voce, per me la voce di quella “un dì promessa al figlio vostro” è la sua ed avere finalmente l’occasione di vederla e in quella ambientazione romana autentica e col vento di mistral resta per me una emozione da se sola sufficiente a ringraziare chi ha deciso a distanza di 26 anni di finalmente editare in mood professionale questo DVD.
In conclusione non nego certo che esistano in commercio né che esisteranno nel futuro altri Don Carlo più completi e meglio rifiniti anche in alcune importanti componenti che qui latitano, ma ogni tanto è anche bello ricordarsi che l’opera può essere uno spiegamento di grandi voci e questo DVD ci da la più ghiotta delle occasioni per verificare l’effetto che ciò fa.