Quando si pensa ai cantanti di Lully, i nomi che vengono subito in mente sono Dumesny e la Le Rochois, prototipi l'uno dell'haute-contre con vocazione tragica (rimasto in auge, in Francia, praticamente fino a Nourrit) e l'altra del soprano "agitato" che (attraverso mille evoluzioni) è arrivato fino ai "falcon" filo-wagneriani del primo Novecento (Caron, Bréval, Litvinne).
In realtà, però, questi due cantanti appartengono alla seconda parte della carriera di Lully.
Se si resta alla prima stagione compositiva di Lully (dal 1675 al 1685) sono altri i nomi che ricorrono fra i suoi "creatori".
Nelle parti di eroe buono emerge la singolare figura dell' haute-contre Bernard Clédière, che (è vero) creò tutti i personaggi protagoninstici delle prime tragedie di Lully: Admeto nell'Alceste, Atys, Bellérophon e Teseo.
E tuttavia fu anche il primo interprete del Mercurio dell'Isis (una specie di Loge), di Alfeo nella Proserpina (personaggio non proprio positivissimo) e persino - tenetevi stretti - la ...Nutrice nel Cadmus et Hermione.
Insomma, a differenza di Dumesny (che prenderà il suo posto come primo tenore all'Academie Royale), questo Clédière era sì eroico, sì bello e giovane, sì amante e generoso... ma con un fondo di ambiguità anche sinistra, stando almeno ai personaggi che Lully gli ha riservato.
Meno problemi sul fronte della "primadonna".
La protagonista di tutte le prime tragedie fu Marie Aubry, specializzata nei ruoli da "povera ragazza virtuosa e innamorata" ossessivamente riproposti in tutta la storia dell'opera in musica.
Vedette pagatissima, la Aubry pare fosse coinvolta (insieme al fratello) nel preteso tentativo di omicidio dello stesso Lully, ad opera di Henri Guichard, che era stato il di lei amante nel 1675.
Dicono che fosse piccola e graziosa, con la pelle bianchissima e i capelli neri, ma non proprio una silfide (si ritirò dall'Opéra nel 1684 perché l'obesità era divenuta tale che non poteva più muoversi in scena).
I ruoli che Lully le dedicò sono inconfondibili: tutte le eroine dolci e femminili, vittime e amanti, che immancabilmente si ritrovano al centro della crudeltà umana e divina: la vocalità è sempre tersa, sfumata, aerea.
In Amadis de Gaule fu Oriane, nell'Atys fu Sangaride, nel Bellérophon fu Philonoé, nell' Isis fu Io, nel Persée fu Andromède, nella Proserpine fu Proserpine, e nel Thésée fu Aeglé.
Bene. Fin qui niente di interessante.
Però... attenzione. In tutte le opere di questa prima fase di Lully c'è sempre una seconda presenza femminile: una detueragonista, una "seconda donna" ma con un rilievo drammaturgico e poetico addirittura straordinario.
Non c'è una tragedia di Lully fino al 1685 che non prevede una super-seconda donna, del rilievo di Azucena del Trovatore o di Orturd del Lohengrin.
Con la differenza che Azucena e Orturd non sono casi poi così frequenti di anti-primadonna in Verdi o in Wagner.
Mentre per Lully (almeno fino al Theseo) era la regola.
In ogni opera c'è un secondo personaggio femminile di dimensioni grandiose.
In questi ruoli di "seconda donna" un nome ricorre: Madame di Saint-Christophle, che li creò tutti.
Alceste (Alceste), Cybèle (Atys), Stenobea (Bellérophon), Giunone (Isis), Cerere (Proserpine), e, naturalmente Medea (Thésée).
In tutte queste opere, lei incarna l'anti-protagonista lacerata da sentimenti devastanti, il vero motore dell'azione, l'anima "nera", la forza dell'ombra, il lato maturo e tormentoso della tragedie di Lully: la coppia dei protagonisti belli, buoni e innamorati (il tenore Clédière e il soprano Aubry) sparisce di fronte alla modernità psicologica e all'intensità trascinante dei ruoli Saint-Christophle.
Mentre le eroine protagoniste (quelle affidate alla Aubry) sono sempre statiche nei loro sentimenti, i personaggi della Saint-Christophle evolvono radicalmente, secondo dinamiche psicologiche estremamente complesse.
Proprio per il fatto di incarnare la forza oscura (e talora blasfema), la Saint-Christophle non è mai la protagonista canonica.
Solo nel caso di Alceste le fu affidato il ruolo della protagonista, ma - se ci pensate - Alceste non è il tipo di personaggio "virginale e pudico" che si poteva dare alla Aubray.
Alceste è regina, è moglie ed è madre, è quindi donna matura e gli ardori della gioventù li ha già passati da un pezzo; e soprattutto è "attiva", non soggiace ai colpi della sorte (o degli Dei) ma vi si oppone.
In questo senso è normale che Lully ne affidasse la creazione alla Saint-Christophle.
In tutti gli altri casi a lei sono affidati i personaggi che si oppongono (e che pertanto agiscono).
Cibele (in Atys) è una dea umiliata, selvaggia per amore, capace della vendetta più atroce a danno dell'amato Atys e della sua adorata Sangaride. Ne provoca il suicidio e poi si strugge di orrore per ciò che ha fatto.
Un'altra amante disperata, umiliata, che evoca le potenze del male dalle oscurità della terra, è Stenobea, la regina suicida del Bellerofonte, a sua volta capace di distruggere tutto ciò che ama per placare la il morso dell'umiliazione, salvo poi accorgersi che la sua vendetta le è sfuggita di mano e trascinerà anche lei nel baratro.
Nell'Isis, ancora una volta, tutta la storia è in mano alla Dea Giunone, altra creazione grandiosa della Saint-Christophle.
Questa volta però è la gelosia di moglie (e non di amante) a scuotere il personaggio, a spingerla a sfidare l'onnipotenza del marito Giove (innamorato della bella Io) fino a che questi non le si getterà ai piedi, implorando per la vita dell'amata.
Anche nella Proserpina, il ruolo affidato alla "seconda donna" è il più sconcertante e mobile: ancora una volta è una Dea, Cerere, dalle caratteristiche stupefacenti.
Politicamente attivissima (amante e "promoter" di Giove, organizzatrice di feste "politiche" a sostegno delle sue guerre), dispensatrice di beni agli uomini, Cerere ha tutte le caratteristiche di una Regina dell'Europa moderna (è possibile che dietro di lei si affacci il mito, ancora ben vivo, di Elisabetta di Inghilterra?).
E il suo furore mostruoso, questa volta, è quello di una madre, che combatte con tutte le sue forze per poter liberare la sua bambina, rapita da Plutone e trascinata negli inferi; Cerere è la prima grande "madre" della storia dell'opera, pronta a tutto pur di riavere la sua creatura, persino di sprofondare il mondo in un buio sepolcrale che oggi definiremmo "post-atomico".
Sull'ultimo personaggio creato dalla Saint-Christophle (e dedicatole da Lully) c'è poco da scrivere: l'opera è il "Teseo", in cui la solita "buona" Aubrey canterà Egle (la virtuosa principessa di cui si innamora l'Argonauta fedifrago) mentre la Saint-Christophle interpreterà, manco a dirlo, Medea.
Sono andato, per curiosità, ad approfondire il caso di questa misteriosa Madame de Saint-Christophle di cui non si ha quasi notizia.
Non molto è emerso; quello che conta, però, è che TUTTI i personaggi più forti e moderni delle tragedie di Lully dall'Alceste (1675) al Teseo (1682) furono scritti per lei.
E che questi personaggi hanno caratteristiche simili e costanti drammaturgiche che è ragionevole attribuire a lei.
e che Lully smise di scriverne con queste caratteristiche proprio dopo il 1682, quando cioè la Saint-Christophle si ritirò dalle scene per chiudersi in un convento.
Dopo quell'anno, nessuna delle tragedie di Lully presenterà più una ripartizione così netta fra "protagonista buona" e "protagonista cattiva".
Ma la cosa di gran lunga più sopraprendente è che quando entrò a far parte della troupe dell'Academie, retta da Lully (in occasione della trionfale Alceste, scritta per lei) la signora aveva già ...passato i cinquant'anni, che per il '600 è davvero moltissimo.
Era cioè una vecchia cantante, una signora da "pensione", ma dalla personalità talmente complessa da spingere Lully a sbilanciare in suo favore (concependo parti da deuteragonista di dimensioni e portata elefantiaca) gli equilibri drammaturgici delle sue tragedie.
Il caso della Saint-Christophle (e soprattutto la forza dei suoi meravigliosi personaggi) mi ha indotto a una considerazione che vorrei condividere con voi.
Nel repertorio tedesco ed espressionista, si è già da tempo imparato a "valorizzare" l'età di un artista.
Si è messa in campo una galleria impressionante di personaggi maturi e psicologicamente complessi, in cui le rughe della voce non rappresentino un problema, e in cui quelle impagabili virtù che sono l'esperienza e la maturità non siano umiliate dal dover "sembrare giovani".
E nel repertorio italiano?
Perché anche le vocaliste, una volta superati i limiti anagrafici, non cambiano repertorio?
Perché dobbiamo tollerare sessantenni alle prese con Lucia o Alfredo, come se fosse una cosa normale?
Davvero non esiste un repertorio per belcantisti di mezza o terza età?
Bene! Io credo che il repertorio esista, come dimostra la straordinaria galleria dei ruoli Saint-Christophle, solo che è meno faticoso e più rilassante chiamare la Sutherland a fare la sua millesima Lucia a sessant'anni e Kruas il suo millesimo Alfredo a settanta.
Pensate come sarebbe stato bello se la Gencer degli anni '70/80 (quella che nei concerti esplorava con grazia sconvolgente il lato più crepuscolare e sofisticato del barocco) avesse potuto dedicarsi a questi ruoli, invece di farsi compatire in quegli ultimi sconclusionati Donizetti e quelle disastrose lady Macbeth.
Pensate a una Jessye Normann, oggi, che - invece di perdere il suo tempo in Erwartung e Voix Humaine in cui non ha nulla di serio da dire - si concentrasse in una Stenobia o in una Cerere di Lully.
Una bella notizia arriva, come al solito, dalla Francia.
Al teatro dei Champs-Elysées hanno montato una nuova produzione del Teseo di Lully.
E per il ruolo della Saint-Christophle (Medea) hanno invitato Anne Sophie von Otter.
Che dire! Mi pare un'idea geniale.
La Von Otter è già entrata nella fase critica, benchè sia ancora una donna affascinante e una grandissima artista: non ha più nerbo nella voce; il volume è compromesso, l'estensione pure, anche se le restano le sottili e inquietanti sfumature di un colorismo caleidoscopico unico al mondo.
In qualsiasi altro repertorio, la sua gelida e composta ironia, il suo maquillage sofisticato ma di scarno sentimento, la sua bellezza distante verrebbero travolti da orchestrazioni più impegnative, senza lasciare emergere quanto di ancora strepitoso può celarsi fra le prime rughe del suo canto.
Ma in questi ruoli, nel declamato ambiguo e cortese di Lully, nella sottigliezza tagliente e dolorosa degli alessandrini, il suo canto e il suo fascino di maestosa cinquantenne può trovare una dimensione imprevedibile (avendola vista dal vivo in un ruolo molto vicino a quelli Saint-Christophle, l'Ottavia di Monteverdi, ve lo posso assicurare).
Chiedo scusa per la lunghezza del post.
Salutoni,
Mat