da fadecas » sab 15 set 2007, 21:37
Cerco di portare un contributo puntualizzando alcuni aspetti della Rondine che mi paiono significativi, in modo da cercare di rispondere alla domanda di Pietro, ossia come inquadrare nella poetica pucciniana quest’opera apparentemente così anomala e atipica.
Da un lato, il continuo oscillare della protagonista tra verità e finzione, l’estrema ambiguità psicologica che la fa sospesa e ondeggiante fra il cinismo della donna vissuta e disincantata e la nostalgia di una sincerità amorosa che vuole illudersi di rivivere per un’ultima volta, soprattutto come maniera, come “stile”.
In questo senso, si può leggere la scena notturna del secondo atto come una riapparizione fantasmatica, in chiave quasi di citazione metateatrale, del secondo atto di Bohème e nostalgia di una – favoleggiata e presunta più che reale – ingenuità sentimentale.
Dico così perché, in fondo, l’ambiguità e il gioco di specchi fra realtà ed apparenze, illusione e disincanto, sono un filone carsico, oltre che un risvolto molto novecentesco, del teatro pucciniano.
Come leggere altrimenti la dilazione del distacco fra gli amanti concordato e immediatamente smentito nel terzo atto di Bohème, fra illusione che l’amore sia più forte e tentativo di occultare e mistificare nel rimpianto di un sogno amoroso ormai proiettato nel passato quella reale consunzione dei sentimenti, quel silenzio interiore che ha portato la coppia ad un momento di non ritorno? Oppure il gioco al rimpiattino che Butterfly conduce con sé stessa e con il suo contorno, sicuramente a partire dall’inizio del secondo atto, occultando una sconfitta di cui è in realtà pienamente consapevole sotto le spoglie di una assurda speranza – o almeno così me lo hanno insegnato le interpretazioni di una Callas e di una Kabaivanska?
Un tanto per ricordare quanto il gioco di mistificazione sentimentale, così apparentemente estraneo al cosiddetto “naturalismo” pucciniano, non nasca con Rondine.
In questa chiave, la componente viennese operettistica – che credo valga soprattutto come influsso di un clima, di un’atmosfera musicale, a cui Puccini si era accostato, a partire dal fatto che viennese era in quel momento la committenza che gli aveva proposto quest’opera – converge in modo assai pertinente ad inquadrare in modo affatto originale questo lavoro che io sento più delle altre pucciniane pienamente in linea con coordinate mitteleuropee (pensiamo all’ironia crepuscolare del Rosenkavalier, o in campo letterario alle labili novelle di amore e disillusione di uno Schnitzler, che avrebbe potuto essere un librettista ideale per una Rondine … ). Così, anche il gusto della contaminazione fra generi musicali alti e kitsch, e la presenza pulsante dei ballabili, trovano un inquadramento in questa temperie musicale di gusto viennese, a partire dalla quale il passaggio dal valzer al musical è meno difficile di quanto si pensi.
Anche il famoso problema del finale, tormentato e più volte riscritto, è sintomatico di una volontà di Puccini di prendere le distanze da ogni climax emotivo. Il rifiuto del lieto fine, che aveva toccato in Fanciulla, e che qui viene adombrato per un istante e ricusato perché l’apparente appagamento sentimentale che potrebbe derivare dal coronamento della storia amorosa suonerebbe come una sconfitta piena di Magda, che non può e non vuole nascondere sotto la maschera del perbenismo familiare la sua realtà di prostituta di lusso consumata inquieta, e in fondo votata alla solitudine e all’inappagamento, è un gesto di grande ardimento e modernità, segno di una visione della femminilità sempre più frastagliata e ricca di luci ed ombre, presaga delle svolte dei prossimi capolavori della piena maturità – l’insofferenza esistenziale di Giorgetta, l’ostinato e fobico negarsi di Turandot al sentimento amoroso…
Che la motivazione sia quella della lettera della madre, oppure, come nell’altra versione del finale rimasta incompiuta, la prospettiva di ritorno ad una vita brillante e dispendiosa fatta da Rambaldo, il segno di un’emancipazione dagli stereotipi rimane comunque.
Resta poi il problema interpretativo di quets’opera. Perché così poche cantati si sono cimentate con Rondine?
Credo che la difficoltà maggiore sia quella di far fronte alle esigenze di una tessitura abbastanza robusta e accidentata, in linea con le maggiori consorelle, e, al contempo, far vibrare delle corde che in altre opere pucciniane non sono richieste, ossia l’ironia e la leggerezza.
Ben poche cantanti del passato e del presente hanno saputo conciliare questi due aspetti. Nella mia esperienza diretta, sia pure risalente ormai a tanti anni fa, ne ho sentita una dal vivo che vocalmente (e anche dal punto di vista dell’avvenenza scenica) aveva tutte le carte in regola per cantare Puccini, tranne purtroppo il fatto che interpretava Magda come se fosse Violetta - mi riferisco a Virginia Zeani.
Temo che susciterò le ire di qualcuno, ma personalmente rimpiango molto la mancata incarnazione di Rondine da parte della Kabaivanska, di cui nella seconda metà degli anni ’80 era stato preannunciato il debutto a Trieste, poi revocato …
Azzardo una enormità ancora maggiore, spingendomi a dire che un’interprete “ideale” del ruolo di Magda dovrebbe avere nel canto di conversazione la sottigliezza e il disincanto di una grande Marschallin.
Accontentiamoci delle edizioni discografiche, di cui conosco solo quella storica con la Moffo – un po’ zuccherosa ma nel complesso passabile – e quella con la Gasdia, che trovo invece fuori ruolo e troppo arieggiante a Bohème. Non ho mai ascoltato, invece, l’edizione EMI citata in apertura di thread.
Fabrizio