Andranno a vedere una rappresentazione a Cremona con un cast nel più puro stile provinciale, ma questo non conta: una Traviata è sempre una Traviata, spesso cammina con le sue gambe e per molti di questi signori sarà la prima volta.
Ora, il buon Massimo che spesso si è sorbito i miei berci in sala operatoria (non è raro che io canti per sciogliere la tensione prima di qualche casino), mi ha chiesto di raccontare la vicenda narrata dal Peppino e da Francesco Maria Piave.
Poche idee divulgative.
Qualche cenno discografico.
Un pizzico di storia.
Un cenno alla poetica verdiana dei diversi.
Voi cosa ci avreste messo?
Io ho ho fatto così:
Premessa
Chi era Alphonsine (detta Marie) Duplessis?
Una celebre figura di cortigiana della bella vita parigina della seconda metà dell'Ottocento. Nata nel 1826, morta a soli 23, a 16 anni era già famosa e protagonista della vita mondana. L'aiuta un fisico di notevole fascino e una intelligenza fuori dal comune che sopperisce alle carenze culturali purtroppo inevitabili, data la sua estrazione (era nata in una famiglia molto povera della Normandia). Nel 1845 conosce Alexandre Dumas figlio (da non confondersi con il padre, autore de “I tre moschettieri” e “Il conte di Montecristo”), con cui ha una relazione che dura circa un annetto. Nel 1846 Marie si sposa, poi si separa. Arriva la tisi, lei si tuffa a consumare la gioventù che sta bruciando la sua vita, non meno del “mal sottile”, nella bella vita parigina, che prima la adotta come una star, poi la abbandona sul letto di morte, salvo poi pentirsene al funerale.
Questa figura così affascinante, che ha segnato un'epoca non solo per la sua bellezza, ma anche per la valenza sociale della sua malattia nell’ambito del demi monde parigino, ispirò a Alexandre figlio il romanzo “La dame aux camelias”, dal nome dei fiori preferiti dalla ragazza; la protagonista prese il nome di un altro fiore, e fu quindi Marguerite Gautier.
Questo romanzo ebbe un'eco notevole: Verdi ci si imbattè a Parigi nel 1852 e ne trasse ispirazione per un'opera lirica fra le sue più famose: “La traviata”, che andò in scena al Gran Teatro La Fenice di Venezia il 6 marzo 1853.
Fu uno dei fiaschi più colossali della storia del teatro d'opera.
La storia
Siamo nella Parigi di metà Ottocento e tutto ha inizio in casa della bella e giovane Violetta Valéry, famosa cortigiana. C’è una festa: Violetta sa di essere gravemente malata e vuole dimenticare la sua condizione tra danze e vino. Il suo amico Gastone le presenta Alfredo Germont, un giovane incantato dell’incredibile fascino di lei, che le dedica un brindisi. I due ballano insieme, cosa che non sfugge all’amante abituale della donna, il barone Douphol. Improvvisamente Violetta, allontanatasi dagli altri invitati, si sente male. Viene raggiunta da Alfredo che le dichiara il suo amore. Violetta nicchia, dice di non credere ai sentimenti, ma alla fine gli regala un fiore. È una camelia: quando sarà appassita Alfredo potrà rivederla. Il giovane se ne va pieno di speranza e Violetta, a festa finita, accarezza un’idea spregiudicata: lei, una cortigiana, per la prima volta si potrebbe innamorare sul serio. Ma subito fugge al pensiero e canta con gioia alla sua vita di piaceri. O forse no? Dal cortile si sente la voce di Alfredo che fa da sfondo alla sua cantando “Amor è palpito...”
Salto temporale. Violetta ha ceduto all’amore di Alfredo e ora i due vivono felici in una villa di campagna, lontani da Parigi. Versano in cattive condizioni economiche, e Violetta decide di vendere i suoi gioielli e i suoi averi per pagare i debiti di lui e poter continuare la convivenza. Alfredo non riesce ad accettare la cosa: parte per Parigi alla ricerca di soldi. In sua assenza arriva il padre, Giorgio Germont. Prima aggredisce Violetta accusandola di voler rovinare il figlio e poi, quando scopre che in realtà le spese sono tutte sostenute da lei, le chiede l’impossibile: lasciare Alfredo, liberandolo così da un’unione scandalosa che lo macchia d’infamia e che impedisce alla sorella di lui di sposarsi: il promesso sposo, l’amato e amante giovane, rifiuta lo scandalo di un cognato che convive more uxorio con una prostituta. Violetta all’inizio rifiuta recisamente – Alfredo è tutto ciò che ama, la sua unica ragione di vita – ma poi accetta per il bene del suo amante. Mentre gli sta scrivendo una lettera d’addio, di cui ometterà il vero motivo, Alfredo torna. Disperata ed emozionata, Violetta gli chiede ancora una volta di dichiararle il suo amore. Poi fugge. Una volta letta la lettera Alfredo piomba nello sconforto e viene consolato dal padre, tornato indietro con incredibile tempismo. Trova un biglietto d’invito per una festa a casa di Flora: forse quella sera Violetta si recherà lì. La festa è vivace e movimentata: balli, travestimenti zingareschi, vino. Alfredo vede entrare Violetta accompagnata nientemeno che dal barone Douphol. Subito lo sfida al gioco vincendo molti soldi. Poi, in un colloquio a quattrocchi con Violetta, le chiede spiegazioni, avendo come risposta che lei è innamorata di Douphol. Alfredo, rabbioso, le getta ai piedi la sua vincita come ricompensa per le loro notti d’amore. Violetta sviene e Douphol sfida Alfredo a duello.
La salute di Violetta peggiora. Il medico comunica alla sua cameriera, Annina, che non le restano che poche ore di vita. Ma ecco che giunge una lettera: è di Germont. Alfredo è dovuto fuggire all’estero per aver ferito Douphol in duello. Germont gli ha detto la verità su Violetta e il giovane non vede l’ora di tornare da lei. Una volta arrivato in casa di Violetta, però, Alfredo si rende conto delle gravissime condizioni della donna. A lei sembra di stare meglio, sembra che la morte possa allontanarsi. Anche Alfredo spera di poter tornare a vivere con lei. Ma è solo un’illusione. Dopo aver regalato ad Alfredo una miniatura con il suo ritratto, Violetta muore tra le braccia dell’unica persona che abbia mai amato.
Le ragioni di un insuccesso
Verdi ce l'aveva a morte con i suoi contemporanei.
Vedovo – la moglie Margherita Barezzi, figlia del suo primo benefattore, era morta nel 1840 subito dopo i figli Virginia e Icilio – conviveva con Giuseppina Strepponi da circa una decina d'anni ( si sposerà solo nel 1859) e la società del suo tempo non glielo perdonava. Erano andati insieme a Parigi, avvelenati – più lui di lei – per sfuggire alle chiacchiere; non è escluso che, vedendo la rappresentazione della “Dame aux Camelias” vedesse nella vicenda di Marguerite Gautier una trasposizione della sua personale.
Il tema della solitudine dei diversi contro i pregiudizi della gente era un elemento importante della sua poetica, sin dalle vicende del bandito Ernani; e sarà un asse importante sino alla fine, snodandosi attraverso una galleria di personaggi che comprenderà il gobbo e deforme Rigoletto, la nera ed apolide Aida, il nero Otello, il grasso e salace Falstaff che, ex eroe della Guerra dei Cent'anni, diventa gaudente e fustigatore dei moralismi altrui.
Di questi personaggi così profondamente strutturati e centrali nella poetica verdiana, la puttana Violetta è l'unica che desta orrore al pubblico del suo tempo.
A ciò probabilmente concorre anche un cast totalmente sbagliato nell'attribuzione delle parti, ma addirittura calamitoso nella protagonista: Fanny Salvini-Donatelli, che pure ricevette applausi convinti nella grande aria alla fine del primo atto, era assolutamente non credibile come moritura di mal sottile, a cause delle sue forme decisamente abbondanti.
Ma quello che offese terribilmente gli spettatori fu che Verdi sbattesse loro in faccia il moralismo di cui era ammalata la società del suo tempo. La vicenda era sostanzialmente contemporanea: nel secondo atto un uomo che sarebbe potuto essere uno qualunque degli spettatori va a casa della protagonista e le spiattella a brutto muso la necessità che si faccia da parte perché, in caso contrario, la figlia, l'altra figlia, la sorella del convivente di Violetta, non sarà impalmata dal fidanzato che non avrebbe mai accettato lo scandalo. E di che scandalo si trattava? Del fatto che Alfredo, l'amante di Violetta, conviveva more uxorio con una prostituta d'alto bordo. Apriti cielo: fischi orrendi e fiasco colossale.
Così scrive Verdi al segretario Emanuele Muzio: “La Traviata ieri notte, un fiasco. È colpa mia o dei cantanti? Si vedrà.” A Ricordi, il suo editore: “Mi dispiace doverti dare queste brutte notizie, ma non posso celare la verità. La Traviata è un fiasco. Ne troveremo la causa. Questo è quanto. Addio, addio.” A Luccardi, scultore romano: “È un fiasco! Un puro fiasco! Non so di chi sia la colpa, meglio non parlarne. Non dirò niente della musica e permettimi di non dire niente sui cantanti. Dai queste notizie a Jacovacci [impresario del Teatro Apollo a Roma] e digli che questa è la mia risposta alla sua ultima lettera nella quale mi chiedeva notizie su qualcuno del cast.”
L'opera verrà riproposta un anno dopo, sempre a Venezia ma in un teatro più piccolo – il San Benedetto – e retrodatata di due secoli, tranquillizzando così l'uditorio: sarà un successo, destinato a propagarsi nei secoli, grazie anche a interpreti che ne hanno fatto una personalissima icona.
I topics di “Traviata”
Il primo argomento forte, probabilmente il più importante, è la solitudine di Violetta, la sua rivolta di “diversa” – in questo caso la diversità è il suo ruolo sociale – contro il moralismo della moltitudine.
Il tema della solitudine dei diversi è, come anticipato, assolutamente centrale nella produzione verdiana, ed è già ampiamente sviluppato in altri capolavori, l’ultimo dei quali è stato il fondamentale “Rigoletto”.
In “Traviata” Verdi dà voce all’angoscia di una puttana che urla la propria ribellione di fronte alla negazione della felicità che non le viene concessa.
Finché sta nei ranghi nessun problema: è la regina di tutte le feste e persino la tisi viene accantonata come un problema di poco conto: il mal sottile è il simbolo di un’epoca, quella di metà Ottocento, nel demi monde parigino. La cortigiana, mantenuta di lusso da un amante che si sceglie ella stessa, è accettata sinché rimane nei ranghi; appena cerca di uscirne scatta l’emarginazione, il rifiuto sociale.
Il problema viene spiegato nei suoi esatti termini alla protagonista dal “mancato suocero” (II° Atto: “Madamigella Valery?... Pura siccome un angelo…”), il padre di Alfredo, Giorgio Germont, nel fondamentale duetto del secondo atto, che ha la caratteristica – forse per la prima volta nella produzione verdiana – di una conversazione intima. Dapprima lui la accusa di vivere nel lusso; poi, quando lei gli rivela che è costretta a vendere i propri beni per mantenere la vita a due, il vecchio papà Germont capisce che avrà terreno fertile nel chiedere alla ragazza di rinunciare a una convivenza tanto sconveniente, e fa leva sui suoi buoni sentimenti: se Alfredo non torna alla casa paterna con la coda fra le gambe, il fidanzato della sorella rifiuterà di sposarla perché la condotta di Alfredo, convivente more uxorio con una puttana d’alto bordo, è scandalosa. E qui entra in gioco la seconda tematica.
Diverse volte il vecchio papà Germont è stato imputato di cinismo, ma egli si fa vivo solo quando viene messa in gioco la felicità dell’altra figlia. Lui non giudica o, quanto meno, lo fa solo per lo stretto necessario; anzi, quando Alfredo – che non ha capito nulla – insulta a morte Violetta, papà Germont entra in gioco con una dura reprimenda.
La verità è che papà Germont non è meglio né peggio della media della sua epoca: è solo l’espressione di un comune sentire, tipico di quella seconda metà dell’Ottocento in cui la vicenda è calata. La società di quel periodo si vide raffigurata in modo impietoso e reagì nel peggiore dei modi, fischiando l’opera che li ritraeva e che dava loro un ruolo protagonistico anche superiore a quello della stessa Violetta.
Nessuno è all’altezza della sensibilità e del cuore della protagonista: non Alfredo, ragazzino viziato alle prese con il primo sentimento importante della sua vita; non papà Germont, che pensa solo al benessere dei suoi figli; non la società, che usa Violetta come regina delle feste salvo poi sbarazzarsene quando la tisi ha fatto il suo lavoro. Mentre Violetta muore, impazza il Carnevale fuori dalle finestre. Nello spettacolo di Salisburgo, il regista Decker fa irrompere nella stanza di Violetta la folla impazzita che porta in trionfo una ragazza spaurita che è la sua erede nelle feste.
Innumerevoli sono i momenti di ribellione di Violetta: il monologo del primo atto, per esempio: “…povera donna, sola, abbandonata, in questo popoloso deserto che appellano Parigi… Che sperar più? Che far degg’io? Gioir! Di voluttà nei vortici perir!”, con tanto di cadenza sulla parola vortici, a denotare una finta allegria che invece maschera la disperazione; nel già citato duetto con papà Germont c’è il cantabile “Così alla misera un dì caduta, di più risorgere speranza è muta. Se pur benefico le indulga Iddio, l’uomo implacabile per lei sarà”; e persino il celeberrimo “Amami Alfredo, amami quant’io t’amo!...” è un’invocazione amara e disperata di fronte alla constatazione della disparità di livello dei sentimenti che avrà la sua sublimazione nel grande concertato alla fine del secondo atto. Alfredo l’ha appena insultata a morte, lei è stata male e lo rimprovera con dolce tristezza: “Alfredo Alfredo, di questo cuore non puoi comprendere tutto l’amore”. Ma la sua reprimenda non è rivolta solo ad Alfredo: è indirizzata a tutti gli invitati alla festa di Flora, che commentano da lontano il suo dolore, mentre gli uomini che – a regola – dovrebbero amarla maggiormente, Alfredo e il Barone Douphol, si insultano e si sfidano a duello. Per gli altri è una questione di orgoglio, per lei è sempre e solo una questione di cuore; il cuore per cui Violetta muore.
Discografia essenziale
Il primo vero caposaldo interpretativo di questo capolavoro non è un soprano, ma un direttore: si tratta di Arturo Toscanini. Il cast non è irreprensibile, a cominciare da Licia Albanese che ha sempre un tono fastidiosamente querulo e che non è particolarmente musicale; in compenso la direzione è fenomenale per la violenza con cui viene gestita la vicenda umana di Violetta e di chi la circonda. L'orchestrazione della festa a casa di Flora del secondo atto è un turbine impazzito che tutto trascina, ancora oggi di un'attualità e di un impatto emotivo che non lascia indifferenti. Tra l'altro, sono facilmente reperibili in CD le prove di “Traviata” che Toscanini fece con l'orchestra: sono molto interessanti per capire l'approccio del grande direttore parmense non solo al capolavoro verdiano ma alla musica in genere.
Imprescindibile un'edizione con la Callas; fortemente consigliabile quella di Lisbona 1958, pubblicata dalla Emi con suono molto buono. Al suo fianco un giovane ed ispiratissimo Alfredo Kraus. L'edizione della Scala, quella celeberrima con la regia di Luchino Visconti che fece scalpore perché prima dell'assolo del primo atto Violetta si toglieva le scarpe scalciando, è purtroppo penalizzata da un suono poco godibile e da un Pippo Di Stefano perennemente sopra le righe.
Facendo un salto di un po' di anni arriviamo a un altro direttore, Riccardo Muti, che dirige con splendidi colori e con piglio nervoso molto “toscaniniano” la splendida compagine della Philharmonia Orchestra. Muti, filologo non sempre ortodosso, riapre tutti i tagli cosiddetti “di tradizione” pubblicando un'incisione che più completa di così non potrebbe essere. Protagonista è Renata Scotto, che aveva già inciso la parte un po' di anni prima per la Deutsche Grammophon: la voce era più fresca, in compenso era tutto il resto ad essere assai meno ispirato, per cui non venne fuori un'incisione memorabile. Della Scotto esistono almeno altre due incisioni, entrambe live: una dall'Arena di Verona, diretta in modo splendido da Eliahu Inbal; lei è un'interprete ispiratissima; un'altra dal Giappone con Carreras e Bruscantini, ma diretta in modo piuttosto garibaldino da un routinier dell'epoca, tale Nino Verchi, specializzato in questo tipo di operazioni note come “spedizioni punitive”. Tornando a Muti, c'è da sottolineare come il direttore di Barletta abbia sempre avuto una notevole affinità con quest'opera: la dimostrazione migliore è proprio l’incisione Emi con appunto la Scotto, forse un po’ a fine corsa ma interprete attenta e sensibile; Alfredo Kraus, non più irruento come con la Callas, ma in compenso rifinito e musicalissimo; e infine Renato Bruson, che riprende la tradizione dei baritoni grand seigneur nello stile di Mattia Battistini.
Fra le altre grandi interpreti è doveroso citare la splendida Joan Sutherland, recentemente defunta; anche lei ha inciso il ruolo due volte, anche se la sua interpretazione è lontanissima non solo dalla visione ipertragica di Maria Callas, ma anche da quella di qualunque altra interprete si sia accostata alla parte. La sua visione, ricca di una dolcezza rassegnata molto british e un filo fanée, è piena di delicato e struggente rimpianto. Al suo fianco, nella seconda incisione, l’estroverso Luciano Pavarotti: non si potrebbe immaginare partner meno adeguato di questa Violetta così particolare.
Fra le altre grandi interpreti che hanno registrato la parte su disco vanno citate: Beverly Sills (Emi), in una strampalata incisione Emi con Gedda (algido e compassato) e Rolando Panerai: è una registrazione bislacca senza capo né coda, ed è un peccato per quella che fu una grande interprete dei suoi tempi di questa parte; Edita Gruberova (Teldec), anche lei calata in una registrazione decisamente poco memorabile; Ileana Cotrubas, diretta dall’eccentrico Carlos Kleiber che ripristina, per l’occasione, tutti i tagli di tradizione già mandati in soffitta e con un cast all stars (Plàcido Domingo e Sherrill Milnes) ma poco ispirato e interessante.
Decisamente da scartare Kiri Te Kanawa, anche lei al centro di una delle registrazioni più brutte e inutili di sempre; Renata Tebaldi, Violetta di voce splendida pur se percettibilmente in difficoltà nel primo atto, e assai poco ispirata.
L’epoca del DVD porta alcune incisioni fondamentali, fra cui il video di Venezia con un’ispirata Patrizia Ciofi e la regia di Robert Carsen; ma soprattutto il video dello storico spettacolo di Salisburgo con la regia di Willy Decker e la presenza, carismatica e catalizzatrice, di Anna Netrebko, Rolando Villazon e Thomas Hampson. Lo spettacolo all’epoca fu un successo di pubblico indimenticabile. La vicenda di Violetta viene portata a livelli di una violenza morale indicibile da una regia che le vede al centro delle attenzioni di una società che prima la porta in sovraesposizione, poi la abbandona. Straordinaria Anna Netrebko, alla sua prima vera affermazione da Diva, ma non meno fondamentale l’apporto dei suoi due partner
Per approfondimenti vedi anche: http://www.operadisc.com
Gli proporrò il video di Anna Netrebko e Willy Decker.
Suggerimenti?
Altre idee?