direi che l'inserimento in questo discorso del movimento Ceciliano mi chiarisce moltissime cose.
Anzi direi che proprio questo movimento mi spiega come mai in Italia, e proprio nel pieno della fiammata tardo romantica e realista, si sia fatto largo questo eccezionale interesse per la musica antica: c'era dietro anche un fermento spirituale, un bisogno di ripulire la liturgia musicale dalle incrostazioni operistiche.
E quale modo migliore per farlo che recuperare l'antica e gloriosa polifonia italiana?
Poi successivamente questo bisogno di "antico" (che soprattutto è un rifiuto del "moderno"... un po' come è stato per la filologia barocca nell'età della contestazione) si è come "laicizzato" con la generazione dell'80 - lo stesso accadeva col recupero della Commedia dell'Arte in prosa - ma mi sembra estremamente plausibile e anzi affascinante l'idea che alla fine dell'Ottocento tutto sia partito dallo spirito del riformismo cattolico del Tebaldini e dei Ceciliani.
Ne approfitto per chiederti una cosa in merito alle informazioni (incredibili) che hai postato.
Rodrigo ha scritto:• 1912, all’Accademia di S. Cecilia a Roma, esegue la Rappresentazione d’Anima e Corpo di E. de’ Cavalieri e L’incoronazione di Poppea di C. Monteverdi.
Ciò detto si spiega invece perfettamente perché sarà un grandissimo esperto di vita teatrale come Illica a proporgli di realizzare una versione scenica della rappresentazione di Anima e Corpo.
Non ho capito bene...
Quella rappresentazione di Anima e Corpo fu in forma scenica (o semiscenica)?
Oppure si tratta solo di una proposta di Illica mai realizzata?
C’è da chiedersi se queste scelte (esecuzioni di “passi scelti” (arie ovviamente), utilizzo come sede di luoghi diversi dai teatri e in qualche modo “asettici”, interpreti pescati tra le fila dei “fini dicitori”) non sottendano una ben precisa concezione da parte di Tebaldini. Ossia la musica barocca – e sia pure tratta da melodrammi – concepita e valutata in chiave paradossalmente anti teatrale; quasi che venisse preformulato un giudizio di disvalore (o di sfiducia) circa la drammaturgia sottesa a queste partiture.
Io non arriverei a questa conclusione. Come tu stesso affermi (poco dopo) il problema secondo me non sta nell'essere più o meno anti-teatrale, ma nel non riconoscersi nella teatralità dell'epoca.
Lo stesso possiamo dire dei "baroccofili" moderni (dagli anni 70 a oggi). Ferocemente ostili alla solita teatralità melodrammatica, non per questo si rifugiarono nell'anti-teatralità.
tutt'altro! Il barocco non è mai stato tanto "teatrala" come da quando i baroccofili moderni se ne sono impossessati.
Semplicemente dovettero cercare altrove (nel "colore" ad esempio) le radici di una nuova e diversa espressività.
In qualche modo anche alcuni degli esempi che hai proposto (in particolare la Didone, l'Orfeo e l'Alceste della Baker) si spiegano per me allo stesso modo.
Il bisogno (tipicamente inglese) di salvare la musica antica dai "languori" romantici, abusivamente interpolati, ha spinto questa grande interprete - che in effetti era un mostro di attoralità e teatralità, altro che i nostri Bergonzi e le nostre Cossotto, loro sì interpreti risibili - verso un suono e un'espressione più spogli, sentimenti più sfumati e introspettivi.
Al contrario i più antichi Hercules o Giulio Cesare dei vari Corelli, Tebaldi, Bastianini, Rossi Lemeni, Zeani (ma i tedeschi non erano meno traditori) a me sembrano piuttosto un tentativo di far assomigliare il più possibile Handel al repertorio romantico, tanto per renderlo più digeribile... quindi sì monumentale e fissa, ma con un "piedistallo" gigantesco e varie sfumature "poeplum" al limite del Colossal di serie B.
Visto che l'abbiamo citata, proporrei l'ascolto della Baker in "Ah Belinda"... doveroso omaggio alla più conturbante ed emozionante (insieme alla De los Angeles e alla Seefried) delle Didoni pre-filologiche.
Salutoni,
Mat