pbagnoli ha scritto: che Sinopoli non fosse poi così tanto innovatore come voleva farci credere: mi sembra poco probabile, anche perché la Butterfly, per esempio, è veramente stridente in un parco di melassa com'era la discografia sino a quel momento ( anche se Karajan con la Callas e Gedda... )
Penso che abbia ragione Tatiana.
La Freni negli anni '80-'90 era (in senso economico) abbastanza popolare e idolatrata da autorizzare la DG a investire in un'integrale pucciniana con lei. E anche Sinopoli era un prodotto di sicura vendita.
(al proposito, vorrei chiedere a Maugham quali erano le dive degli anni '80 con maggiore "peso lucrativo" rispetto alla Freni... a me non pare che fossero poi tante: non sto parlando di valore artistico, ma solo di vendita presso il grande pubblico).
L'accostamento Freni-Sinopoli inoltre avrebbe conquistato diverse e opposte fette di mercato: il tradizionalista che vedeva in Puccini tanta bella voce e lacrime facili e rassicuranti avrebbe comprato Freni; il modernista che può tollerare Puccini solo se presentato come un tormentoso intellettuale da Caduta degli Dei avrebbe comprato Sinopoli.
Quindi anche io penso che ci fosse una ben precisa logica di marketing, stabilita a tavolino negli uffici DG.
E tuttavia ho voluto quotare la prima delle tue ipotesi, Pietro, perché anch'essa a mio parere contiene un fondo di verità.
Per me Sinopoli non fu il rivoluzionario che ci hanno fatto credere; per me fu soprattutto l'uomo giusto al momento giusto, che ha comodamente percorso un sentiero non solo già scavato da altri ma, ai suoi anni, già molto frequentato.
Quando parli di "melassa" tu, Pietro, ti riferisci alla discografia pucciniana precedente alla "frattura", ossia la svolta nella storia interpretativa dell'opera che si è operata nella seconda metà degli anni '80.
Ma più che nella complessiva discografia Pucciniana, Sinopoli andrebbe inquadrato nei suoi anni.
Dopo la crisi degli anni '70 (il calo di gradimento, la deriva manageriale, lo iato apertosi fra il mondo dell'opera e le nuove generazioni di artisti e intellettuali, forgiati dalla contestazione), gli ultimi anni '80 rappresentarono una svolta, da cui - grosso modo - siamo ancora condizionati.
Come dicevamo in altro thread, cominciò a imporsi una logica meno "popolare" e più intellettuale, che cambiò il target del pubblico, buttò a mare le esigenze del "vecchio" pubblico, e sposò senza mezzi termini nuovi valori estetici, ideali, interpretativi ed esecutivi (dagli strumenti d'epoca per la musica barocca, al trionfo delle regie innovative, all'evoluzione radicale del repertorio, con rilancio planetario di autori come Janacek, Britten, Handel e sovraesposizione incontrollata di Mozart, Wagner o Mahler, divenuti santoni del nuovo corso).
Fu una svolta intellettuale e generazionale, gestita soprattutto dai grandi direttori di teatro "francesi": furono gli anni di Mortier, Lissner, Gall, piloti del "new deal operistico".
Bene: in questa svolta generale, non c'è nulla di strano che anche Puccini (come già Verdi) sia stata riletto in modo più "problematico" che in passato.
Anzi era l'unico modo per farlo digerire al "nuovo pubblico", da cui dipendeva la rinascita e la sopravvivenza dell'opera.
In quel periodo ebbero luogo, ad esempio, le riletture pucciniane di Harry Kupfer, filtrate dagli incubi della psicanalisi, o il ciclo di Carsen all'Opere delle Fiandre, e prima ancora la Turandot di Serban o le Buttefly di Asara e di Wilson.
Nonostante un'iniziale riluttanza, anche le case discografiche cominciarono ad adeguarsi.
E il nostro Sinopoli, con tutte le sue lauree in evidenza, il tono suadente, lo sguardo sognatore, gli occhialini da accademico, e i suoi articoli su Wagner e Mahler, aveva le caratteristiche ideali per rassicurare il nuovo pubblico e convincerlo a comprare Puccini
"sì, d'accordo, è Puccini, ma non temete: nulla a che fare con le vostre nonne che piangevano quando muore Mimì. Anzi... c'è un mondo di contorcimenti freudiani dietro la superficie sentimentale"...era esattamente questo il messaggio/slogan con cui la DG programmava di vendere più dischi!
Quel che sembra a me, è che Sinopoli, ben lungi dall'essere l'uomo della rivoluzione (di cui temo non avesse nè la personalità, nè la statura), era solo l'uomo prescelto per tranquillizzare una fetta di pubblico,
...magari mettendogli al fianco la matura diva della tradizione più facile, rassicurante e stantia.
Con questo non nego che tante cose di Sinopoli siano belle e interessanti, a partire proprio dal secondo atto della Tosca, ma non fu, secondo me, il coraggioso artefice di alcun cambiamento.
E' un titolo che preferirei riservare a gente come Erich Kleiber, Arturo Toscanini, Leonard Bernstein, John Eliot Gardiner...
Salutoni
Mat