Cari Beckmesser e Maugham,
intanto mi scuso per aver lasciato così a lungo in sospeso il bell’argomento di cui stavamo parlando.
In queste settimane il mio (poco) tempo libero è stato assorbito da un’impegnativa ricerca i cui frutti dovrebbero vedersi a breve in home page.
E mi scuso anche della lungaggine del presente post.
La questione avanzata da Beckmesser è interessante e presuppone una lettura del Ring molto diversa dalla mia.
L’elemento principale del nostro disaccordo è la cosiddetta “rinuncia all’amore”: a seconda dell’interpretazione che se ne dà si può arrivare a conclusioni molto differenti.
Io personalmente respingo le letture del Ring fondate sul dualismo “etico” tra Amore e Volontà di Potenza.
Sono le letture che io chiamo “biancaneviste”, quelle per cui ci sono da una parte i “buoni” (che amano e redimono il mondo) e dall’altra i “cattivi” (che, come chiunque voglia arricchirsi e diventare potente, rinunciano all’amore).
Questo tipo di lettura non solo riduce la Tetralogia a una favoletta edificante (proprio come fanno, checché ne dica l’amico Maugham, Shaw e Chéreau), ma soprattutto genera una serie di incongruenze spaventose a livello di testo e di temi musicali, giustificabili solo con una …probabilmente vera ma certo comoda tesi dell’ “inorganicità” del testo.
L’amore nel Ring (sia quello doloroso di Siegmund e Sieglinde, sia quello di Wotan per Siegmund e Bruennhilde, sia quello puro ed eroico di Siegfried e Bruennhilde) non è affatto veicolo di salvezza o redenzione. La maledizione del Neid grava su tutti gli amanti, nonostante amino, nonostante non siano “cattivacci” come Alberich e Wotan.
Il tema della “rinuncia all’amore” risuona fortissimo su Siegmund; e come spiegare il suo attaccamento – e quello di Siegfried – alla spada “neidlische”, simulacro dell’anello… e come spiegare il furore con cui i due amanti puri ed eroici (S e B) difendono l’anello o se lo strappano l’un l’altro?…
E soprattutto come spiegare il Crepuscolo?
Se la conquista dell’amore (Siegfried e Bruennhilde) - che scavalca le antiche stirpi, butta all’aria l’antico mondo dei patti, segue la “ruota che gira” e fa nascere una nuova alba sul mondo - fosse stato davvero il punto d’arrivo etico della Tetralogia, non ci sarebbe stato bisogno del Crepuscolo.
Il Ring sarebbe dovuto finire col Siegfried.
Così non è, perché a Wagner stava a cuore dimostrare nel Crepuscolo che l’amore e l’eroismo (il nuovo ordinamento fissato da Siegfried e Bruennhilde) sono destinati al fallimento esattamente come i patti di Wotan.
Io vedo diversamente le cose.
La rinuncia all’amore è molto più complessa di quel che sembra.
Il suo significato è quello di una spaccatura: da una parte l’origine indistinta, dall’altra la plurivoca individualità.
Detto così sembra turco. Cerco di spiegarmi meglio.
Per Beckmesser, Wotan non “rinuncia all’amore”. L’unico che lo fa è Alberich ed è per questo che è l’unico a poter usare la forza dell’anello (forza limitata, aggiungo io, dato che non riesce a fermare quelli che gliela strappano).
beckmesser ha scritto: solo Alberich ha maledetto espressamente l’amore e quindi può rubare l’oro, forgiare l’anello e (secondo me) usarlo; per gli altri non funziona; che poi gli altri lo vogliano e che il loro “Wille” sia alla base di tutto il Ring è giustissimo, ma secondo me la posizione di Alberich e Wotan deve essere tenuta distinta: entrambi peccano per affermazione della propria volontà; Alberich pecca maledicendo l’amore;
Ecco, Beck.
Credo sia importantissimo ragionare su questo punto.
Tu dici che Wotan non ha rinunciato all’amore.
Questo per me non è vero. Per me l’ha fatto eccome, anche prima di Alberich.
Tu giustamente citi le affermazioni di Wotan, ma sai bene che le sue affermazioni in quel monologo vanno interpretate…
Wotan, specie nella Walkiria, è diventato il simbolo della persona che mente a se stessa.
Glielo dimostra Fricka. Noi stessi assistiamo al crollo del suo edificio di menzogne.
Ci sono cose che sa ma non ammette; altre che non sa affatto (siamo noi a capirle sulla base di ciò che Wagner ci dice altrove).
Il lungo racconto a Bruennhilde non va preso come se fosse un trattato per decifrare il Ring, ma come una serie contorcimenti, punti di vista, contraddizioni e depistaggi, tutti da …verificare.
Lui dice di non aver voluto rinunciare all’amore.
Ok, ma noi cosa sappiamo in proposito?
Sappiamo che tantissimo tempo prima si è strappato un occhio.
Prima di spezzare il ramo del frassino eterno e ricavarvi la lancia, Wotan si è tolto l’occhio dell’amore (per ora chiamiamolo così): questo ce lo raccontano le Norne… e questo è accaduto prima dell’inizio dell’opera, prima dei patti e prima della lancia.
Se non è una rinuncia all’amore questa?
E poi? Cosa ci dicono i temi?
Be’ tante cose…
Fricka ad esempio, già alla seconda scena dell’Oro del Reno (quindi molto prima della Wakiria) definisce il marito “liebeloser” (colui che ha perso l’amore) e lo fa cantando – ma guarda un po’ – il tema della Rinuncia dell’amore.
Proprio lo stesso tema, canterà Wotan nella Walkiria quando si definisce “il più tristo fra i tristi” (la stessa identica espressione che aveva già usato Alberich, sempre cantando il tema della rinuncia dell’amore).
Il tema della Rinuncia all’amore (completo e grandioso) si sente quando Wotan addormenta Bruennhilde, che – appunto – incarnava il suo pensiero non pensato, la sua individualità che si ribella alla ragione, l’amore per Siegmund.
L’atto di addormentare chi rappresenta il proprio amore è una metafora talmente evidente della “rinuncia all’amore” di Wotan da giustificare la presenza del tema.
Così come l’atto (ugualmente simbolico) della “vendita” di Freia ai giganti: non è anche quella una ennesima rinuncia all’amore da parte di Wotan? Certo che lo è: il tema di Freia sarà la base di tutti i temi d’amore dell’opera, fino al Crepuscolo.
Checché ci dica Wotan, lui all’amore ha rinunciato tanto quanto Alberich; Wotan può mentire; i temi no. La sua maledizione è la stessa.
beckmesser ha scritto: Wotan istituendo i patti (non rompendoli: già solo istituendoli), cosa che fa proprio perché vuole potenza E amore (cosa impossibile).
Ci sono tante cose in questa frase che non condivido.
Istituendo i Patti, Wotan voleva tutto fuorché Potenza E Amore.
Anzi ha fatto proprio il contrario: ha schiacciato in sé (in funzione dei patti), sia l’una, sia l’altro.
Lo vedi chiaramente nella Walkiria.
A cosa lo costringe Fricka?
A schiacciare contemporaneamente la voglia di possedere l’anello (i patti non lo permettono) e l’amore per il figlio Siegmund (i patti non lo permettono).
Quindi Wotan fa esattamente il contrario di quel che dici. Costituisce i patti PROPRIO RINUNCIANDO alla sua volontà di potenza (individuale), ai suoi sentimenti (individuali) e a tutto ciò che un essere umano individualmente prova (la “singola” volontà schopenaueriana)
Torniamo alla capitale scena delle Norne.
Esse raccontano molto bene come è avvenuta la creazione dei patti: Wotan – prima o contemporaneamente rispetto al furto di Alberich - si è recato alla fonte della saggezza (che sgorga da sempre), ha divelto un ramo del frassino (che esiste da sempre) e – questo è l’importante – si è strappato un occhio.
Insomma ha prodotto uno strappo terribile fra ciò che è eterno (e indistinto) e ciò che è “individuale”.
Come abbiamo già detto, l’occhio che si è strappato è quello dell’amore, o per lo meno dei desideri individuali, delle passioni, dei sentimenti… in una parola “del Wille”.
Si è tolto l’occhio della sua individualità e ha tenuto quello della “scintilla universale”.
Ha violentato un’unità originaria, l’ha spaccata in due.
L’unità fra i due occhi (Ragione universale e Passioni individuali) è rotta.
Ma non solo.
Ha strappato un ramo dal frassino eterno (ha tratto leggi contingenti dalla legge universale), condannando l’albero mitico a seccarsi e a marcire.
Altra spaccatura.
E il fratellino “nero”? Alberich?
Stessa cosa: ha strappato l’oro dal Reno. Altra spaccatura dell’ordine originario.
Altra affermazione dell’individuo a danno della sintesi originale, descritta dal tema del Reno all’inizio del Rheingold.
La costituzione dei patti è stata possibile solo con lo strappo.
Si è dovuto rinunciare all’amore e a tutto ciò che sgorga dall’individuo (e quindi anche alla volontà, che ne è espressione).
A costo di ripetermi, voglio sottolineare che né la volontà di potenza, né l’amore sono alla base dei patti.
Non è per volontà di potenza che Wotan si arma della lancia: lui stesso è sottoposto alla lancia, lui stesso ammette di essere il meno libero degli uomini, e questo grazie ai patti).
Non è per amore che si arma della lancia: per la lancia e soprattutto con la lancia, Wotan sacrificherà ciò più che ama: Siegmund prima e Bruennhilde dopo.
Nel costruire la lancia, Wotan RINUNCIA alla volontà di potenza e all’amore per perseguire un sistema razionale, civile, che superi le istanze dell’io.
E così il Dio tenta di strappare qualcosa alla Natura (la sua Ragione "a priori"), rinunciando a qualocsa di sè: ciò che di umano e individuale ribolle in lui.
Ma quello che produce non poteva prevederlo.
E' come se dallo strappo scaturisse un mostro: il mostro della Volontà (individuale) che frantuma l'ordine originale.
Privata dell’elemento eterno che la plasmava, l’individualità degli uomini scaturisce dall’occhio strappato (o se vuoi l’Oro liberato dal Reno, o la lancia liberata dal frassino, o le Walkirie liberate dal ventre di Erda) e si diffonde nel mondo.
Ha inizio la guerra di tutti contro tutti.
E’ la stessa storia di Eva che coglie il frutto della conoscenza.
Ma soprattutto è la storia di Prometeo (vedi il rapporto con Loge).
Il male del mondo è identificato da Wagner (schopenauerianamente) con l'eruzione della coscienza individuale, liberata dallo strappo di Wotan/Alberich.
Scusate se lo chiamo così: Wotan-Alberich.
Il fatto è che io li considero un unico personaggio, con un lato della faccia in ombra e l’altro alla luce.
Wotan-Alberich ha spaccato l’eredità eterna; ha diviso in due ciò che fino ad allora (ossia da sempre) era stato unito e che Wagner descrive tanto bene con quell'ossessivo mi bemolle dell'apertura del Rheingold.
Ecco come, secondo me, va interpretata questa famosa “rinuncia all’amore”.
Non è: “da ora in poi diventerò cattivo, perché è noto che solo i cattivi diventano ricchi… farò il bagno nel denaro, affamerò gli operai! Farò la guerra invece dell’amore! Non ho più valori…Ecc…”
La rinuncia all'amore è una specie di strappo protostorico, di affermazione dell'individuo su quel blocco indistinto, parmenideo che era stato - fino ad allora - il creato.
Non c'è lancia di rune che possa tenere a bada i mostri della Volontà (Amore, Odio, volontà di potenza), nè purezza di sentimenti.
L'amore come rendenzione? Ma dove?
L’amore è terribile esattamente come ogni altra cosa scaturisca dall’individuo.
Ecco perché la Tetralogia non termina col tripudio all’amore (Siegfried), bensì con la sciagura che si abbatte sul mondo malamente gestito dai novelli amanti: il mondo di Bruennhilde e Siegfried è peggio di quello di Wotan; giuramenti a non finire (che si susseguono nel Crepuscolo) di cui nessuno è rispettato; e il povero anello continua ad essere voluto da tutti e strappato di mano in mano.
Eh no! Non è l’amore una ricetta contro il Neid.
L’amore è il Neid.
beckmesser ha scritto: Beh, però mi sembra che le posizioni dei vari personaggi siano ben diverse: in fondo, Siegfried non credo si possa dire che l’anello lo “voglia”; prima lo dà a Brunilde, poi starebbe per darlo alle Ondine, se non fosse che queste sbagliano le parole per chiederglielo… Io credo che la loro colpa sia piuttosto nel non volersi attivare per fare l’unica cosa utile: ridare l’anello al Reno.
Scusa Beck,
Ma non vedo molta differenza fra “non voler ridare” e “volersi tenere”. Il punto è tutto qui.
Poi che l’anello Siegfried non lo dia alle Ondine…perché sbagliano le parole …è irrilevante.
Non glielo dà. Inoltre se lo era preso con la forza quando rapisce Brunilde e se lo terrà anche dopo.
La stessa Brunilde si era guardata bene dal darlo a Waltraute e diventa una furia d’averno quando lo vedrà in mano a Siegfried.
Il fatto è semplice: lo vogliono! Poi le ragioni che muovono i singoli personaggi sono irrilevanti (a meno che non si voglia guardare la storia in termini moralistici o sentimentali): che io rapini una banca per dare soldi ai poveri, e tu per farti la villa, non cambia il fatto che entrambi siamo rapinatori….
Forse per Shaw e Chéreau cambierebbe ma – grazie al Cielo – per la legge no.
Vorrei concludere con il tuo riferimento a Schopenauer, da cui – per te – Wagner si sarebbe staccato.
beckmesser ha scritto: In questo, secondo me, sta la principale distanza con Schopenhauer (che, per quanto fondamentale sia stato per Wagner, venne anch’esso riadattato con notevole disinvoltura ai propri scopi): per il filosofo l’amore è una manifestazione (se non la più forte) della Volontà; per Wagner resta, alla fine, l’unico strumento che consente di opporvisi.
Anche qui, davvero non la penso come te.
A me pare che Wagner segua perfettamente Schopenauer, quasi più nella Tetralogia e nel Parsifal che nel Tristano.
Schopenauer considerava espressione negativa di “volontà” solo l’amore uomo-donna (quello di Tristan-Isolde o quello di Siegfried-Brunilde).
Ma al contrario intravedeva come possibile terapia contro la Volontà (e tappa verso l’Ascesi) proprio l’amore “pietoso” verso il genere umano.
Questo tipo di Amore (pietà e negazione del mondo) è un chiaro retaggio cristiano del pensiero di Schopenauer, ed è esattamente il retaggio che Wagner ha raccolto.
Non è l’Amore (derivato da Freia) che redime il mondo: non è l’amore di Siegmund e Sieglinde, né quello di Wotan per i Walsidi o la Walkiria, né quello di Siegfried e Bruennhilde (catastrofico).
L’amore che redime è quello “cristiano” di colei che rinuncia all’anello, ossia al Neid.
Nella sua immolazione, Bruennhilde non restituisce solo l’anello al Reno, ma soprattutto restituisce all’universo (annullandola nel fuoco) la propria individualità.
Quello di Bruennhilde è l’atto ascetico e pietoso invocato da Schopenauer; è l’atto buddista se vuoi; sicuramente è – nell’ottica di Wagner – l’atto cristiano.
In fondo in fondo, la tetralogia è solo la storia di una spaccatura (l’indistinto cosmico da cui emerge – con la violenza di uno strappo – l’individuo) e di una ricomposizione (l’individuo che – grazie alla rivoluzione cristiana – rinuncia a sé stesso e al proprio Neid, proprio come colui che si è sacrificato sulla croce).
Tutto questo ovviamente imho.
Salutoni,
Matteo