mattioli ha scritto:il musical mi piace un sacco, ma a Broadway o nel West End
Be', Alberto, dipende un po' anche da come lo si vuol fare.
Broadway va bene per le creazioni contemporanee; molto meno - secondo me - per il Musical classico. Le rare volte che riprendono titoli antichi lo fanno come se fossero dei "remake" cinematografici, da aggiornarsi sulle tendenze e sulle convenzioni del musical di oggi (un po' avveniva all'opera negli anni 30, quando si eseguivano i capolavori di Monteverdi con grande orchestra, interpreti verdiani e Ottone baritono).
Lo Chatelet ha capito, per me, che i musical storici sono pronti per essere fagocitati dall'Opera, ed essere riproposti in ...edizione critica, strumenti originali e fasto di allestimenti intelligenti, proprio come è successo con l'operetta di Offenbach (proprio allo Chatelet) e con ogni forma di teatro musicale... diventato vecchio!
E in tutti i casi, non sono tanti gli allestimenti di Broadway che mi attraggono quanto il "My fair Lady" con la regia di Carsen che faranno allo Chatelet!!
Dominque Meyer a Vienna: l'uomo che ha costruito la grandezza degli Champs-Elysées sul barocco, e sul barocco fatto nel modo che ci piace, che conquista quella veneranda "grande boutique" che è la Staatsoper.
Quando finalmente si sarà sbarazzato dell'eredità Holander (che del buono ne aveva, ma anche tanto ciarpame), Meyer ci farà vedere quanto vale.
Mi dispiace solo per i bravi ragazzi dell'An der Wien, che rischieranno di perdere le loro posizioni d'avanguardia nella capitale austriaca.
Il problema è: come declinare, oggi, una spettacolarità così fastosa e magniloquente e kolossal come quella del Nostro? Perché la spettacolarità è consustanziale alle opere di Meyerbeer: non è la ciliegina sulla torta, ma proprio un ingrediente della medesima.
Assolutamente vero! La sfida sarà questa.
Ed assolutamente vero anche che la formula (tipicamente sessantottina) di risolvere lo sfarzo borghese del grand-opéra con riletture intellettuali alla tedesca non regge (anche se Kramer resta un grandissimo e la sua Juive decisamente efficace). O, per lo meno, può reggere per un caso isolato - come appunto la Juive a cui facevi riferimento - ma non nella prospettiva della resurrezione di un intero repertorio.
Oggi siamo in una fase di travolgente ricerca linguistica, nell'ambito della regia musicale.
Superata l'ossessione contenutistica dei registi mitteleuropei, e grazie anche all'ormai lungo contributo di autentici sperimentatori e contaminatori di generi come Jones e Carsen, ci stiamo avviando sempre più sulla fusione di tutte le forme di musica-immagine prodotte dalla nostra società.
Dalla clip di musica rock al "cirque du soleil", l'infinita varietà di lingue visivo-musicali tendono a convergere, in una grande, sfolgorante macchina globalizzata.
In quest'ottica rientrava - non so se l'hai visto - il Benvenuto Cellini a Salisburgo con la regia di Stoelz; io l'ho visto dal vivo e, se anche ammetto che il risultato fu alla fine discutibile (perché non si può riassumere la ricerca linguistica in una gag continua: è più facile sputtanare una drammaturgia difficile che non farla funzionare), tuttavia ho dovuto riconoscere che quella era la strada giusta per il Grand-Opéra.
L'effettismo travolgente che tu - giustissimamente - consideri connaturato a questa drammaturgia, può trovare il suo contraltare moderno nella sperimentazione figurativa, nella stratificazione culturale e figurativa delle regie moderne.
Quindi... sì, Py va bene. Però piuttosto che un sopravvissuto francese (di genio, intendiamoci) della cultura sessantottina, avrei preferito un americano capace di mescolare e far reagire i linguaggi estremi e contrapposti dell'immagine attuale.
Staremo a vedere... e speriamo che anche questi Ugonotti non si risolvano nella solita ricontestualizzazione da lunghi coltelli.
Certo, un Robert le diable di Carsen o un’Africana di McVicar potrebbero essere la quadratura del cerchio (però il Meyerbeer più difficile da mettere in scena resta quello della Dinorah - e allora Guth!).
che è esattamente quel che avevo in mente io!
Vogliamo anche metterci un'Africaine di Jones o un Etoile di Nord di Lepage?
Ahi, Matteo: Roger fu il creatore del Prophète, non dei Vespri (quello fu Gueymard).
Ma certo... hai ragione!
Parlare di Gueymard mi ha confuso la testa. A proposito:
Avevo la sua autobiografia: se ti piacciono, come credo, i tenori intellettuali alla Nourrit, vale la pena di leggerla...
Incredibile!
ce l'ho anche io... Un vecchio esemplare da bancarella. L'ho sleggiucchiato a spizzichi e bocconi. Seguirò il tuo consiglio.
Salutoni,
Mat