mattioli ha scritto:Scusate, non resisto:
PS: Maccabei, Mancinelli... sempre opera (o oratorio) è...
Irresistibile il Mattioli!
Inutile: il tuo cazzeggio batte il mio venti a uno. Non c'è storia!
Ma che bannarti!
Un monumento ti si dovrebbe fare!
E' pur vero che usavi la stessa identica ironia quando vent'anni fa si parlava delle mie gite a Bruxelles per applaudire Mortier e lo Janacek "di domani" e quando esprimevo il mio amore per i nuovi registi!
Ma io non temo...
conto infatti che fra vent'anni scriverai un bel libro sui Pirenei dove spiegherai quanto è "moderno" Pedrell (troppo moderno per la pericolosa retroguardia che va a teatro solo per sentire Britten)!
E ora, lasciando per un attimo il rilassante cazzeggio, vengo a Francesco e alle sue interessanti questioni.
DottorMalatesta ha scritto:se si guarda all’opera da una prospettiva internazionale il rischio c’è (e penso ad esempio all’ammiccare alle nuove tecnologie, modello Fura dels Baus, riproposizione in chiave tecnologica e futuristica delle cartoline Liebieg d’antan). Ma non credi che nel nostro paese, l’avanguardia della retroguardia (per dirla con Mattioli), battersi per avere Janacek, Britten, Guth e Jones alla Scala non significhi lottare per un qualcosa che, d’accordo, non sarà il nuovo che avanza, ma è pur sempre qualcosa di più vivo e di meno mummificato rispetto a quanto siamo stati costretti a sopportare durante il ventennio e di quanto ancor oggi sopportiamo in molti teatri italiani?
Partiamo dalle premesse su cui siamo d'accordo:
-che il linguaggio operistico è evoluto radicalmente tra la seconda metà degli anni 80 e la fine dei novanta.
-che in Italia questa rivoluzione è arrivata, all'epoca, poco o punto, a causa del muro opposto dai cellettiani e dell'oscurantismo imposto da Muti al nostro teatro più importante.
Bene! E adesso cosa dovremmo fare?
Le possibili strade sono due:
1) recuperare in ritardo ciò che avremmo dovuto vedere vent'anni fa (è la politica del conservatore Lissner ed è quel che, mi pare, tu suggerisci).
2) tirarci (ahimé) una riga sopra, tanto ormai quel che stato è stato, e guardare avanti, in modo da allinearsi (almeno oggi) agli sforzi dei teatri più all'avanguardia.
Tu propendi per la prima ipotesi.
Meglio vedere alla Scala la roba di vent'anni fa che non quella di quaranta anni fa... che saremmo costretti a sorbettarci se al posto di Lissner ci fosse ancora Muti.
Ok, non escludo che tu possa avere delle ragioni dalla tua: è la tesi che anche Vit ha spesso difeso..
Ma questo significa restare ancora una volta ciò che Mattioli ha brillantemente definitivo "avanguardia della retroguardia".
Ciò condannarsi a restare, ancora una volta, slegati da un musica e un'immagine che ci rappresentino per quello che siamo ora, che la civiltà è diventata, che i nostri giovani si aspettano (esteticamente e culturalmente) nel mondo in cui viviamo adesso..
E' vero che siamo stati privati di questa relazione Opera-contemporaneità negli anni '80 e '90, ma questo non toglie che oggi
siamo comunque persone del 2010... e non degli anni 80 e 90.
I nostri "modelli" estetici, i nostri ritmi di vita, le nostre esperienze quotidiane, l'apertura sul mondo grazie a Internet sono, oggi, gli stessi di tutti gli altri paesi del pianeta.
E la risposta che oggi l'opera sta cercando di dare alle sollecitazioni del presente... è fatta per parlare a noi proprio come ai francesi, ai tedeschi e ai giapponesi.
Tanto più che il mondo si va globalizzando, il "broken english" sta diventando la koiné internazionale, Internet l'autostrada su cui tutti quotidianamente corriamo.
Ecco perché è a mio parere nocivo ostinarsi a proporre un'estetica, un repertorio, una visione dell'Opera - come fa Lissner - per cinquantenni, creata in tutt'altra epoca come gli anni '90 (quando non c'era internet, quando non era esplosa la civiltà dell'immagine, quando i ritmi di vita erano tanto diversi e le globalizzazione culturale non era ancora ai livelli di oggi).
Tu parli di un ragazzo di oggi... che dovrebbe andare all'Opera.
Bene credimi: un ventenne del 1976 sarebbe rimasto folgorato di fronte al Ring di Chéreau, tanto quel linguaggio era vicino a lui e lontano dal solito modo di fare opera; oggi un ventenne rischierebbe solo di addormentarsi di fronte al Tristano di Chéreau, che pure è stato molto bello, in sè. Peccato che parlasse una lingua di trent'anni fa.
Gli stessi cappottini e spogli muraglioni di Peduzzi nel 1976 erano di una potenza sconvolgente per il giovane di allora; ma che cavolo possono dire oggi a un ragazzo del 2010 che gira il mondo con i Low cost e con i programmi Erasmus, nutrito (perchè è così) di "reality", che chatta con altri ragazzi agli antipodi semplicemente con un click?
Sai che c***o se ne fa un ventenne di oggi di quei cappottini?
Lissner è alla Scala da quanti anni? otto? sette? Quanti sono i giovani che hai visto alla Scala? Io vedo gli stessi che vedevo ai tempi di Muti... anzi, molti, molti meno, perchè ai tempi di Muti non si pagava 254 euro per andare a vedere un'opera.
Nella bella intervista che ci ha concesso, Mattioli ha affermato una cosa molto giusta: Lissner sarebbe dovuto venire alla Scala a metà degli anni '80.
Allora sì che avremmo avuto, in tempo reale, quelle stesse rivoluzioni grandiose che a noi sono mancate (e che invece Lissner regalava in quegli anni allo Chatelet e a Aix).
Purtroppo così non è stato: ma che senso ha chiamarlo con vent'anni di ritardo per sostituire un conservatorismo con un altro?
Piccola precisazione: non sto dicendo, ovviamente, che si dovrebbero buttare alle ortiche Guth e Jones in quanto vecchi, e che si devono abolire i direttori dell'era filologica, ecc....
Ma per carità! Pensa che io non abolirei nemmeno le scoperte (perché ce ne sono state di importantissime) della fase cellettiana!
Tanto che oggi siamo tutti d'accordo che non si può più cantare il Trovatore come hanno fatto a Bruxelles...
Il bello di avere alle spalle tante belle tradizioni del passato è proprio quello di continuare a servirsene sempre (almeno finché sono vitali), ma in un'ottica sempre diversa, che guardi al futuro...
Il primo passo sarebbe di studiare il repertorio meno eseguito, onde scoprire "altri" autori e "altri" titoli che possano aiutarci a raccontare il 2010
con la stessa efficacia con cui Britten e Handel ci hanno aiutato a raccontare gli anni 90, Rossini e Janacek gli anni 80, Mozart e Mahler gli anni 70, Donizetti e Berlioz gli anni '60, Strauss e Bellini gli anni 50...Solo dopo che avremmo identificato i "nuovi autori" da rilanciare nel nostro tempo, terranno dietro le rivoluzioni linguistiche, tecniche, stilistiche, proprio come è successo per Handel, Monteverdi e Janacek.
E in tutto questo fermento che porta i teatri "pilota" del mondo a scoprire nuove opere, a dare una chance al repertorio "borghese" e fantasy del tardo ottocentesco (Rimsky, Massenet... guarda la spettacolare rinascita di "Rusalka"!), a rinverdire i fasti del Grand-Opéra... noi vogliamo davvero restare ancora - e come sempre - indietro? Vogliamo ancora rimanere il mausoleo del già detto?
....Proprio come ai tempi di Muti?
Sinceramente io non ci sto.
Salutoni,
Mat