E' importante rifarsi al primo interprete?
Inviato: gio 06 nov 2008, 1:14
Domanda secca, detta così...
La mia domanda nasce alla luce della discussione sulla Sonnambula incisa da Cecilia Bartoli appena uscita, a proposito della quale la stessa cantante ha dichiarato che la sua vera vocalità sarebbe, stando alla creatrice Giuditta Pasta, voce scura, da mezzosoprano (acuto). Tesi sostenuta ed approvata, mi pare, dal nostro Mat:
Stesso discorso per Otello, pensato (anche se non troppo con convinzione, pare) da Verdi per un contraltino all'antica come Tamagno, abituato ai ruoli di Meyerbeer, Ugonotti in primis, ma poi passato a tenoroni, più o meno declamatori.
La domanda è: è davvero così importante il recupero della primitiva vocalità, la comprensione della tipologia vocale del primo interprete, per affrontare ed interpretare un ruolo?
Dal mio punto di vista, ciò è interessante in quanto ricerca storica, e come tale, sociologica, in quanto dimostra l'evoluzione del gusto e della vocalità, ma non trovo che sia così fondamentale a fini esecutivi.
Clamorosi "falsi" come l'Otello di Del Monaco, di Vickers, ma anche di Vinay, hanno una forza ed una pregnanza tali, che poco o nulla mi cale che non fossero tenori contraltini alla Tamagno. Anzi, quando tali "falsi" risultano credibili e vengono accolti ed accettati dal pubblico, divengono giusti: io sono sempre dell'idea, già detta in passato, che la performance non sia un atto di fedeltà verso il compositore, teso a ricreare il più possibile ciò che si suppone fosse la sua idea, la sua volontà. E' invece una forma a sé stante, in certo qual modo indipendente dalla volontà dell'autore, fatti salvi libretto e partitura, che deve risultare credibile e coerente in sé stessa. Dunque, in certi contesti, un tipo di vocalità è giusto a prescindere dal primo esecutore.
Ed il recupero, ossia il tentativo di ritorrnare ad una vocalità fedele alle origini ha senso, secondo me, solo se si ha a disposizione un o una artista in grado di risultare credibile.
Che mi dite?
Bonne nuit!
La mia domanda nasce alla luce della discussione sulla Sonnambula incisa da Cecilia Bartoli appena uscita, a proposito della quale la stessa cantante ha dichiarato che la sua vera vocalità sarebbe, stando alla creatrice Giuditta Pasta, voce scura, da mezzosoprano (acuto). Tesi sostenuta ed approvata, mi pare, dal nostro Mat:
Lei non ha sminuito il valore della Callas o della Sutherland, ha solo osservato (e non capisco cosa ci sia di sbagliato) che il loro tipo di vocalità era probabilmente molto più acuto di quello che la scrittura richiede.
E' la stessa cosa che in questo sito (...) ripetiamo da anni su Otello, sui ruoli Nourrit e recentemente persino su Isolde.
La Bartoli ha ragione, quando afferma che un denso, brunito, latino colore da mezzosoprano acuto è probabilmente la via giusta per il personaggio di Amina; è pur vero che - anche ammesso che lei abbia queste caratteristiche - il risultato si misura sulla qualità dell'interpretazione
Stesso discorso per Otello, pensato (anche se non troppo con convinzione, pare) da Verdi per un contraltino all'antica come Tamagno, abituato ai ruoli di Meyerbeer, Ugonotti in primis, ma poi passato a tenoroni, più o meno declamatori.
La domanda è: è davvero così importante il recupero della primitiva vocalità, la comprensione della tipologia vocale del primo interprete, per affrontare ed interpretare un ruolo?
Dal mio punto di vista, ciò è interessante in quanto ricerca storica, e come tale, sociologica, in quanto dimostra l'evoluzione del gusto e della vocalità, ma non trovo che sia così fondamentale a fini esecutivi.
Clamorosi "falsi" come l'Otello di Del Monaco, di Vickers, ma anche di Vinay, hanno una forza ed una pregnanza tali, che poco o nulla mi cale che non fossero tenori contraltini alla Tamagno. Anzi, quando tali "falsi" risultano credibili e vengono accolti ed accettati dal pubblico, divengono giusti: io sono sempre dell'idea, già detta in passato, che la performance non sia un atto di fedeltà verso il compositore, teso a ricreare il più possibile ciò che si suppone fosse la sua idea, la sua volontà. E' invece una forma a sé stante, in certo qual modo indipendente dalla volontà dell'autore, fatti salvi libretto e partitura, che deve risultare credibile e coerente in sé stessa. Dunque, in certi contesti, un tipo di vocalità è giusto a prescindere dal primo esecutore.
Ed il recupero, ossia il tentativo di ritorrnare ad una vocalità fedele alle origini ha senso, secondo me, solo se si ha a disposizione un o una artista in grado di risultare credibile.
Che mi dite?
Bonne nuit!