Gobbi, Bastianini e la corda di Baritono

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Re: Gobbi, Bastianini e la corda di Baritono

Messaggioda MatMarazzi » ven 16 apr 2010, 22:03

FRITZ KOBUS ha scritto:Ma, purtroppo, sembra obbligatorio discettarne solo per le incisioni audio, visto che soprattutto quelle sono rimaste (come di Bastianini del resto).


In realtà qualche testimonianza video esiste di entrambi.
Non sufficiente, ne convengo, per intavolare discussioni sul loro stile attorale, ma sufficienti per confermare alcune sensazioni che si traggono dal semplice ascolto.
Secondo me, infatti, l'interpretazione corporea non è "altra cosa" dall'interpretazione vocale; è una diversa estrinsecazione di un medesimo atto creativo.
L'interpretazione è una sola ed è frutto di un'unica azione da parte dell'interprete (anche se noi possiamo "scomporla" grazie alla tecnologia in due prospettive distinte: canto e recitazione).
Non è un caso che cantanti monocromi e scarsamente espressivi vocalmente siano quasi sempre statici e generici anche scenicamente.
I video di Gobbi confermano in toto, a mio parere, i limiti di chi non sa impedirsi di strafare, di eccedere... come se il fare "qualcosa in più degli altri" voglia dire per forza essere "migliori". Proprio il suo celebrato Scarpia (troppo celebrato a mio gusto) esibisce a livello mimico lo stesso birignao che riscontriamo nel canto. Sottolineature, esasperazioni, strabuzzamenti d'occhi e vocazione caricaturale (inguardabili gli estratti video del Gianni Schicchi) equivalgono a tutto quel "biecume" sonoro di cui parlavi.
Bastianini al contrario risulta in video estremamente sobrio ed elegante; nel filmato del Trovatore RAI, ad esempio, è proprio il Conte di Bastianini che ha retto meglio (visivamente) le ingiurie del tempo (gli altri erano la Gencer, la Barbieri e Del Monaco). La sua nobiltà e fierezza scenica - unite a un'indubbia fotogenicità, che oggi gli aizzerebbe contro gli idolatri dei brutti (che, è scritto, cantano sempre molto meglio ) - ne fanno un interprete ragguardevole.
E tuttavia, secondo me, i video di Bastianini ci danno anche l'idea che questa classe, questa nobilità, questa dignità fossero un po' una armatura, una maschera buona a svariati usi o, per usare un termine a me caro, un piedistallo.
Con Bastianini io raramente ho la sensazione che interpreti (ossia si concentri sulle specificità non dico stilistiche, ma almeno psicologiche di un ruolo); molto più spesso ho la sensazione che indossi questo abito di eleganza e si fermi lì, lasciando il personaggio (per distinto e aristocratico che sia) a un livello di rassicurante e prevedibile genericità.
E' esattamente la stessa sensazione che ricavo dai dischi, anche al semplice ascolto.
In sostanza non riuscirei a scegliere fra Gobbi e Bastianini, perché nè l'uno, nè l'altro - pur stimandoli entrambi - mi danno l'idea di aver mai rivelato qualcosa dei loro personaggi, l'uno vittima della sua voglia di strafare (scambiando il guittismo per profondità interpretativa), l'altro pago della voce e dell'aspetto belli, distinti, nobili ma prevedibili e monocromatici.
Nondimeno, credo che il Conte di Luna, il Vargas e il Marchese di Posa di Bastianini abbiano il loro posto nella storia dell'interpretazione verdiana, come d'altronde il Boccanegra, il Macbeth, il Rigoletto di Gobbi.

Salutoni,
Mat
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Re: Gobbi, Bastianini e la corda di Baritono

Messaggioda FRITZ KOBUS » ven 16 apr 2010, 23:06

Riprendo il discorso su Bastianini e Gobbi. Il Senese aveva una voce dalle cratteristiche naturali eccezionali e questo gli ha garantito una grandissima carriera, ma NON lo ha aiutato a diventare un cantante storico. Lo zeitgeist imponeva all'epoca di mettere in mostra i muscoli. Del Monaco, altro cantante dai mezzi superlativi, insegnava, perché supportato da ovazioni plebiscitarie (un melomane molto più in là degli anni di me che, a Firenze, assistè alle recite del tenore divenuto Otello per antonomasia, diceva in estatico rapimento, quasi gridando:"Quando c'era lui, ir teatro pigliava foo!!!!!!") che in teatro, un cantante vero, deve tirar fuori gli attributi, spettinare il pubblico con autentiche cannonate sonore, eccitarlo come se assistesse alla realizzazione di un record mondiale. Bastianini, per carattere, non sembra che fosse incline a questa estroversione testosteronica. Anche se il piano dell'espressione artistica spessissimo contrasta col profilo privato dell'artista che ne è portatore, la vicenda personale di Bastianini sembra averne fatto un cantante che nel suo modo di esprimersi tendeva a iniettare le ansie e i profondi dolori che ne avevano segnato l'infanzia e l'adolescenza, probabilmente mai risolti. Noto è che esser nato figlio di NN lo abbia condizionato: oggi facciamo fatica a rendercene conto, ma nel 1922, nascere figlio di NN era un problemone. La sua vita privata trovò appigli nel canto, nei suoi primi insegnanti, i coniugi Ammannati di Siena, che lo impostarono da basso, e nell'arte lirica trovò qul mondo autentico di cui aveva bisogno e che probabilmente per lui NON coincideva con il mondo reale. Non sembra fosse portato ad esibirsi per egocentrismo e necessità continua di autocelebrazione e conferma che il mondo, senza di lui, non esisterebbe, come è caratteristica psicologica di molti artisti, veri, e anche mancati. Lo faceva perché il canto era ciò che aveva dato senso alla sua esitenza. Tutto questo è quanto sembra essere sotto alla sue interpretazioni, spesso artatamente ipertrofiche; non sarebbe possibile infatti che eccellesse per controllo e compostezza proprio in quel repertorio che Celletti (ed in questo ha fatto scuola per troppi fra quelli che generalmente gli danno addosso) odiava con tutto se stesso fino a farne l'epitome di ogni nequizia operistica, cioè il cosiddetto verismo. Voce tanta si, ma nessun eccesso caricaturale, che è stato il vero limite di Gobbi, il quale invece, certo sempre in omaggio allo spirito del tempo, si attardava in interpretazioni infarcite di escrescenze pseudo-interpretative di cui oggi non possono non riconoscersi i limiti. Senza una vera voce Gobbi si adattò a ipersostanziare le parti di idee esecutive che passavano per grandi interpretazioni (vocali, per l'appunto), eseguite in modo che oggi ci appare (almeno MI appare), più vecchio di Matusalemme. Bastianini dava un senso di compostezza e nitore nobilizzante a tutto il repertorio verista NON per i motivi che Celletti indicava, ma per vera innata capacità interiore di rendere in modo tanto equilibratamente ingentilito quel repertorio, nell'epoca in cui lo si proponeva e lo si intendeva solo come robaccia da trogloditi, sia da parte dei sostenitori che dei detrattori. Così Bastanini eccelleva in Gerad, in Alfio, nel delizioso e (quello si di riferimento) assolo di Tartaglia nelle mascagnane Maschere (opera di grande importanza storica mai riconosciuta come tale nemmeno in frazione ridottissima) "Quella è una strada". Vogliamo parlare del suo "semplice" Michonnet, o del suo superlativo Tonio, tanto diverso da ciò che altri coprivano con superfetazioni pseudo-interpretative? Per uscire dal repertorio verista vogliamo ricordare l'apertura scaligera del 1957? Ballo in maschera; Riccardo in scena composto, chiuso in un dramma terribile, nella disperazione di un tradimento doppio, dell'amico e della sua donna, un "Eri tu" elettrizzante. Con tutto ciò Bastianini non è stato un cantante storico. Il mito della voce per la voce, imperante ai suoi tempi (ci sono ritratti in cui canta sui tavoli delle cene contradaiole per festeggiare la vittoria della sua contrada, "La pantera", di cui era Capitano,nel Palio di Siena del luglio del 1963, in cui si esibisce, felicissimo, " a squarciagola") gli impedì di essere preciso sulle acciaccature, di raccogliere sempre il suono correttamente nel registro acuto (che pure aveva smagliantissimo), di essere un vero interprete anziché, con troppa frequenza, un espositore di grande dovizia vocale. Eppure è per l'assoluta dedizione alla sua arte che, una volta diagnosticatogli un cancro alla gola, decise non solo di non operarsi, per poter continuare a cantare fin quando avesse potuto, ma decise anche di tacere con chiunque, dentro e fuori l'ambiente dell'opera. Avrebbe così vissuto romanticamente un rapporto sempre più a breve distanza con la morte da cui, forse, desiderava esser preso sulle assi di un palcoscenico, magari sulle note finali di "Per me giunto è il dì supremo". Gli ultimi anni della sua vita li visse vedendo la morte seguirlo per strada, girarto l'angolo, forse la scorgeva attenderlo anche fra le lenzuola, l'amante che più lo bramava, lui, che di amanti ne ebbe sicuramente tante. In silenzio. Nessuno sapeva e nessuno si accorse che andava a curarsi con irraggiamenti al tempo poco più che sperimentali, facendosi prosciugare la gola nel tentativo inutile di obbligare la malattia a recedere. Quando ci si accorse che qualcosa non andava mancava pochissimo al suo rapido declino. Amici strettissimi di Siena lo vedevano inappetente (lui, ghiotto di costoleccio e salsicce), color terreo, assente. Neanche a loro aveva detto nulla. Per cantare.
(Vgobbi, lo so, ti troverò sotto casa con la lama luccicante tra le mani uno di questi giorni. Va beh!)
Ultima modifica di FRITZ KOBUS il sab 17 apr 2010, 10:03, modificato 2 volte in totale.
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Re: Gobbi, Bastianini e la corda di Baritono

Messaggioda FRITZ KOBUS » ven 16 apr 2010, 23:13

Mentre scrivevo ha inserito il suo intervento Mat. non ho ritenuto di dover aggiungere nulla perché, in gran parte, le considerazioni mi sembra che coincidano. Naturalmente, com'è a lui noto, io non sono in linea con Mat riguardo alla concezione unificante che sostiene tra l'aspetto vocale e quello attoriale-mimico, se non secondo precisi inquadramenti concettuali su cosa si intende per opera. Ma apriremmo una questio già dibattuta che, qui, è inutile affrontare di nuovo. Ciao a tutti. (Vgobbi eventualmente sii rapido nell'esecuzione, mi raccomando.)
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Re: Gobbi, Bastianini e la corda di Baritono

Messaggioda Aristecmo » gio 30 set 2010, 11:49

Buongiorno a tutti! Trovo un po' di tempo libero per spendere qualche parola a proposito di un artista che amo molto e che ritengo gravato, dopo tanti anni dalla scomparsa, di pregiudizi e luoghi comuni duri a morire.

Concordo pienamente con Fritz Kobus, quando sottolinea in Bastianini la necessità del canto quale via d'uscita da un mondo nel quale l'uomo, forse, difficilmente si riconosceva. Ma io credo altresì che anche il canto fu alla fine l'ennesima delusione aggiunta ad un quadro a tinte piuttosto grige. Credo che si siano fatte fin troppe illazioni sulla vita privata di Bastianini, e certamente per l'assenza di dichiarazioni spontanee dell'interessato, e per il suo rifiuto quasi sistematico di frasi trascinare dal rotocalco. L'impressione di semi-asocialità che possiamo ricavare da alcune letture, amplificata dalla tragicità della catastrofe finale della sua esistenza, rischiano però di caratterizzare eccessivamente una personalità che forse merita, come ogni essere umano, una discrezione maggiore e quantomeno pari a quella che seppe dimostrare in vita.

Un fatto però emerge, dall'ascolto di quel che rimane delle sue interpretazioni nel corso della dozzina d'anni di carriera baritonale, e cioè la progressiva perdita di entusiasmo artistico. Tagliamo pure fuori i due ultimi anni di carriera, durante i quali Bastianini fu sottoposto allo stress insostenibile di pesanti trattamenti clinici: noto tuttavia che nel periodo successivo al 1960, pur con momenti di grande interesse in parti quali Rolando ne La Battaglia di Legnano, il Don Carlo radiofonico del 1961 o il Trovatore in studio dell'anno successivo, il comportamento musicale, tecnico e espressivo del cantante si fece più routinier, come se l'artista provasse noia o stanchezza nel cantare costantemente le stesse parti. Più ancora che la malattia, che si manifestò nella seconda metà del 1962, direi che tanta parte di questo declino, più artistico che vocale, fosse dovuta all'eccessiva frequentazione del teatro dell'Opera viennese, dove Bastianini poteva cantare cinque ruoli diversi in appena sette o otto giorni, facendo magari anche la spola con l'Arena di Verona. Una frenesia che forse può trovare la sua causa nella necessità di cantare, come sottolinea l'amico Fritz, ma che alla lunga si rivelò disorientante e probabilmente fece maturare nell'artista una certa indolenza nei confronti di un repertorio fin troppo ribattuto. Disse infatti Bastianini, in una brevissima intervista rilasciata per un quotidiano tedesco: "Credo che non mi restino molte parti da cantare, nel mio repertorio".

Purtroppo la critica, nel trattare l'arte di Bastianini, si soffermò quasi esclusivamente sulle sue incisioni in studio per la Deutsche Grammophon, captate proprio nel periodo suddetto. Ora in queste registrazioni Bastianini ha momenti molto belli (la romanza del Conte di Luna, amorevolmente condotta da Serafin, è tra questi), ma la genericità interpretativa è reale e incontestabile.

Il vero Bastianini, quello pieno di sacro entusiasmo per il canto, quello che ci credeva, è da cercarsi nei live, o anche nelle incisioni in studio, degli anni precedenti. Con questo non posso affermare che il Senese fosse un esempio di introspezione o di raffinatezza psicologica alla Fischer-Dieskau, ma in tanta parte del suo repertorio, dalla follia di Bolkonskij all'esaltazione sospesa tra angélisme e demonismo del suo Athanaël, il grande Ettore fu un interprete sincero e applicato.

Forse hanno ragione quelli che sostengono che non fosse un cantante verdiano. La voce prima di tutto era squisitamente lirica, e il colore scuro, probabilmente causato da un problema di passaggio ereditato dall'errata classificazione quale basso, sommato alla robustezza naturale dei mezzi, lo portarono a affrontare troppo presto un repertorio rischioso. Va aggiunta a questo anche la mancanza di eroismo e di crudeltà nel tratto vocale, sottolineata a suo tempo da Eugenio Gara: e questa gentilezza d'impostazione psicologica e vocale gli rendeva difficile l'espressione dei passi più corruschi di un Conte di Luna o di Nabucco, tanto da dover farlo ricorrere ad artifici veristeggianti molto lontani dalla sua personalità artistica.

Credo sia nei ruoli di vittima, o di "santo". che Bastianini abbia dato la prova migliore di sé: prendiamo, nel repertorio verdiano, il ruolo di Posa: Rodrigo, visto da Bastianini, è una vittima designata e acquiescente. C'è una voluttà fatalistica nella mezza voce costante con cui viene tratteggiato il contrappunto del quartetto: "Che per la Spagna un uomo mora..." ; non ci sento la resistenza titanica dell'eroe romantico, ma l'anima imbevuta di un piacere quasi narcisistico per l'estremo sacrificio. E così la scena finale, già fondamentalmente risolta a Firenze nel 1956, trova un Bastianini in stato di grazia con Von Karajan nel 1958: tra tutti i baritoni che ho potuto ascoltare dal vivo o in disco in questa scena, solo Bastianini mi ha saputo rendere le inflessioni affettuose e malinconiche del recitativo e della prima romanza ; quando dice "Son io mio Carlo" Bastianini usa, stranamente, ma non del tutto, lo stesso colore impastato di amore e lacrime con il quale Athanaël consola Thaïs nel deserto. Perché il Posa di Bastianini è questo: l'amico di Carlo, eroe per la Fiandra soltanto per la sovrapposizione dell'Infante con essa. Anche il Carlo V dell'Ernani suona, nella voce di Bastianini, come una vittima sacrificale, una specie di santo filosofo: ed è in ginocchio di fronte alla tomba di Carlo Magno che il suo personaggio prende un involo sublime: "O sommo Carlo", sfiorato con quella misteriosa mezza voce intrisa di luce e malinconia. Un Taddei o un Cappuccilli sono indubbiamente più a loro agio nella tessitura drammaticamente impervia di questo ruolo da mezzo-tenore, ma la mitezza di canto del Senese gli dona una luce assai diversa.

Uno dei momenti più significativi dell'arte di Ettore Bastianini rimane il canto notturno del Principe Andrea nella versione italiana di Guerra e Pace di Prokofiev: lirismo, dolcezza, istinto della linea musicale correttamente divisa in arsi e tesi ; il lavoro di un grande artista. E così l'allucinata scena della morte, con ricorso ad effetti realistici che con il verismo all'italiano hanno poco a che spartire.

Non ho mai fatto menzione alle qualità della voce, in sé e per sé, e alla sua bellezza obiettiva, semmai sia accettabile questo ossimoro. Io credo che Bastianini sia rimasto, alla lunga, vittima di quella bellezza timbrica, sul duplice altare di un narcisismo innocente e del pregiudizio comune.
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Re: Gobbi, Bastianini e la corda di Baritono

Messaggioda Tucidide » gio 30 set 2010, 13:07

Aristecmo ha scritto:Il vero Bastianini, quello pieno di sacro entusiasmo per il canto, quello che ci credeva, è da cercarsi nei live, o anche nelle incisioni in studio, degli anni precedenti. Con questo non posso affermare che il Senese fosse un esempio di introspezione o di raffinatezza psicologica alla Fischer-Dieskau, ma in tanta parte del suo repertorio, dalla follia di Bolkonskij all'esaltazione sospesa tra angélisme e demonismo del suo Athanaël, il grande Ettore fu un interprete sincero e applicato.

Anch'io considero l'Athanaël di Bastianini uno dei migliori del disco. Lo preferisco alla linea "francese" di Bourdin e Massard, e trovo che sia il più autorevole interpete del ruolo prima di Sherrill Milnes e Thomas Hampson. Seppure notevole, più rifinito e vellutato, quello di Bruscantini non mi sembra allo stesso livello.
Il mondo dei melomani è talmente contorto che nemmeno Krafft-Ebing sarebbe riuscito a capirci qualcosa...
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Re: Gobbi, Bastianini e la corda di Baritono

Messaggioda FRITZ KOBUS » ven 01 ott 2010, 19:26

Aristecmo ha scritto:Buongiorno a tutti! Trovo un po' di tempo libero per spendere qualche parola a proposito di un artista che amo molto e che ritengo gravato, dopo tanti anni dalla scomparsa, di pregiudizi e luoghi comuni duri a morire.

Concordo pienamente con Fritz Kobus, quando sottolinea in Bastianini la necessità del canto quale via d'uscita da un mondo nel quale l'uomo, forse, difficilmente si riconosceva. Ma io credo altresì che anche il canto fu alla fine l'ennesima delusione aggiunta ad un quadro a tinte piuttosto grige. Credo che si siano fatte fin troppe illazioni sulla vita privata di Bastianini, e certamente per l'assenza di dichiarazioni spontanee dell'interessato, e per il suo rifiuto quasi sistematico di frasi trascinare dal rotocalco. L'impressione di semi-asocialità che possiamo ricavare da alcune letture, amplificata dalla tragicità della catastrofe finale della sua esistenza, rischiano però di caratterizzare eccessivamente una personalità che forse merita, come ogni essere umano, una discrezione maggiore e quantomeno pari a quella che seppe dimostrare in vita.

Un fatto però emerge, dall'ascolto di quel che rimane delle sue interpretazioni nel corso della dozzina d'anni di carriera baritonale, e cioè la progressiva perdita di entusiasmo artistico. Tagliamo pure fuori i due ultimi anni di carriera, durante i quali Bastianini fu sottoposto allo stress insostenibile di pesanti trattamenti clinici: noto tuttavia che nel periodo successivo al 1960, pur con momenti di grande interesse in parti quali Rolando ne La Battaglia di Legnano, il Don Carlo radiofonico del 1961 o il Trovatore in studio dell'anno successivo, il comportamento musicale, tecnico e espressivo del cantante si fece più routinier, come se l'artista provasse noia o stanchezza nel cantare costantemente le stesse parti. Più ancora che la malattia, che si manifestò nella seconda metà del 1962, direi che tanta parte di questo declino, più artistico che vocale, fosse dovuta all'eccessiva frequentazione del teatro dell'Opera viennese, dove Bastianini poteva cantare cinque ruoli diversi in appena sette o otto giorni, facendo magari anche la spola con l'Arena di Verona. Una frenesia che forse può trovare la sua causa nella necessità di cantare, come sottolinea l'amico Fritz, ma che alla lunga si rivelò disorientante e probabilmente fece maturare nell'artista una certa indolenza nei confronti di un repertorio fin troppo ribattuto. Disse infatti Bastianini, in una brevissima intervista rilasciata per un quotidiano tedesco: "Credo che non mi restino molte parti da cantare, nel mio repertorio".

Purtroppo la critica, nel trattare l'arte di Bastianini, si soffermò quasi esclusivamente sulle sue incisioni in studio per la Deutsche Grammophon, captate proprio nel periodo suddetto. Ora in queste registrazioni Bastianini ha momenti molto belli (la romanza del Conte di Luna, amorevolmente condotta da Serafin, è tra questi), ma la genericità interpretativa è reale e incontestabile.

Il vero Bastianini, quello pieno di sacro entusiasmo per il canto, quello che ci credeva, è da cercarsi nei live, o anche nelle incisioni in studio, degli anni precedenti. Con questo non posso affermare che il Senese fosse un esempio di introspezione o di raffinatezza psicologica alla Fischer-Dieskau, ma in tanta parte del suo repertorio, dalla follia di Bolkonskij all'esaltazione sospesa tra angélisme e demonismo del suo Athanaël, il grande Ettore fu un interprete sincero e applicato.

Forse hanno ragione quelli che sostengono che non fosse un cantante verdiano. La voce prima di tutto era squisitamente lirica, e il colore scuro, probabilmente causato da un problema di passaggio ereditato dall'errata classificazione quale basso, sommato alla robustezza naturale dei mezzi, lo portarono a affrontare troppo presto un repertorio rischioso. Va aggiunta a questo anche la mancanza di eroismo e di crudeltà nel tratto vocale, sottolineata a suo tempo da Eugenio Gara: e questa gentilezza d'impostazione psicologica e vocale gli rendeva difficile l'espressione dei passi più corruschi di un Conte di Luna o di Nabucco, tanto da dover farlo ricorrere ad artifici veristeggianti molto lontani dalla sua personalità artistica.

Credo sia nei ruoli di vittima, o di "santo". che Bastianini abbia dato la prova migliore di sé: prendiamo, nel repertorio verdiano, il ruolo di Posa: Rodrigo, visto da Bastianini, è una vittima designata e acquiescente. C'è una voluttà fatalistica nella mezza voce costante con cui viene tratteggiato il contrappunto del quartetto: "Che per la Spagna un uomo mora..." ; non ci sento la resistenza titanica dell'eroe romantico, ma l'anima imbevuta di un piacere quasi narcisistico per l'estremo sacrificio. E così la scena finale, già fondamentalmente risolta a Firenze nel 1956, trova un Bastianini in stato di grazia con Von Karajan nel 1958: tra tutti i baritoni che ho potuto ascoltare dal vivo o in disco in questa scena, solo Bastianini mi ha saputo rendere le inflessioni affettuose e malinconiche del recitativo e della prima romanza ; quando dice "Son io mio Carlo" Bastianini usa, stranamente, ma non del tutto, lo stesso colore impastato di amore e lacrime con il quale Athanaël consola Thaïs nel deserto. Perché il Posa di Bastianini è questo: l'amico di Carlo, eroe per la Fiandra soltanto per la sovrapposizione dell'Infante con essa. Anche il Carlo V dell'Ernani suona, nella voce di Bastianini, come una vittima sacrificale, una specie di santo filosofo: ed è in ginocchio di fronte alla tomba di Carlo Magno che il suo personaggio prende un involo sublime: "O sommo Carlo", sfiorato con quella misteriosa mezza voce intrisa di luce e malinconia. Un Taddei o un Cappuccilli sono indubbiamente più a loro agio nella tessitura drammaticamente impervia di questo ruolo da mezzo-tenore, ma la mitezza di canto del Senese gli dona una luce assai diversa.

Uno dei momenti più significativi dell'arte di Ettore Bastianini rimane il canto notturno del Principe Andrea nella versione italiana di Guerra e Pace di Prokofiev: lirismo, dolcezza, istinto della linea musicale correttamente divisa in arsi e tesi ; il lavoro di un grande artista. E così l'allucinata scena della morte, con ricorso ad effetti realistici che con il verismo all'italiano hanno poco a che spartire.

Non ho mai fatto menzione alle qualità della voce, in sé e per sé, e alla sua bellezza obiettiva, semmai sia accettabile questo ossimoro. Io credo che Bastianini sia rimasto, alla lunga, vittima di quella bellezza timbrica, sul duplice altare di un narcisismo innocente e del pregiudizio comune.


Caro Aristecmo,
ti ringrazio. Finalmente parole per Bastianini che non siano di dileggio, sufficienza o esaltazione acritica, ma appassionate ed insieme equilibrate. In alcuni punti hai colto molto bene nel segno; il rapporto tra vita privata e arte è stato probabilmente un po' snaturante per una valutazione pacata di Bastiano. Comunque grazie. FRITZ
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Re: Gobbi, Bastianini e la corda di Baritono

Messaggioda Aristecmo » ven 01 ott 2010, 23:18

FRITZ KOBUS ha scritto:Caro Aristecmo,
ti ringrazio. Finalmente parole per Bastianini che non siano di dileggio, sufficienza o esaltazione acritica, ma appassionate ed insieme equilibrate. In alcuni punti hai colto molto bene nel segno; il rapporto tra vita privata e arte è stato probabilmente un po' snaturante per una valutazione pacata di Bastiano. Comunque grazie. FRITZ


Caro Fritz, grazie delle tue parole. Non ho capito però se quando parli di valutazione pacata di Bastiano tu ti riferisca a quanto da me scritto o al modo in cui la sua carriera e la sua biografia sono state trattate in questi ultimi quarant'anni.
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Re: Gobbi, Bastianini e la corda di Baritono

Messaggioda FRITZ KOBUS » ven 01 ott 2010, 23:54

Aristecmo ha scritto:
FRITZ KOBUS ha scritto:Caro Aristecmo,
ti ringrazio. Finalmente parole per Bastianini che non siano di dileggio, sufficienza o esaltazione acritica, ma appassionate ed insieme equilibrate. In alcuni punti hai colto molto bene nel segno; il rapporto tra vita privata e arte è stato probabilmente un po' snaturante per una valutazione pacata di Bastiano. Comunque grazie. FRITZ


Caro Fritz, grazie delle tue parole. Non ho capito però se quando parli di valutazione pacata di Bastiano tu ti riferisca a quanto da me scritto o al modo in cui la sua carriera e la sua biografia sono state trattate in questi ultimi quarant'anni.


Mi sono espresso con troppa fretta. Penso che tu abbia detto cose giuste e in modo pacato, ma mi riferivo alla necessità di pacatezza che sarebbe stata necessaria quando, da un lato, si esaltava Bastianini senza scorgerne i pur chiari limiti e, dall'altro, cosa ancor più grave, si dileggiava, inserendolo in quella famosa scuola del muggito che, secondo chi aveva coniato questa espressione per indicare una certa categoria di esecutori, accomunava cantanti tra loro assolutamente diversi. Lo scavo nella vita privata e nel rapporto di questa con la vita artistica di Bastianini può darsi che abbia troppo spostato l'attenzione dal "cantante" all' uomo in modo da snaturare un po' un "pacato", nel senso di ponderato, giudizio critico. Spero di essere stato più chiaro. Un saluto. FRITZ
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