da stecca » mer 24 ott 2007, 18:18
“Gemma di Vergy” di Donizetti
(Prima rappresentazione: Teatro alla Scala, 26 dicembre 1834)
Edizioni in CD;
1) Myto: live Napoli, 12.12.75
(Gatto, Caballé, Bruson, Casellato-Lamberti, Rinaudo)
2) PA: live Barcellona, 20.01.76
(Gatto, Caballé, Sardinero, Lima, Pons)
3) CBS: live New York (C.H), 14.03.76
(Queler, Caballé, Quilico, Lima, Plishka)
4) Rodolphe: live Parigi (S.P), 20.04.76
(Gatto, Caballé, Sardinero, Lima, Pons)
5) Gala: live Bergamo, 07.10.87
(Gert, Maliponte, Garaventa, Ferrin)
Gaetano Donizetti, forse il più “prolifico” autore d’opera della nostra storia, aveva 37 anni quando nel 1834 gli venne commissionata dalla Scala di Milano la consueta opera “dicembrina”.
L’anno precedente infatti vi era stato il grande successo di “Lucrezia Borgia” (dicembre 1833), successo “dicembrino” che sarebbe stato replicato anche l’anno successivo con “Maria Stuarda” (dicembre 1835), ovvero solo 3 mesi dopo la straordinaria prima napoletana di “Lucia di Lammermoor” (settembre 1835) opera che rimane tutt’oggi il suo lavoro di gran lunga più rappresentato e popolare insieme alle buffe Elisir e Don Pasquale.
“Schiacciata” quindi tra “colossi” come Lucrezia, Stuarda e Lucia la reietta Gemma (nome di fantasia tratto da una poco nota piece di Dumas (“Carlo VII” ove la protagonista femminile si chiamava Berangere) non si può dire che trovasse la strada sgombra e perdippiù tale lavoro non nacque certo sotto i migliori auspici.
Il librettista prediletto di Donizetti, il noto Felice Romani (che era pure il librettista di fiducia di Bellini) decise sostanzialmente di “andare in pensione” e quindi si dovette ricorrere a tale Bidera, ma anche i principali cantanti di allora risultavano, chi per un verso chi per l’altro, impegnati altrove (Malibran e Duprez a Napoli, Donzelli a Venezia, Persiani a Genova, Grisi, Rubini, Tamburini e Lablanche a Parigi etc.), in pratica solo la celebre Giuditta Pasta era “milanese” ma dopo avere dato una scorsa alla parte di Gemma, decise di....tirarsi indietro.
A quel punto Donizetti si ricordò di Giuseppina Ronzi un soprano per il quale aveva scritto 3 anni prima “Fausta” (e che 4 anni dopo sarà Elisabetta nel “Roberto Devereux”) e così la Ronzi fu ingaggiata per la prima scaligera di Gemma di Vergy unitamente al tenore Reina (già Arturo della Straniera belliniana), al baritono Cartagenova (già Filippo nella Beatrice belliniana), ed al giovane basso Marini (che sarà poi scelto da Verdi per Oberto e Attila).
La vicenda è naturalmente tragica, il soprano Gemma, avvertita dal fratello (il basso Guido) di essere stata ripudiata dal marito (il baritono Conte) per infertilità a favore della giovane Lisa (mezzo-soprano), assolda, in preda alla gelosia, lo schiavo Tamas (tenore) da sempre innamorato di lei, per uccidere il consorte, ma a misfatto compiuto Gemma diventa “pazza” e Tamas si uccide nella generale riprovazione dei più.
L’opera ebbe un successo incredibile e divenne per alcuni anni una delle opere più rappresentate al mondo (la canteranno anche la Grisi, la Pantaleoni, la Boccabadati et similia fino alla Frezzolini ed alla Barbieri-Ninni, tra i tenori si segnalano Guasco e Tamberlick e tra i baritoni anche Varese il beniamino di Verdi).
“Gemma di Vergy” fu anche tra gli ultimi lavori seri donizettiani a cadere nell’oblio novecentesco, giacchè la sua ultima rappresentazione avvenne a Empoli nel 1901, quando già le varie
Bolene, Belisario, Torquato e Parisine erano uscite da tempo dal repertorio teatrale.
Quando negli anni settanta la cd. “belcanto renaissance” (a seguito del noto ciclone Callas e di quella celebre fioritura di memorabili belcantiste che rispondevano al nome di Sutherland, Gencer, Sills, Scotto etc.) imponeva di scoprire almeno un’opera dismessa all’anno, il Teatro San Carlo di Napoli decise di aprire la stagione 1975-76 con la prima moderna di “Gemma di Vergy” e per l’occasione scritturò quella che allora era la fuoriclasse di quel repertorio (Montserrat Caballè, che peraltro aveva già superbamente riesumato la grande entrata tripartita di Gemma nel recital RCA di rarità del 1968), un giovane ma già affermato baritono (che aveva già cantato molto Donizetti con altra donizettiana doc Leyla Gencer) Renato Bruson ed un tenore che si prestasse a cantare l’ingrato ruolo di Tamas e la scelta cadde su Giorgio Casellato-Lamberti, mentre la direzione fu affidata ad un direttore “indicato” dalla senòra alla quale in fondo toccava il ruolo più ingrato, ovvero Armando Gatto.
A Napoli tuttavia le cose non andarono proprio per il meglio, la Caballé, che oltretutto in quegli anni cantava come una forsennata ovunque e di tutto, si ammalò e saltò la prima rappresentazione, la registrazione della serata successiva del CD Myto non la presenta certo al massimo della forma, a parte il memorabile sestetto del finale atto primo che scatena un entusiasmo incredibile nel pubblico in sala fino ad imporre un improbabile bis, ma poi il difficilissimo ruolo di Gemma venne più elaborato e perfezionato e così dopo le rappresentazioni al Liceu (con un giovanissimo Pons scritturato nel ruolo da basso di Guido), la Caballé porterà “Gemma di Vergy” in versione da concerto prima a marzo alla sua abituale Carnegie Hall, ove si riformerà il magico binomio con Eve Queler della donizettiana Parisina di due anni prima, e che rimane tra le quattro la sua esecuzione più riuscita (eccettuato qualche acuto a piena voce un pò metallico che già cominciava a fare capolino a forza di abusare nei pianissimi....), e quindi ad aprile alla Salle Pleyel di Parigi sostanzialmente con il cast di Barcellona, e sempre con il giovane tenore spagnolo Luis Lima nel ruolo impervio dell’innamorato Tamas.
Dismessa dalla Caballè, oramai sempre più votata al repertorio spinto, nessuno ha più voluto sobbarcarsi l’onere di mettere in piedi una opera di tale difficoltà e di così scarso richiamo, ci provò solo il Festival donizettiano di Bergamo nel 1987, ma era evidente che, con tutto il rispetto per Adriana Maliponte, in assenza di una grande Gemma dall’accentuato carisma vocale, un’opera del genere, che non appartiene al novero di opera che “corre da sola” come Lucia o Favorita, perdesse almeno tre quarti del suo valore, e quindi possiamo dire che ai giorni nostri (in attesa magari che ci faccia un pensierino la Devia o la Teodossiu che magari finalmente azzecca un ruolo donzietiano...) Gemma di Vergy sia di nuovo caduta in totale oblio, ed è un gran peccato perchè, se ben eseguita, è semplicemente meravigliosa e di rara forza drammatica, forse una delle più belle in assoluto di Donizetti, parlo ovviamente per gli amanti del “belcanto”.
Il ruolo di Gemma, personaggio fondamentalmente malvagio, è a dir poco vocalmente arduo ma pare scritto a bellaposta per creare il trionfo della primadonna ispirata giacchè alterna momenti lirici a passi più scopertamente drammatici, e in questo si può ben capire come una interprete brava in Stuarda e in Devereux come la Ronzi potesse rendere appieno anche Gemma, a differenza di altri ruoli donizettiani più soavi e malinconici, tipo Lucia, Alina o Linda, più adatti magari ad altra tipologia di voce.
Non a caso la Ronzi, si ripete prima Gemma assoluta, sarà tra le poche cantanti ad eseguire tutte e tre le regine della cosiddetta trilogia Tudor tanto cara a Leyla Gencer, giacchè canterà anche Anna Bolena, oltre che Fausta e Paolina di Poliuto, ruolo riscoperto da Maria Callas, non a caso dopo quello di...Bolena.
Occorre quindi un soprano belcantista (non si prescinde dalla giusta tecnica) dotato di vis drammatica perchè altrimenti il personaggio non viene fuori, e così come in Stuarda, ove è necessario tirare fuori tutta la grinta possibile nel celebre duetto con Elisabetta “Figlia impura” o nel Devereux nel duetto con Nottingham “Alma infida, ingrato core”, anche nella Gemma arriva il secondo quadro del secondo atto ove avviene l’incontro infuocato e decisivo con la rivale Lisa “E’ dessa in mio potere” ove l’astuto Donizetti ha previsto il classico sbalzo di ottava di effetto che obbliga il soprano a declamare in forte l’acuto di alla ragion del forte per poi scendere di colpo nel registro grave di ciascuno obbedirà, vedi anche "scender vivo nel sepolcro" di Devereux.
Sempre in questa grande scena (forse il momento clou di tutta l’opera) si vede ben chiaro dove risieda la grande difficoltà vocale, ma anche la straordinarietà drammatica, del ruolo di Gemma.
Gemma arriva travisata per non farsi riconoscere da Lisa e canta tra sè e sè in una sorta di crescendo sinistro e un pò presago (La mia rivale!, Parla fra sé! Che dice? Quanto è misera Gemma....Ei l'ama? Oh, gelosia!), quindi, dopo un duettino fittizio (E questa convenevole vesta al nero stato del dolente mio core) si disvela con una rabbiosa nota tenuta con l’orchestra che scatta all’unisono al sorger della fatale domanda di Lisa (Uscir da queste soglie a te chi vieta?) che esplode con un memorabile "Di Vergy la moglie".
Poi afferra la rivale dovendo eseguire seduta stante una micidiale semicabaletta belcantista di bravura velocissima (Non fuggir che invano il tenti, rea cagion de' mali miei) fino all’arrivo prima del consorte e quindi persino del suo innamorato Tamas, e la scena diventa incredibile giacchè prima Gemma minaccia di uccidere Lisa, quindi il Conte chiede pietà tipo Pollione nel finale atto primo di Norma, quindi Tamas disarma Gemma, ed infine tutti cantano insieme la bellissima stretta (Quella man che disarmasti ti die' vita, o schiavo ingrato; la tua destra, o sciagurato) che si chiude con il solito Re acuto per il soprano (vd. Bolena), e che dovrebbe trascinare il pubblico ad un applauso sfrenato, mentre si consuma a piena voce la tragedia in scena, con il sipario che parte...
La restante parte dell’atto secondo poi è tutto di Gemma che deve sottoporsi ad un tour de force vocale che non credo abbia tanti paragoni e immagino che fosse per questo motivo che la Caballé usava dire allora che “cantare una Gemma equivaleva a tre...Norme”.
Sta di fatto che si comincia col classico recitativo carezzevole (Tutto tace d'intorno e sol rischiara dalla notturna face un debol raggio) con l’orchestra semi-silente stile ingresso di Anna in Bolena, tuttavia invece dell’atteso cantabile arriva Tamas e parte un duetto straordinario con la celebre "Non è ver: non è quel tempio schiuso a rito nuziale" (pezzo bellissimo) che prende davvero un “ritmo” coinvolgente, fino alla solita stretta "Va', ti attendo: seguirti s'io pieghi tu per forza mi strappa, mi traggi" e debbo dire che un pochettino tutta questa scena mi ricorda il duetto finale Ermione-Oreste del celebre capolavoro di Rossini guarda caso eseguito a Pesaro proprio dalla Caballé.
Poi Gemma resta sola (Eccomi sola alfine...) e parte una bellissima invocazione semi-declamata fino alla invettiva furiosa "Da quel tempio fuggite, angioli tutti, voi! terra, spalanca" ed ancora si percepisce una certa analogia con Ermione.
Attenzione perchè qui Gemma sta diventando pazza ma Donizetti descrive una pazzia ben diversa da quella di Bolena, la regina arriva in scena trasognata e già impazzita ed è un pazzia “da buona” tipo anche Lucia, Gemma invece impazzisce “da cattiva” e quindi occorre ben altro accento rispetto a Bolena o Lucia, quando ecco che di colpo tutto si assopisce ed arriva la rituale aria donizettiana di quelle che si dovrebbero cantare sdraiate e che alla fine tutti dovrebbero piangere di commozione, anche perchè l’arioso “un altare ed una benda” non ha nulla da invidiare alle più famose “Al dolce guidami” o “Vivi ingrato”, è un aria semplicemente meravigliosa e se la si canta tutta sul fiato e in piano legato, l’effetto è di quelli che ti lasciano appunto senza...fiato. Quella furbacchiona della Caballé ben sapeva che poteva anche pasticciare nel primo atto (tipo Napoli) perchè tanto verso il finale sarebbe comunque arrivato il momento magico (l’aria infatti è strepitosa in tutte e quattro le edizioni).
Poi accade il patatrac e la cabaletta finale col dacapo "chi mi accusa, chi mi grida" è molto particolare, mi ricorda un pochettino quella di Stuarda "Ah se un giorno" giacchè ha l’attacco in piano ed il crescendo in forte e gli acutazzi finali a pieni polmoni su coro e orchestra con tanto di brevi abbellimenti ricorda di molto anche il finale di Elisabetta del Devereux del "sangue versato".
Insomma una meraviglia, ascolti e vivi l’effetto della vicenda, in questo Donizetti, non sarà un raffinatone, ma a volte sa essere un teatrante musicista come pochi.
E non ho parlato del primo atto che oltre alla superba entrata di Gemma (Nuove contese, una voce al cor d’intorno, egli riede oh lieto istante) presenta un notevole duetto straziante Gemma-Guido dove la sorella apprende del ripudio maritale (Dio pietoso! Ah! tu ben sai quanto amai lo sconoscente!) e dove c’è una bellissima romanza baritonale del Conte (Ah! nel cuor mi suona un grido) e infine tutto il gran finale di atto che ricorda il superbo finale atto primo di Bolena tra cui il già citato e meraviglioso sestetto lento "fuggì l’ira dal suo petto" che ricorda un pochino il celebre concertato di “Lucrezia Borgia”.
Anzi in realtà il Conte ha due arie baritonali straordinarie (ecco perchè si chiamò Bruson a Napoli...) perchè nel secondo atto al primo quadro, dopo il duetto con Guido, il Conte ha la seconda romanza "Ecco il pegno ch'io le porsi!"...ma anche le due romanze scritte per tenore e basso che cantano nel primo atto rispettivamente Tamas (Mi togliesti a un sole ardente ai deserti, alle foreste),e Guido (Ah! chi mai per tal sciagura chi non piange di dolor?) potrebbero decretare il personale trionfo di un bravo cantante.
In conclusione quindi con quattro cantanti fuoriclasse Gemma di Vergy avrebbe il giusto tributo di autentico capolavoro di belcanto donizettiano doc, ma anche con tre discreti professionisti ed un grande soprano, seppur non più al top della sua forma, tale opera a me è arrivata eccome, ve ne consiglio quindi l’ascolto ed in specie del CD CBS, perchè temo che per risentire in modo decente questa straordinaria opera che un dì ebbe tanto successo, non ci sarà più occasione.