Carissimi,
con qualche giorno di ritardo tenterò una risposta cumulativa a Ric e Pruun.
Inizio da quest'ultimo.
Vedi, Pruun,
io fin dall'inizio di questo thread avevo espresso la sensazione di non spiegarmi bene: era come se le parole non prendessero mai la forma del mio pensiero.
Il termine "solare" è quello che evidentemente si presta ai maggiori fraintendimenti, ne sono consapevole.
Solitamente infatti si usa per indicare qualcosa di positivo, di sorridente, di pulito, di chiaro e semplice.
Io invece avevo usato questo termine solo per contrasto col termine "notturno" e in una chiave più ampia.
Il "solare" del razionalismo permette la visione delle cose e dei loro confini.
Quindi la consapevolezza, tipica dell'illuminismo, che il mondo si circoscrive a quel che vedi.
Senza andare oltre alle cose visibili, senza bisogno di spingerti alle profonde ragioni morali, il Bene e il Male, ecc...
Al contrario della notte (romantica), in cui le cose che vedi hanno meno importanza, anzi... ne apprezzi proprio le oscurità e i buchi d'ombra, perchè quello che cerchi è oltre: oltre alla vita, oltra alla materia, ecc...
Questo ovviamente non vuol dire che la drammaturgia "solare" di Rossini non preveda personaggi cattivi, reazioni contraddittorie... e che tutto sia una favoletta semplice.
Anzi: è proprio il contrario.
Pruun ha scritto:Però, caro Mat, io non sono completamente d'accordo sulla solarità di Rossini.
Non credi che una personalità complicata e, perché no?, complessata come la sua si senta ogni tanto, anche nei ruoli Colbran?
Vedi, questo è esattamente quello che penso io.
Lui i personaggi li guarda con razionalistico distacco: non li vede in relazione al Bene o al Male; li vede nella loro complessità e contraddizione tipicamente umana e materiale.
Più un drammaturgo (sia pure musicale) osserva i personaggi fuori dalle sovrastrutture morali o ultra-umane, più li potrà analizzare nella loro vera e contraddittoria psicologia.
Tu scrivi:
non ti pare denso di inquietudine il 'Bell'alme generose', con quella coloratura così liquida, eterea, quasi un cupio dissolvi e la cabaletta, fulminea, velocissima, 'Fuggi amor', come se Elisabetta cercasse di convincere se stessa di essere in grado di rinunciare a un amore così bruciante?
Certo che sì. Ottimo esempio della libertà psicologica di Rossini, della sua capacità di analizzare le tipiche contraddizioni dell'anima senza applicarvi sovrastrutture metaficisiche, etiche e romantiche.
Prova a vedere quanto avevo scritto nei precedenti post, e vedrai che avevo tentato di dire proprio quello che tu dici
Dell'illuminismo, oltre al culto della forma, trovi anche il distacco morale, cinico, disinibito e, al posto di buoni sentimenti (ridotti a moncherini), si insinuano la pazzia e la spregiudicatezza.Altrove dicevo:
I Colbran, per restare nella metafora, tengono una direzione orizzontale.
Il bene e il male, in un'ottica materialistica, non esistono in assoluto. I personaggi sono architettonici e psicologici, non orientati a superiori concetti di Bene o Male.Ma soprattutto ho scritto:
Nel Rossini napoletano ho sempre la sensazione che si parta dal personaggio per arrivare alle sue reazioni; è una logica "psicologista" (scusa l'anacronismo).Come vedi il tuo esempio di Elisabetta si adatta perfettamente a tutto quello che avevo sritto io.
I personaggi sono analizzati e presentati solo in qualità di "psicologie" che possono anche contorcersi e contraddirsi (la pazzia e la spregiudicatezza) perché così è l'uomo, visto con spirito razionalista e materialista.
Io, personalmente, troverei molto più stimolante la ricerca di questi sottesi, non scritti, a volte tragici, che mi presentano il Rossini serio in una luce molto meno "rassicurante" (passami il termine) di come ne parli tu.
Vedi che non hai capito quel che non sono stato in grado di spiegare?
Ti pare "rassicurante" una fredda visione del mondo senza finalismi? Senza bene e senza male?
Ne parlavamo a proposito del Don Giovanni: rassicurante era per i Romantici tagliare il sestetto finale!
Il cattivo va all'inferno: questo è rassicurante.
Norma arde sul rogo la sua colpa; sublima sul rogo il suo amore.
Questo è rassicurante.
Se amo il materialismo rossiniano è proprio perché rassicurante non è mai (tranne, un po', quello francese).
Veniamo a Ric
Riccardo ha scritto:Ma Matteo, a volte fatico con te a esprimere concetti mediani, evidentemente sono troppo brusco e sintetico. Il fatto che io avanzi dei dubbi sulla perfetta funzionalità della classificazione per creatori dei ruoli, non significa per nulla che discuta alla base questo tipo di approccio... Tantomeno questo sarebbe possibile dopo che in altro thread ti ho appena ribadito l'interesse che mi suscita capire per chi è stato pensato un determinato personaggio e le associazioni che ne derivano.
Il problema di questi dibattiti è proprio questo (anche per me, non solo per te).
Si sposano delle tesi e, a causa della difficoltà di sostenerle dialetticamente, si estremizzano.
Ma come dicono i miei idoli di South Park "una verità da sola non è mai la sola verità" (per inciso questa frase è anche quella che vorrò incisa sulla mia lapide!)

Torniamo entrambi da capo e cerchiamo di riprendere le fila del discorso.
Tutti i ruoli sono diversi fra loro.
Mimì non è Liù, Semiramide non è Alcina, Norma non è Amina, Maria Stuarda non è Fuasta.
Non mi sono mai permesso di negarlo.
anche gli animali sono tutti diversi tra loro: un gatto non è una lince, la lince non è uno scorfano.
Inoltre non c'è un gatto che sia uguale a un altro gatto (e tutti i gattari del forum, come me, non potranno che sottoscrivere).
si può continuare così all'infinito e avremmo ragione: il principio di identità è un po' un'utopia in tutte le cose.
Però il nostro metodo conoscitivo ci impone di operare sintesi e classificazioni, senza le quali non ci sarebbe conoscenza.
Siamo noi (arbitrariamente) a decidere il concetto di "gatto", fondandoci su affinità (tra i gatti) e differenze (gli altri animali).
Nel caso dei "repertori" è la stessa cosa.
Noi abbiamo bisogno di classificare i personaggi, perchè in questo modo possiamo non solo studiare i personaggi stessi (sulla base delle loro caratteristiche, delle loro affinità esplicite o nascoste), ma soprattutto orientare i cantanti su un certo tipo di ruolo.
Tutto sta nel decidere sulla base di quali elementi (quali affinità e differenze) distingueremo le nostre "specie".
Tanti anni fa (a partire dalla prima guerra mondiale e talvolta fino a oggi) la regola erano le caratteristiche narrative e psicologiche di un personaggio.
Ad ogni tipo di carattere si dava un tipo di voce.
Mimì, sei buona e tenera? Hai una voce chiara e delicata.
Lady Macbeth, sei cattiva e ambiziosa? Hai una voce grande, possente e scura (magari anche grave e mezzosopranile).
Otello, sei un guerriero e un uxoricida? Hai una voce cupa, possente, tragica.
Egardo, sei un amante romantico? Hai una voce chiara, flessibile, delicata.
I limiti di questo sistema (le cui fondamenta sono ravvisabili anche nella posizione da te espressa: Amina e Norma sono incompatibili) sono sotto gli occhi di tutti.
Mimì è stata ridotta a una sciacquetta al mascarpone.
Lady macbeth è stata per decenni sbraitata e devastata da sopranoni e wagneriane.
La vocalità aulica, cavalleresca e meyerberiana di Otello è divenuta terreno di conquista di declamatori e boxeurs destinati a sgolarsi perché fuori parte.
Edgardo - che sarebbe il ruolo più "malato" e tormentoso che Donizetti e Cammarano abbiano dedicato a un Duprez, il simbolo del "grido di disperazione" del nuovo eroe romantico - è stato affidato alle buone maniere di stilizzatissimi signori "di una volta".
io credo che sia sbagliato procedere in questo modo.
Per creare le nostre classificazioni sarebbe meglio evitare la natura psicologica di un ruolo (l'esempio che di facevo della "nostra" Lady Macbeth alla Sumi Jo) e imparare a leggere di più le note... con lo stesso stistema selettivo (affinità e differnze) che si usa per classificare le specie animali.
Anche per "sintetizzare" l'indoeuropeo (sto banalizzando) gli studiosi inventarono la "linguistica comparata".
Ossia hanno preso tutte le lingue derivate dall'indoeuropeo e ne hanno evidenziato gli elementi ricorrenti.
Quegli elementi comuni (le affinità) erano indoeuropei.
Eh certo, Ric, che c'erano anche le differenze! Ovvio! Ma sono le affinità che contano per definire una classificazione.
Lo stesso dovremmo fare noi per le nostre classificazioni.
Pure nelle loro differenze, Amina e Norma NON POSSONO CHE avere elementi comuni (il mondo del librettista, il mondo del compositore, il mondo del creatore) e sono proprio quelli che dobbiamo "stanare" per arrivare a concepire la nostra "sintesi", anzi la nostra "specie": IL RUOLO PASTA.
Poi è chiaro che ci sono anche delle differenze (il principio di identità è utopico; un gatto non è un altro gatto; Amina non è Norma), ma se vogliamo capire come si canta un ruolo Pasta (e come lo si dovrebbe proporre al pubblico) dobbiamo riflettere sulle "radici indoeuropee".
Una volta trovati i punti di contatto, l'interprete di oggi potrà darvi anche la sua personale realizzazione; ma deve essere valida ogni qual volta quei punti di contatto si ripresentano, di ruolo in ruolo.
La Sutherland, ad esempio, è stata, dopo la Callas, la maggiore "pastiana" del nostro secolo.
Però della Pasta non aveva probabilmente nè la voce, nè la personalità. Io credo nemmeno la tecnica (una Pasta così monocromatica non me la vedo).
Però la sua "risposta" ai ruoli pasta (ossia alle caratteristiche che legano i ruoli pasta) è stata convincente, tanto che le potè riproporla per Norma, Beatrice e Sonnambula.
Bolena? Se l'avesse fatta al punto giusto sarebbe stata - secondo me - grandiosa.
Mentre Stuarda....avrebbe fatto bene a evitarla(e scusate la mia eresia: anche Lucia!)
Ovviamente secondo me... e nei limiti di una (sono perfettamente d'accordo con te) semplificazione del problema.
Ric ha scritto:MatMarazzi ha scritto:Per te Anna Bolena è sorella di Norma e Amina?
Assolutamente sì.
Ma perché sai che le ha create entrambe la Pasta o perché trovi che ci siano davvero dei fili che le collegano? Ma devono essere fili che vanno oltre i caratteri generali del Romanticismo...Non c'è bisogno di sapere che sono ruoli Pasta per capire il contesto culturale in cui sono nate; basta sapere un po' di storia e sentire com'è diversa la musica di Bellini rispetto a quella di Rossini o Strauss.
Elisabetta e Maria Stuarda, ma anche Gemma di Vergy e Fausta, sono vittime e artefici del male in cui si avvoltolano, si tendono e si contraggono nella vergona e nell'odio. Il loro canto è contraddittorio, alterna l'impotenza attonita e con la rabbia e la paura.
Anna Bolena (pur altrettanto dissociata) non subisce e non reagisce. L'unica sua reazione consiste nell'astrarsi e nel sublimarsi fino alla sua "negazione del mondo".
La voce la porta lontano...
In "Alfin sei mio" hai i brividi... In "Non vi sia chi dica in terra" hai i brividi...
mentre in "Al dolce guidami" e in "Ah non credea" provi come un senso di pace, sei cullato da un canto che si disperde nell'orizzonte.
La dimensione in cui si muove Anna Bolena non è quella della furente e disperata regina del dolore.
E' una vocazione di astrazione, di abbandono, di transumanazione nel sogno e nel delirio, alla ricerca di un'altra realtà.
Questo (più che il vocalismo) è l'unico punto sul quale uno schopenaueriano come Wagner può essere rimasto colpito da Bellini.
"Ah non credea" "Qual cor tradisti" "Al dolce guidami" e tutto il finale di Beatrice sono - a modo loro - dei piccoli Liebestod.
I ruoli Ronzi non c'entrano molto, mi pare.
Pensi che la Callas sarebbe stata la Corinna del secolo?
ASSOLUTAMENTE SIIIIIIIII!
E pure la Sutherland.
La Gasdia (bravina e simpatica fin che vuoi) ha tradito completamente la dimensione del personaggio, quell'anelito estetico-metafisico che dovrebbe caratterizzarlo, quella natura di simbolica e romanticissima "musa dell'arte" che Rossini (non si sa fino a che punto ironicamente) le aveva cucito addosso.
Più elevato, più sublimante di così!!!!
Chiudi gli occhi e immaginati la Callas entrare in scena avvolta da un peplo e con una ghirlanda di alloro.
Oppure prova a sognare i flussi sonori smaterializzati della Sutherland nella grande aria.
Salutoni,
Mat