Un Ballo in Maschera: Interpreti

cantanti, direttori, registi, scenografi

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Re: ma se m'è forza perderti...sei tenori a confronto

Messaggioda teo.emme » mar 01 apr 2008, 20:30

MatMarazzi ha scritto:Una parolina su Bergonzi.
Posso anche condividere le brillanti osservazioni (il virgolettato!) di Maugham e l'entusiasmo di Vittorio; posso anche riconoscere che, dietro quella desolante omogeneità, quell'inerzia da "impiegato" dell'opera, quella ritmica rudimentale ci sia una civiltà tecnica ben precisa, un portare alle estreme conseguenze ciò che alcuni pretendono essere "il" canto.
Sul valore che vogliamo dare a tutto questo è questione di gusti e di convenzioni.

Di fronte a quella civiltà tecnica, tanto di cappello.
Di fronte a chi la ama, il massimo rispetto.
Purché non mi si dica che... questo modo di porsi come interprete e come musicista corrisponde a ciò a cui Verdi aspirava, quando concepiva personaggi tra i più inquieti e moderni del repertorio, così carichi di contraddizioni, lacerazioni e sconfitte.
Il termine "verdiano" indica, credo per tutti noi, qualcosa di violento, di ribelle, di maledetto... non un paio di comode e sformate pantofole emiliane.


Il termine "verdiano" dovrebbe, innanzitutto, indicare nobiltà (di accento, fraseggio, interpretazione etc...). Non vedo però dove mai sarebbe quel "qualcosa di violento, di ribelle, di maledetto" in Verdi, che non è certo autore scapigliato. Nè trovo accenni baudelairiani nella sua estetica. Insomma quei termini li lascerei ad uso dei vari Jim Morrison e adepti... Ognuno la pensi come vuole, ma il mio Riccardo favorito resta Bergonzi (proprio per il suo canto aristocratico che , per me, è cifra irrinunciabile in Verdi), seguito a stretto giro da Pavarotti (in uno dei suoi ruoli migliori). Togliendo l'inclassificabile Alvarez, per me il peggiore resta il mediocrissimo e piagnucoloso Lima, quello sì grigio e noioso impiegato dell'opera.
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Re: ma se m'è forza perderti...sei tenori a confronto

Messaggioda pbagnoli » mar 01 apr 2008, 21:22

Tucidide ha scritto: Però, Mat, voglio farne una questione di carattere critico.
Io credo che, se vogliamo valutare con coerenza un cantante, o meglio, una sua performance, non possiamo prescindere dalla presa di coscienza del successo che un cantante riscuoteva nell'uditorio, magari trovandone le magagne, certo, ma tenendo ben presente la realtà.

E' per me errore ABNORME per un critico partire con l'idea di voler dimostrare che l'opinione comune sia forviante... Piuttosto, egli deve cercare di indagare i motivi che portano al successo (o all'insuccesso, o all'indiffrenza) più o meno grande di un'interpretazione. Insomma, credo in una critica descrittiva, non già normativa, che spieghi la storia del gusto e non pretenda di dettarne le regole. Un po' come la linguistica, rispetto alla grammatica pura e semplice. :D
In questo caso, se vogliamo contestualizzare ogni cantante nel suo momento storico, e valutare con serenità i loro contributi all'interpretazione del Ballo in maschera, non possiamo assolutamente negare che Pavarotti e Domingo siano stati per anni i Riccardo di riferimento del mondo. E il pubblico li adorava. Non li adorava per altri ruoli, magari, ma come Riccardo sì, ed entrambi. Che vogliamo fare? Vogliamo negare questo dato storico oggettivo?

Parli bene, Alberto. E dici cose non solo giuste, ma alla base di quanto di meglio c'è in questo sito, e cioè la valutazione di un cantante inquadrato nel contesto storico in cui venne fuori.
Infatti, in quest'ottica sono spiegabilissimi sia Domingo che Pavarotti, autentici cantanti da boom degli Anni Ottanta, gli anni dell'edonismo allo stato puro.
I conti invece non mi tornano con Bergonzi, secondo il mio personalissimo parere la base del più colossale equivoco sul canto verdiano, quello cioè che i ruoli del Genio di Busseto dovessero essere sussurrati e raccontati da un sedicente fine dicitore.
E l'idea che Riccardo sia un burocrate che incasella i propri sentimenti, mi fa venire i brividi.
Non c'è un personaggio verdiano - dico uno solo (ma esagero: forse c'è Fenton) - che si presti a questa interpretazione.
Se poi mi si dice che Bergonzi rispetta tutti i segni di espressione, le corone, le pause, le forcelle... be', allora posso essere d'accordo,
Se qualcuno sostiene che il rispetto di questi segni di espressione esaurisce l'essere verdiano, rispetto il suo parere (ci mancherebbe), ma insomma...
Aristocratico Bergonzi?
Aristocratico era Rosvaenge, santa pace! Vickers, era aristocratico!
Che c'azzecca il terragno Bergonzi con l'etica dello sconfitto, dell'eroe isolato di fronte al mondo?
"Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!"
(Arturo Toscanini, ai musicisti della NBC Orchestra)
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Re: ma se m'è forza perderti...sei tenori a confronto

Messaggioda VGobbi » mar 01 apr 2008, 23:48

pbagnoli ha scritto:
Tucidide ha scritto:Se poi mi si dice che Bergonzi rispetta tutti i segni di espressione, le corone, le pause, le forcelle... be', allora posso essere d'accordo,
Se qualcuno sostiene che il rispetto di questi segni di espressione esaurisce l'essere verdiano, rispetto il suo parere (ci mancherebbe), ma insomma ...

Che il canto di Bergonzi esaurisca l'essere verdiano, o meglio ancora e' l'unica strada possibile per affrontare determinato repertorio non l'ho mai affermato. Personalmente sono il fautore di qualunque linea interpretativa/vocale che riesca a toccarmi le corde dei miei sentimenti piu' remoti. Ci riesce questo Bergonzi, cosi' come ci riesce benissimo il Carreras scaligero (non quello postato sul video), quello di un Gigli oppure di un Tucker o di un sorprendente quanto trascuratissimo Picchi. Ne ho tracciato un elenco tra i piu' disparati ma che nel loro piccolo hanno donato un valore aggiunto per l'interpretazione del Riccardo verdiano. Chi ritiene che Bergonzi sia l'unico approccio per affrontare Verdi, non potrebbe MAI e poi MAi apprezzare un Picchi, ne' tantomeno un Vickers (farei carte false per sentire il suo Riccardo), cosi' come ritengo errato affermare che la tecnica vocale di un Vickers sia l'unica per rendere appieno la personalita' creata dal genio di Busseto.
Nemmeno noi siamo d'accordo con il gobbo, ma il gobbo è essenziale! Guai se non ci fosse!
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Re: ma se m'è forza perderti...sei tenori a confronto

Messaggioda MatMarazzi » mer 02 apr 2008, 1:40

Caro Tucidide,
anzitutto una premessa.
Ottavio Garavanta l'ho citato solo come risposta a una tua tesi che ritengo, permettimi, infondata.

Tu, infatti, ipotizzavi che noi fossimo più severi con Pavarotti rispetto a Lima perché conosciamo bene il primo e poco il secondo.
Ecco, se mi permetti, questa teoria per me non sta in piedi. :)
L'esempio di Garavanta serviva solo a dimostrare questo.
Ma avrei anche potuto dire che, dopo trent'anni che la ascolto, la Callas continua a sembrarmi una fucina di idee, intuizioni, soluzioni, esattamente come quando l'ascoltavo le prime volte.
Anzi... molto più adesso di allora.
Proprio perché da allora ho scoperto centurie di soprani che non hanno un decimo della sua inventiva e della sua profondità: più scopro nuovi cantanti, più giuro sulla grandezza della Callas.
Evidentemnte la tua tesi della "novità" non regge! :)

Gli elementi su cui fondare la valutazione di un'interpretazione operistica sono sempre quelli: potrà cadere l'effetto "sorpresa" della prima volta, ma non cade l'evidenza di ciò che un inteprete fa o ...non fa.
Che Pavarotti o Bergonzi, ad esempio, non siano in grado di valorizzare il ritmo, di variare i concetti, di suggerire sfumature di colore o di accento, di usare la mimica a fini espressivi, ecc... sono dati, che non cambiano, per quanti siano gli altri interpreti che - nel frattempo - abbiamo conosciuto.

Questa era solo una premessa ...sul caso Garaventa! :)
Ora veniamo agli aspetti più interessanti del tuo post.


Tucidide ha scritto:voglio farne una questione di carattere critico.
Io credo che, se vogliamo valutare con coerenza un cantante, o meglio, una sua performance, non possiamo prescindere dalla presa di coscienza del successo che un cantante riscuoteva nell'uditorio, magari trovandone le magagne, certo, ma tenendo ben presente la realtà.


:)
Noto che, forse ironicamente, citi quasi testualmente ciò che ho affermato in altri post.
Anche se il tuo intento è ironico, ne sono non di meno lusingato! :)

La contestualizzazione dell'interpretazione operistica (da giudicarsi diacronicamente, in relazione alle altre, e non sincronicamente) è da sempre una delle mie ossessioni, come tu sai bene!
Contestualizzazione, però, non significa "giustificazionismo".
Non significa che dobbiamo accettare tutto ciò che ci tramanda il passato senza osare metterlo in discussione.
Io ho solo detto, infatti, che vanno contestualizzati i "segni" (effetti, idee, soluzioni, sonorità) i cui significati variano nel tempo.

Un levare accentuatissimo (e rallentato) prima di una fragorosa ripresa del tema è oggi retorico e "old style", mentre negli anni 10 era un effetto di grande intensità emozionale.
Quando lo fa la Burzio in Norma lo dovremo interpretare come un'espressione di genuina emozione.
Al contrario, quando vi indugia - OGGI - Felicity Lott in Offenbach non possiamo che vedervi una goliardica spacconeria.
E' necessario, insomma, contestualizzare il segno per ...poter decifrare un'interpretazione.

Ma quando siamo in grado di dare al "segno" il suo giusto significato, dovremo servircene per giudicare.
Contestualizzare non significa affatto negare il giudizio, cedere le armi di fronte all'eco di una vociferata popolarità.
E soprattutto, che parliamo di interpreti di oggi come di ieri, la popolarità non va confusa con il valore artistico, come invece tu sembri affermare.

E' per me errore ABNORME per un critico partire con l'idea di voler dimostrare che l'opinione comune sia forviante...
(cut)
se vogliamo contestualizzare ogni cantante nel suo momento storico, e valutare con serenità i loro contributi all'interpretazione del Ballo in maschera, non possiamo assolutamente negare che Pavarotti e Domingo siano stati per anni i Riccardo di riferimento del mondo.


Il fatto è che (come tu sai benissimo) la popolarità, la celebrità, la notorietà non sono chiavi di valutazione artistica o estetica.
Al massimo sono un indizio, di cui tenere conto, su cui interrogarsi, importante - certo - ma non determinante in sede critica.
Mi rifiuto di considerare la Ricciarelli un'artista più grande della Gencer solo perché la sua carriera è stata nettamente più gloriosa, con presenze internazionali e discografiche incomparabilmente maggiori, con prime pagine di riviste specializzate, collaborazioni ai livelli più alti, presenze mediatiche spaventose.

Come tutti sappiamo, ci sono tanti elementi che decidono della popolarità di un'artista, a prescindere dalla sua reale bravura.

Che la bellezza del timbro e la facilità degli acuti (o un seno abbondante) possano essere un veicolo di popolarità è vero.
Ma non sono prove di valore artistico.

Che il firmare contratti con importanti agenzie e case discografiche possa essere un veicolo di popolarità è vero.
Ma non è prova di valore artistico.

Che il dedicarsi solo a "boheme" e "traviata" (opere bellissime, sia chiaro) paghi di più, in termini di popolarità, che studiare "Lulu" o "Tamerlano" è vero.
Ma non è prova di valore artistico.

Che puntare sull'interpretazione facile, confortevole, prevedibile, superficialmente sentimentale - dando al pubblico ciò che vuole - possa essere una via per la fama è ancora vero.
Ma non è prova di valore artistico.

Nel giustificare la popolarità di un artista dovremo tenere conto di tutti questi aspetti e di tanti altri ancora, fra cui ANCHE (in molti casi) l'effettiva forza di persuasione e il valore artistico, fermo restando che si può essere popolarissimi e non valere nulla.

credo in una critica descrittiva, non già normativa, che spieghi la storia del gusto e non pretenda di dettarne le regole. Un po' come la linguistica, rispetto alla grammatica pura e semplice. :D


:) Ancora una volta sono commosso da una lettura così scrupolosa di quanto avevo scritto altrove!
E tuttavia, ironie a parte, temo di essere stato frainteso.
Ribadisco che quando parlavo di "linguisti" e di "grammatici" io mi riferivo all'interpretazione dei segni.
Ossia mi scagliavo contro quelli che, sulla scorta di Celletti, giudicano il "segno" (anzi, la sua ortodossia rispetto a non si capisce quale vangelo) invece di valutarne l'efficacia teatrale e musicale, che invece dovrebbe essere l'unico elemento interessante in sede critica (essendo l'opera TEATRO e MUSICA).
Mi va benissimo una critica "normativa": senza norme - anzi, come amo dire io, convenzioni condivise - non si può esprimere un giudizio in nessun ambito.
Quello che non mi va bene è un critica che sia normativa sul "segno" dell'interpretazione (il suono) invece che sui contenuti teatrali e musicali. In questo caso è una critica ...scema! :) ovviamente secondo me!

Per fare un esempio di ciò che intendo, io sono in totale disaccordo con Celletti nella demonizzazione del canto aperto.
Per me, al contrario, è una conquista fondamentale del canto operistico.
...E ringrazio Di Stefano per aver esplorato e imposto con tanto coraggio questo tipo di sonorità.
Ma questo non può impedirmi di osservare, in sede "critica", che c'è un abisso fra i risultati teatrali e musicali da lui conseguiti e quelli di Martha Moedl in Isolde (che pure "apriva"), o di Fischer Dieskau nel Winterreise (che pure "apriva"), o di Victoria de los Angeles in De Falla (che pure "apriva").
Il segno non va giudicato di per sè (è questo l'errore di Celletti) ma come strumento di qualcosa.
E' quel qualcosa che dovremo giudicare.
Non so se stavolta sono riuscito a spiegarmi.

Altrimenti, si rischia di finire nella trappola in cui cadde zio Rudi, che negava storicità ed importanza al Cavaradossi di Di Stefano, perché era convinto di averne individuato tutte le mende, che a suo dire lo ridimensionavano a semplice "cadetto di John Ford". Peccato che si fosse dimenticato di un PICCOLISSIMO particolare... che il pubblico lo ADORAVA e lo adora ancora! Alla faccia di tutte le questioni su sopravvalutazione, demistificazione e cose simili...


Tu sai bene che io considero catastrofiche molte delle dottrine di Celletti e penosi molti dei suoi adepti.
Eppure mi guardo bene dal considerare un difetto il fatto che egli abbia avuto il coraggio di uscire dal coro, di sfidare i pregiudizi più radicati, di aver puntato il dito su aspetti che da decenni erano stati dimenticati e di aver aiutato il pubblico ad apprezzare cose che - senza di lui, questo è vero - non avrebbe apprezzato.
Questo era nel suo diritto e, in moltissimi casi, dobbiamo essergli grati tutti di averlo fatto.

VEdi, Tucidide...
Lo storico può permettersi di essere solo "descrittivo".
Il critico no!
E nemmeno l'appassionato! :)

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Re: ma se m'è forza perderti...sei tenori a confronto

Messaggioda MatMarazzi » mer 02 apr 2008, 1:43

VGobbi ha scritto:cosi' come ritengo errato affermare che la tecnica vocale di un Vickers sia l'unica per rendere appieno la personalita' creata dal genio di Busseto.


Caro Vit,
come potrai verificare rileggendo il mio post, io non ho affatto parlato di "tecnica vocale", ma di "porsi come interprete e come musicista".
Da questo punto di vista, Vickers è verdiano. Bergonzi no!
Il problema della tecnica è funzionale solo ai risultati drammatici e musicali a cui si perviene.

:)
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Re: ma se m'è forza perderti...sei tenori a confronto

Messaggioda Tucidide » mer 02 apr 2008, 10:57

MatMarazzi ha scritto:Tu, infatti, ipotizzavi che noi fossimo più severi con Pavarotti rispetto a Lima perché conosciamo bene il primo e poco il secondo.
Ecco, se mi permetti, questa teoria per me non sta in piedi. :)

Come avevo detto, la mia era, più che una tesi, una piccola 'malignità benevola' (se mi concedi l'ossimoro), per cui mi chiedevo se, essendo Pavarotti e Domingo cantanti universalmente definiti generici, non ci fosse un certo pregiudizio nei loro riguardi. Ma comunque, la tua riposta mi ha convinto. :)

Noto che, forse ironicamente, citi quasi testualmente ciò che ho affermato in altri post.
Anche se il tuo intento è ironico, ne sono non di meno lusingato! :)

Credimi, Mat, non ho alcun senso ironico. Quello che scrivo è davvero quello che credo io, e se gli esempi sono mutuati da tuoi post, è solo perché a quel riguardo trovo le tue immagini calzanti.

Il fatto è che (come tu sai benissimo) la popolarità, la celebrità, la notorietà non sono chiavi di valutazione artistica o estetica.
Al massimo sono un indizio, di cui tenere conto, su cui interrogarsi, importante - certo - ma non determinante in sede critica.
Mi rifiuto di considerare la Ricciarelli un'artista più grande della Gencer solo perché la sua carriera è stata nettamente più gloriosa, con presenze internazionali e discografiche incomparabilmente maggiori, con prime pagine di riviste specializzate, collaborazioni ai livelli più alti, presenze mediatiche spaventose.

Come tutti sappiamo, ci sono tanti elementi che decidono della popolarità di un'artista, a prescindere dalla sua reale bravura.

Che la bellezza del timbro e la facilità degli acuti (o un seno abbondante) possano essere un veicolo di popolarità è vero.
Ma non sono prove di valore artistico.

Che il firmare contratti con importanti agenzie e case discografiche possa essere un veicolo di popolarità è vero.
Ma non è prova di valore artistico.

Che il dedicarsi solo a "boheme" e "traviata" (opere bellissime, sia chiaro) paghi di più, in termini di popolarità, che studiare "Lulu" o "Tamerlano" è vero.
Ma non è prova di valore artistico.

Che puntare sull'interpretazione facile, confortevole, prevedibile, superficialmente sentimentale - dando al pubblico ciò che vuole - possa essere una via per la fama è ancora vero.
Ma non è prova di valore artistico.

Nel giustificare la popolarità di un artista dovremo tenere conto di tutti questi aspetti e di tanti altri ancora, fra cui ANCHE (in molti casi) l'effettiva forza di persuasione e il valore artistico, fermo restando che si può essere popolarissimi e non valere nulla.

Su questo, permettimi, non sono d'accordo. Tu mi citi il caso di Leyla Gencer e di Katia Ricciarelli. La Gencer non ha inciso nulla, la Ricciarelli tantissimo. PERO'... la Gencer è un'icona per i melomani. Il melomane se ne frega se per ascoltare la Leyla deve ricorrere ai live più selvaggi: il pubblico la ADORA, allora come adesso. La Ricciarelli, fermo restando che non mi fa impazzire ma che le riconosco diversi meriti, è sì stata una diva discografica assai popolare, con conseguenti vagonate di dischi incisi e copertine di riviste... ma ADESSO (non parlo di allora), la STORIA l'ha rimessa al suo posto. Che è quello di una buona cantante, i cui meriti le assicurano tuttora diversi fan, ma che per la media del pubblico è decisamente inferiore all'importanza attribuita alla Gencer. E in questo, le vagonate di dischi, le critiche positive o negative, le copertine, non contano NULLA. Io non credo insomma che la popolarità IMMEDIATA sia indice di valore assoluto: credo però che il successo A LUNGO e LUNGHISSIMO termine lo siano invece in maniera decisiva.

E tuttavia, ironie a parte, temo di essere stato frainteso.

No, anzi... semplicemente, quella che ho scritto è la mia idea di critica. Che è probabilmente diversa dalla tua, almeno in parte. Ho semplicemente usato un'immagine mutuata da te, ma adattata alle mie esigenze critiche.

Per fare un esempio di ciò che intendo, io sono in totale disaccordo con Celletti nella demonizzazione del canto aperto.
Per me, al contrario, è una conquista fondamentale del canto operistico.
...E ringrazio Di Stefano per aver esplorato e imposto con tanto coraggio questo tipo di sonorità.
Ma questo non può impedirmi di osservare, in sede "critica", che c'è un abisso fra i risultati teatrali e musicali da lui conseguiti e quelli di Martha Moedl in Isolde (che pure "apriva"), o di Fischer Dieskau nel Winterreise (che pure "apriva"), o di Victoria de los Angeles in De Falla (che pure "apriva").

Ma questa, perdonami, è la tua opinione, che cozza contro quella di migliaia di fan, che hanno trovato e trovano tuttora il canto di Di Stefano esaltante in vari suoi personaggi. Ecco... forse ci stiamo avvicinando al punto focale della questione... la valutazione di una performance.

VEdi, Tucidide...
Lo storico può permettersi di essere solo "descrittivo".
Il critico no!
E nemmeno l'appassionato! :)

Punto centrale della questione.
Non faccio alcuna differenza fra lo storico ed il critico. Lo storico NON è l'annalista, che dice: "il 1° settembre 1939 Adolf Hitler invase la Polonia", oppure "il 7 dicembre 1955" la Scala aprì con la Norma Callas-Del Monaco-Simionato-Votto."
Lo storico è colui che fa quello che dicevamo. Lo storico è colui che prende un dato storico e lo critica, ma NON lo valuta.
Anche se "critica" viene dal verbo greco che significa "giudicare", io credo che "giudicare" sia proprio dell'appassionato, non già di chi pubblica le sue osservazioni. Insomma, senza paura di dire un paradosso, NEGO che il critico debba giudicare. Purtroppo, è una cosa difficile da raggiungere.
Se leggo una critica, non mi interessa nulla del giudizio personale del critico. Mi interessa che mi spieghi i motivi, la genesi di quell'interpretazione ed i motivi del suo successo o del suo insuccesso.
Concludo con due ultime osservazioni, prima di cedere la parola a chiunque voglia intervenire in merito.
Io non credo alla performance teatrale come servizio reso alla Musica ed all'Arte. Io credo che la performance sia un servizio reso al Pubblico. Egli è pertanto l'unico che può permettersi di giudicare questa forma d'arte.
Se tu, Mat, mi dici che Lima ha una paletta dinamica ed una pulsazione agogica più in linea con il dettato verdiano rispetto a Pavarotti, Domingo o Bergonzi, mi dici, in altre parole, che Lima è più riguardoso nei confronti della musica e dello spirito dell'arte. MA io ti obietto: non è la Musica o l'arte a dover ricevere gratificazione, ma il pubblico. Ed il pubblico, non allora, ma adesso, ha decretato insindacabilmente la supremazia di Pavarotti, Domingo e Bergonzi. Con questo, è giusto che tu preferisca Lima (pur senza adorarlo), ma mi sembra meno giusto che tu intenda ridimensionare gli altri tre.
E con questo, vado alla seconda osservazione: le cose che più considero... come dire? stantie della critica sono i concetti di ridimensionamento, sopravvalutazione, sottovalutazione, demistificazione. Sono concetti che intendono attribuire ad un qualsivoglia fenomeno (in tutti i campi, non solo nell'arte, un peso, una rilevanza, un'importanza diversa da quella che comunemente si crede.
Dire, per esempio, che Di Stefano è stato un tenore sopravvalutato dal pubblco è assurdo, poiché sottintende che ci sia una scala di valori giusta, oggettiva e valida, diversa da quella che il pubblico adottò. Ma, se parti dal mio presupposto sopra detto, ti rendi conto di come possa ritenere infondata questa affermazione.
In questo, sono un po' hegeliano, e dico che tutto ciò che è reale è razionale. E' reale il fanatismo per il Pollione di Del Monaco? Certo! Dunque, ciò ha una ragione d'essere. Compito del critico è di indagare queste ragioni, ma NON di giudicarle, per poi arrivare a stabilire che esse sono fasulle o poco importanti.
- Invece, al melomane, all'appassionato, tutto è concesso, questo è vero.
Da lettore posso dire che I Fratelli Karamazov sono una schifezza (non lo penso, è solo un esempio), e che Il Codice da Vinci è il miglior libro mai scritto dall'invenzione della scrittura ai giorni nostri. Da melomane, posso dire che la Rautio è la miglior Elisabetta di Valois che sia possibile ascoltare, e che l'Isolde della Moedl è una fetecchia, da mangiatore posso dire che la Sacher è stomachevole, da appassionato di scultura posso dire che la Pietà di Michelangelo è un pezzo di marmo privo di valore, mentre la testa di drago scolpita in gioventù dalla mamma di un mio amico è un capolavoro degno di Fidia.
Ma da critico delle rispettive arti, devo dare una valutazione storica a ciascuna di queste cose. E per il teatro d'opera, la cartina di tornasole per un giudizio critico non può essere altro che il giudizio del pubblico una volta che esso ha assimilato la performance. Non reazione immediata, ma il giudizio della Storia. Ecco perchè ponevo come punto focale della mia riflessione die Zeit, il tempo.

Salutoni :wink:
Il mondo dei melomani è talmente contorto che nemmeno Krafft-Ebing sarebbe riuscito a capirci qualcosa...
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Re: ma se m'è forza perderti...sei tenori a confronto

Messaggioda Maugham » mer 02 apr 2008, 12:30

Il termine "verdiano" dovrebbe, innanzitutto, indicare nobiltà (di accento, fraseggio, interpretazione etc...). Non vedo però dove mai sarebbe quel "qualcosa di violento, di ribelle, di maledetto" in Verdi, che non è certo autore scapigliato. Nè trovo accenni baudelairiani nella sua estetica. Insomma quei termini li lascerei ad uso dei vari Jim Morrison e adepti...


Teo, non cadere anche tu in questa trappola della nobiltà verdiana e dei luoghi comuni ad essa connessi.
Cosa mai ci trovi di nobile nel Duca di Mantova, in Eboli, in Radames o in Abigaille?
Amelia nasce contemporanea a Madame Bovary. Ci sono solo quattro anni di differenza. :D
Ha ragione McVicar, il teatro di Verdi è pieno di torture psicologiche, sesso violento, abusi, sopraffazioni, tradimenti, infanticidi, stupri.
I suoi personaggi sono a volte ambigui, sgradevoli, ti depistano, ti buttano giù certezze, cambiano col tempo...
Poi ovviamente ci sono mille modi di esprimere il lato oscuro di Verdi.
Si è capito da quanto ho scritto cosa pensi di Bergonzi e di come lo ascolti con piacere.
Ciò non toglie però che esprimere questo lato oscuro non lo sfiorasse minimamente.
Forse non si rendeva nemmeno conto che ci fosse. :D
E quindi, non ho nessuna difficoltà ad ammetterlo, come interprete lo trovo incompleto.

La nobiltà verdiana, ribadisco, è un luogo comune. Come lo è l'apollinea serenità di Mozart eterno fanciullo, l'erotismo del Tristano, la poetica delle piccole cose di Puccini o in altri campi, la malinconia di Cecov, il settecento edulcorato di Goldoni o l'anti-naturalismo applicato a tappeto in Brecht.

E poi, ti prego, lascia stare l'ironia e lo snobismo su Jim Morrison che è stato assieme a Jimi Hendrix un grande rivoluzionario della musica del novecento. Molto più dei coccolosi e sopravvalutati Beatles. L'importanza di questi due ARTISTI è pari a quella, che nella musica storicizzata, hanno personaggi del calibro di Stravinsky e Bartok.

saluti
Somerset
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Ivan: What do you mean?
Mae West: I'm intellectual and you are the opposite.
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Re: ma se m'è forza perderti...sei tenori a confronto

Messaggioda beckmesser » mer 02 apr 2008, 14:10

Trovo tutta la discussione molto interessante. Personalmente (credo si sia già capito…) ammiro molto Bergonzi, pur vedendone bene tutti i limiti, e non condivido (pur comprendendole perfettamente) molte delle critiche qui rivoltegli. I miei dubbi nascono quando leggo (qui come in molti altri luoghi) che Bergonzi sarebbe il massimo esponente di una tradizione vocale ormai superata. E il mio problema non è tanto nel ‘superata’ (il suo stile è sicuramente non più attuale, purtroppo o per fortuna a seconda dei punti di vista…), ma sulla “tradizione”. Di quale tradizione è esponente (addirittura massimo) Bergonzi? Da quello che si legge delle cronache dell’epoca, mi sembra si ricavi che il modo di cantare di Bergonzi non fu accettato e riconosciuto fin da subito come un dato di fatto (cosa che dovrebbe avvenire a chi si pone come esponente tipico di una certa tradizione). Altri erano i modelli, e già il fatto che si sia ostinato a seguire la sua visione quando tutti gli dicevano “apri un po’ i suoni”, “declama un po’ di più” e così via, comincia già a tornare a suo onore. Ma anche prima di lui non trovo esempi della cui tradizione possa essere indicato come continuatore; lui stesso cita spesso Pertile, ma a mio parere a torto: Pertile era tutt’altra cosa. La verità, secondo me, è che Bergonzi si è creato da solo quello stile, lo ha portato avanti con implacabile rigore fino ad arrivare a convincerci (o a convincere molti) che quella sia la Tradizione del Bravo Tenore Verdiano. Voglio dire: io credo che nemmeno ai tempi di Verdi si cantasse così in maschera, così coperto, così sul fiato. Lui ha preso questi, che sono solo caratteri di uno stile, e li ha estremizzati (forte anche di una bravura tecnica oggettivamente eccezionale) al punto di farli diventare il suo stile, e lo ha fatto con una tale bravura tecnica, da far sembrare che quel suo stile personale fosse l’epitome dello stile e della tradizione verdiana. È un po’ come quando si è davanti a certe ottocentesche cattedrali neogotiche, che possono sembrare più gotiche degli originali, dato che ne enfatizzano (solo) alcune caratteristiche tipiche. Il fatto è che in alcuni casi il trucco funziona secondo me molto bene: il suo Manrico è sicuramente “incompletissimo”; ma la figura di un tenore che finge di essere un eroe romantico che finge di essere un trovatore medievale, che ci si immagina sempre stagliato contro la luna (magari non con il profilo di Bergonzi…) a sciogliere i suoi canti nella notte, per mio conto funziona (specie se realizzata con quella bravura). Che poi Manrico sia molto altro, è verissimo, così come Riccardo, Radames, il Duca di Mantova e Don Alvaro.

Sono pertanto d’accordissimo che il punto di vista di Bergonzi su Verdi sia molto limitato. Mi viene solo da notare che mentre di Radames o del Duca (e di molti altri personaggi) ci sono casi (non poi così tanti, tuttavia…) che mi convincono complessivamente altrettanto e anche di più, per Riccardo e Don Alvaro sto ancora aspettando che qualcuno ne dia un ritratto, se non completo, almeno altrettanto parzialmente riuscito…

Saluti.
beckmesser
 
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Re: ma se m'è forza perderti...sei tenori a confronto

Messaggioda teo.emme » mer 02 apr 2008, 14:10

Maugham ha scritto:
Il termine "verdiano" dovrebbe, innanzitutto, indicare nobiltà (di accento, fraseggio, interpretazione etc...). Non vedo però dove mai sarebbe quel "qualcosa di violento, di ribelle, di maledetto" in Verdi, che non è certo autore scapigliato. Nè trovo accenni baudelairiani nella sua estetica. Insomma quei termini li lascerei ad uso dei vari Jim Morrison e adepti...


Teo, non cadere anche tu in questa trappola della nobiltà verdiana e dei luoghi comuni ad essa connessi.
Cosa mai ci trovi di nobile nel Duca di Mantova, in Eboli, in Radames o in Abigaille?
Amelia nasce contemporanea a Madame Bovary. Ci sono solo quattro anni di differenza. :D
Ha ragione McVicar, il teatro di Verdi è pieno di torture psicologiche, sesso violento, abusi, sopraffazioni, tradimenti, infanticidi, stupri.
I suoi personaggi sono a volte ambigui, sgradevoli, ti depistano, ti buttano giù certezze, cambiano col tempo...
Poi ovviamente ci sono mille modi di esprimere il lato oscuro di Verdi.
Si è capito da quanto ho scritto cosa pensi di Bergonzi e di come lo ascolti con piacere.
Ciò non toglie però che esprimere questo lato oscuro non lo sfiorasse minimamente.
Forse non si rendeva nemmeno conto che ci fosse. :D
E quindi, non ho nessuna difficoltà ad ammetterlo, come interprete lo trovo incompleto.

La nobiltà verdiana, ribadisco, è un luogo comune. Come lo è l'apollinea serenità di Mozart eterno fanciullo, l'erotismo del Tristano, la poetica delle piccole cose di Puccini o in altri campi, la malinconia di Cecov, il settecento edulcorato di Goldoni o l'anti-naturalismo applicato a tappeto in Brecht.

E poi, ti prego, lascia stare l'ironia e lo snobismo su Jim Morrison che è stato assieme a Jimi Hendrix un grande rivoluzionario della musica del novecento. Molto più dei coccolosi e sopravvalutati Beatles. L'importanza di questi due ARTISTI è pari a quella, che nella musica storicizzata, hanno personaggi del calibro di Stravinsky e Bartok.

saluti
Somerset


Per nobiltà non mi riferisco al "personaggio" (inteso drammaturgicamente, che poco o nulla mi interessa, se slegato dal canto) ma all'aspetto essenzialmente musicale del comporre verdiano.

OT: Su Jim Morrison era ironia (derivata dall'aura di maledettismo e ribellismo che incarna) per il resto non ho difficoltà a dire che sono d'accordo con te sull'importanza che riveste (anche se non scevra da sopravvalutazioni, soprattutto quando l'ispirazione si è trasformata in manierismo, e l'artista è divenuto icona sessual-mediatica). Su Hendrix nulla da dire (anche se, personalmente, non mi piace). Ai due che citi però aggiungerei (e in posizione di preminenza) Frank Zappa.
teo.emme
 

Re: ma se m'è forza perderti...sei tenori a confronto

Messaggioda MatMarazzi » dom 06 apr 2008, 12:23

Tucidide ha scritto:Tu mi citi il caso di Leyla Gencer e di Katia Ricciarelli. La Gencer non ha inciso nulla, la Ricciarelli tantissimo. PERO'... la Gencer è un'icona per i melomani. Il melomane se ne frega se per ascoltare la Leyla deve ricorrere ai live più selvaggi: il pubblico la ADORA, allora come adesso.


Va bene! :)
In considerazione del tardivo processo di beatificazione che è toccato alla Gencer (e che l'ha resa effettivamente oggi un'icona ben più autorevole del pallido mito della Ricciarelli), cambiamo esempio.
Perché non confrontiamo, sempre alla Ricciarelli e alla sua "popolarità", i casi di (che so?) Pauline Tinsley, Grée Brouwenstijn, Margherita Hallin?
Tutte artiste oggettivamente più grandi della Ricciarelli, tutte oggettivamente meno note.
Tu, probabilmente, le conosci, ma il "pubblico"?
Il pubblico di massa non poteva conoscerle! Ed è per questo che non poteva nemmeno "valutarle".
Ma... andiamo con ordine.
Ecco quello che scrivi:

Io non credo alla performance teatrale come servizio reso alla Musica ed all'Arte.
Io credo che la performance sia un servizio reso al Pubblico.
Egli è pertanto l'unico che può permettersi di giudicare questa forma d'arte.
Se tu, Mat, mi dici che Lima ha una paletta dinamica ed una pulsazione agogica più in linea con il dettato verdiano rispetto a Pavarotti, Domingo o Bergonzi, mi dici, in altre parole, che Lima è più riguardoso nei confronti della musica e dello spirito dell'arte. MA io ti obietto: non è la Musica o l'arte a dover ricevere gratificazione, ma il pubblico. Ed il pubblico, non allora, ma adesso, ha decretato insindacabilmente la supremazia di Pavarotti, Domingo e Bergonzi. Con questo, è giusto che tu preferisca Lima (pur senza adorarlo), ma mi sembra meno giusto che tu intenda ridimensionare gli altri tre.


Tu parli del pubblico come di una entità definita e univoca.
Ma non è così.
Anche io, che detesto il Riccardo di Pavarotti, sono pubblico.
Anche mia cugina, che non ha mai sentito un'opera in vita sua e che l'anno scorso è andata all'Arena per vedere l'Aida, anche lei è pubblico.

In termini quantitativi lei conta quanto me!
In termini commerciali lei conta più di me (perché rappresenta una fetta di pubblico infinitamente più grande e quindi più allettante economicamente).
In termini di definizione di criteri di valutazione critica, lasciamelo dire, io conto più di lei, non perché lei sia stupida (non lo è affatto, credimi! :) ) solo che non ne sa mezza poverina!
Il pubblico è un organismo composito e contraddittorio.

Per come la vedo io, ogni forma di "pubblico" presenta una dialettica duplice e inversa: grande-piccolo, superficiale-approfondito (o se preferisci massa-élite).
Esiste il pubblico-massa e il pubblico-élites.
A mano a mano che si allarga il bacino, calano la competenza, le conoscenze specifiche, la vastità di esperienza.
In compenso si allargano i numeri.

Prima che tu possa accusarmi di snobismo e altre cose simili, ti fermo subito! :)
Io non affermo AFFATTO che la massa sia stupida e che l'élite sia intelligente.
Non è questione di intelligenza. Ma solo di grado di conoscenza e approfondimento.
Ogni essere umano è élite (in quei pochi ambiti dello scibile che ha scelto di approfondire) e contemporaneamente è massa (in tutto il resto).
Anche il pubblico dell'opera è composto di tanta "massa", ossia gente che ne è affascinata, va a teatro una o due volte l'anno, compra un paio di dischi e si emoziona.
La massa ci vuole!!!! E' necessaria, è bella, è purificante rispetto al rischio di permanente onanismo mentale a cui le élites finiscono per confrontarsi.
Basta che non attribuiamo alla massa facoltà di giudizio, perché è proprio ciò che le manca.

Ti faccio un esempio pratico e reale di cosa intendo.
Qualche tempo fa un amico mi ha chiesto di procurargli un'esecuzione di Memory (Cats) particolarmente bella.
Si fidava di me perché (secondo molta... "massa") non ci dovrebbe essere quasi differenza fra opera e musical.
Purtroppo per lui, invece, io nel Musical non ne so mezza! Sono assolutamente "massa": ossia incompetente e manipolabile.
E quindi che faccio?
Guardo la lista degli interpreti di "Memory", non ne conosco uno.
Poi a un certo punto vedo un CD di Barbra Streisand, nome che - ovviamente - conosco.
Il venditore di CD mi informa che quel disco (e in particolare l'esecuzione di Memory) ha venduto per cifre paurose.
Cosa posso fare io?
Che armi ho per difendermi?
Che strumenti ho per scegliere?
Ovviamente compro il cd della Streisand, convinto che sia un'interpretazione di "riferimento".
E così facendo... contribuisco ad aumentare il suo "gradimento popolare", l'entusiamo del pubblico, criterio che - secondo te - sarebbe quello fondamentale per giudicare il valore storico di un'interpretazione.

MA CHE VALORE ESTETICO PUO' AVERE IL MIO ACQUISTO? NESSUNO!
E sono il primo ad ammetterlo.
Ho scelto un nome solo perché (essendo quello di una diva di Holliwood) lo conoscevo già.
In poche parole non ho espresso una valutazione (non ne ero capace), ma mi sono lasciato manipolare da elementi "non artistici, non estetici, non critici" come la notorietà di un nome e il numero di vendite.
La stessa manipolazione che subirebbe mia cugina se dovesse comprare un disco d'opera: c'è Pavarotti? Sarà bello per forza. C'è Vickers? E chi è costui?

Torniamo al mio esempio.
Arrivo a casa, mi ascolto la Streisand.
Trovo la sua esecuzione di Memory bellissima! :)
Sono sincero! L'ho trovata bellissima...
Ma ci vuol poco a sembrarmi bellissima, non ne so mezza!
A uno che non ha mai visto un'automobile, parrà bellissima anche una vecchia fiat 124.
Certo che se poi gli fai vedere una Ferrari...

Qualche giorno dopo incontro un tale che si intende veramente di musical (lui è élite), gli racconto il tutto e questi mi chiede, scandalizzato, come ho fatto a commettere l'errore grossolano di acquistare il disco della Streisand;
e perché, invece, non ho cercato qualcosa di una certa Betty Buckley.
Stando alla tua tesi, io avrei dovuto dire al mio amico "eh no! Tu non puoi contestare la mia scelta! Perchè la performance è rivolta a noi pubblico! E noi pubblico abbiamo scelto la Streisand! E questo chiude il discorso!"
E invece io me ne sono ben guardato, felicissimo che quel tale (che svolgeva la funzione del "critico") mi aiutasse a dotarmi di qualche strumento di valutazione in più in un settore che non conscevo.

Incuriosito, cerco su Youtube questa Buckley, e trovo appunto una frase di Memory.
La ascolto, resto allibito.
La differenza rispetto alla Streisand è abissale!
Non solo la Buckley è di un fulgore vocale incredibilmente superiore, ma la sua capacità di essere "musicista" e attrice è sconvlgente. La Streisand esce semplicemente maciullata dal confronto.

Non ci vuole un genio per capirlo! Basta "sapere" che la Buckley esiste e avere la possibilità di confrontarla.
E questo io - da solo - non potevo saperlo! :)
Perché ERO MASSA.
Per fortuna esiste (in ogni settore, anche nel musical) il pubblico-èlites, composto di appassionati competenti, studiosi, storici, critici che ha già "sintetizzato" le convenzioni necessarie a una valutazione critica più seria della mia.

A morale della mia storiella, sottolineo due punti

1) acquistando il suo cd, HO CONTRIBUITO A RENDERE IL "GRADIMENTO" DELLA STREISAND SUPERIORE A QUELLO DELLA BUCKLEY, benché abbia operato tale scelta solo per ignoranza.
E non mi si venga a dire che la mia scelta (ma che cavolo di scelta è stata?) fosse dettata da chissà quale misteriosa ragione estetica su cui il critico e lo storico dovrebbero interrogarsi (come tu pretenderesti).

2) pur essendo massa, sono stato perfettamente in grado (una volta messo nella possibilità di confrontare le due interpretazioni) di comprendere la spaventosa superiorità della Buckley.
Ciò dimostra che noi del pubblico-massa non siamo affatto stupidi e superficiali (come invece è la retorica generalista di chi a noi si rivolge per venderci i suoi prodotti).
Messo nelle condizioni di disporre degli adeguati strumenti di valutazione, anche il pubblico massa può cogliere tutto quello che colgono le élites, ed è in questo che dovrebbe intervenire la figura del "critico".

L'obbiettivo non è quello di abolire il pubblico-massa!
Guai al mondo.
Esso è importantissimo, è fonte di ricchezza (e non solo economica) che garantisce la sopravvivenza del genere, è fonte di crescita, di sviluppo al di fuori delle stagnazioni elitarie, al riparo dalle degenerazioni dell'intellettualismo.
Ogni settore ne ha bisogno, così come ogni società ha bisogno di rigenerarsi nei bambini.
Ma questo non significa che l'opinione dei bambini debba condizionare ogni scelta politica e amministrativa.
I bambini sono una ricchezza incalcolabile, ma non sono in grado di governare, amministrare o condizionare le scelte pubbliche.
Proprio come i bambini, il pubblico massa è vulnerabile e manipolabile.
L'unica cosa che chiede è di essere aiutato ad acquisire gli strumenti per capire di più e per fruire più in profondità.
Ed è in questo l'insostituibile, straordinaria funzione del "critico".

le cose che più considero... come dire? stantie della critica sono i concetti di ridimensionamento, sopravvalutazione, sottovalutazione, demistificazione. Sono concetti che intendono attribuire ad un qualsivoglia fenomeno (in tutti i campi, non solo nell'arte, un peso, una rilevanza, un'importanza diversa da quella che comunemente si crede.


La parola "comunemente" non mi significa nulla, Tucidide.
Mi spiace, ma è così.
Cosa posso io credere ..."comunemente" ...a proposito di Memory?
Io che non so nulla di Musical e di Lloyd Webber?
Io che non so nulla di Betty Buckley?
So solo che Barbra Streisand è un nome che conosco, so che il suo disco ha venduto milioni di copie e so che, se lo sento, lo troverò superficialmente bello, senza rendermi conto (perché manco delle convenzioni atte a formulare una valutazione) di quanto di più e di meglio sia possibile fare.

La super-popolarità di Pavarotti o di Domingo non si spiega, Tucidide, con un atto di libertà del pubblico-massa di vent'anni fa, che li giudicava (o che giudica Bocelli oggi) esattamente come io giudicavo la Streisand in Memory.
Quali che fossero effettivamente i meriti di questi due gloriosi tenori, il pubblico-massa li accettava o li subiva senza poter sempre disporre degli strumenti per scegliere, confrontare, distinguere... proprio come ho fatto io per la Streisand! :)

In questo senso, il "ridimensionamento" critico si è reso (ahimé) necessario, soprattutto per una fase storica come gli anni 70-80 in cui la tendenza (anche dell'arte, ma non solo) è stata quella di assumere proprio la massa come interlocutore privilegiato e addirittura univoco.
Per decenni tutti noi siamo stati ascoltati nei settori di cui eravamo inesperti (ossia massa) e trascurati in quelli di cui eravamo fini conoscitori (in quanto stupide e snobistiche élites).

Oggi, grazie alla comunicazione globale, questa tendenza è stata in parte interrotta.
Continuano ad esserci (in tutti i campi) le masse e le élites, ma almeno oggi le élites non sono più zittite dal clangore generalista.
Oggi anche a un "massa" come me ci vogliono pochi secondi per fare una ricerca su Internet e restare allibito dalla bravura di Betty Buckley, trovare tutto quel che ha fatto, leggere le opinioni degli esperti, ecc...
Anche per questo, oggi, è un po' più facile rinunciare (come vorresti fare tu) al "critico che giudica".
Ma solo in teoria...
In realtà avremo sempre bisogno della guida di chi ha avuto la possibilità di scendere fra le convenzioni di un genere più in profondità di noi.

Un salutone,
Mat
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Re: ma se m'è forza perderti...sei tenori a confronto

Messaggioda Tucidide » dom 06 apr 2008, 14:55

Sono praticamente d'accordo con te.
Solo che... andiamo con ordine. :)
Tu dividi giustamente il pubblico in "MASSA" ed "ELITE"... bene!
Ecco, il pubblico di cui parlo io è quello "D'ELITE", non di massa.
E' di gente competente che sto parlando.
Quando dico che il Riccardo di Pavarotti è un'icona del tenorismo verdiano per il pubblico, non parlo di quelli che vanno a teatro per mostrare la pelliccia. Quelli, manco sanno che il personaggio si chiama Riccardo.
Parlo dei Melomani, di quelli che si interessano, che approfondiscono.
Parlo di quelli che, alla domanda "chi è il miglior Don Alvaro che conosci?" rispondono con cognizione di causa, non quelli che rispondono a caso "Pavarotti" che non ha mai cantato il ruolo :P :D
Forse mi sono spiegato male, prima: ma era ai melomani che intendevo far riferimento.
Logico che una vecchina che vuole sentire qualche acuto, va in un negozio e prende il CD di Pavarotti.
Logico che tu, volendo prendere un disco di canzoni da Musical Theater, abbia scelto la Streisand.
Ma la vecchina non fa parte del pubblico che dico io. Come tu non fai parte del pubblico del Musical che intendo io. :)
Del resto, la mitizzazione a LUNGO TERMINE (sottolineo, lungo termine) non si fa forte della massa: la Gencer non è ascoltata dalla massa, ma per noi melomani è un'icona. Wittrisch non è ascoltato dalla massa, ma è un tenore che i melomani conoscono.
E il Riccardo di Pavarotti è considerato bene (con alti e bassi, ovviamente) dai melomani, non dalla massa. Poi, come dici giustamente, tu, che appartieni al pubblico d'élite (chi più di te!) lo detesti. Ovviamente il pubblico, anche d'élite, è composto da tanti individui. Però nel complesso, credo che ancora per adesso questo sia un dato...
Quanto alla massa, spesso non sa nemmeno cosa sia un'opera, e crede che Pavarotti abbia cantato Turandot all'infinito, invece che solo una volta, come ha fatto. Vidi in un negozio una vecchina che cercava Turandot in DVD con Pavarotti :shock: ed al commesso che, consultando il PC, non trovava nulla, affermava con sicumera: "E' impossibile che non ci sia! L'avrà cantata centinaia di volte!" - Ed io che ridevo sotto i baffi. :mrgreen:
E' un po' un discorso simile a quello che dico sempre a chi grida allo scandalo dicendo: "il pubblico considera Bocelli un grande tenore!"
MA NON E' VERO!
Lo considera così la massa! I melomani NO!
Il mondo dei melomani è talmente contorto che nemmeno Krafft-Ebing sarebbe riuscito a capirci qualcosa...
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Re: ma se m'è forza perderti...sei tenori a confronto

Messaggioda MatMarazzi » dom 06 apr 2008, 19:10

Tu Alberto devi essere un po' più giovane di me! (ahimè)...:(
Io ho cominciato a dedicarmi all'opera a 8 anni, nel lontano '78.
Be' ti posso assicurare che già allora l'apprezzamento per Domingo e Pavarotti non era affatto una cosa tanto acquisita e pacifica presso i melomani. Rimarresti sorpreso dal livello di perplessità, diffidenza, al limite persino "snobismo" che già allora li circondava, negli ambienti "intenditori", nei circoli di appassionati, nei loggioni, non parliamo della critica.
Erano fenomeni mediatici potenti; ma dagli intenditori raccoglievano anche freddezze e perplessità, battute irriguardose, leggende metropolitane (gli acuti in "naftalina" che non era solo Celletti a ipotizzare) e...tanto, tanto rimpianto dei bei tempi andati!
Io ero già abbonato a diverse riviste musicali nei prima anni '80 (Opéra International, MusicaViva, Musica, Opera di London) e ti assicuro che una buona parte della critica era spesso ironica e tagliente verso questi divi; non era raro che fossero descritti (forse anche un po' pregiudizialmente)come "mali inevitabili" dei grandi interessi in ballo e della "scarsità" di vere personalità...
Insomma, in modo non dissimile dalla sufficienza riservata, in Wagner, a un Kollo o un Hoffmann e Mozart a una Tomowa Sintow o a Schreier.
Chi è della mia generazione (Bagnolo? Somerset? dottor Cajus? Calaf?) potrà confermare che il divismo di Big Luciano non era così indiscusso, come potrebbero apparirci oggi; la vera svolta, ciò che ha radicalmente mutato tutte le prospettive (facendo intervenire milioni di persone in più e consegnando definitivamente alla storia del costume Pavarotti ...and friends) è stato quel gran putiferio calcistico-musicale datato 1990, con tutto ciò che ne è seguito.

Eppure, Tucidide, devi credermi, prima e dopo quel 1990, sono stati TANTI fra i melomani, il pubblico d'élite a non amare Pavarotti e a non vedere in lui nessunissima icona del tenorismo verdiano.
Molti più di quel che pensi.

Tucidide ha scritto:Tu dividi giustamente il pubblico in "MASSA" ed "ELITE"... bene!
Ecco, il pubblico di cui parlo io è quello "D'ELITE", non di massa.


Forse mi sono espresso male. In effetti io non intendevo "dividere" il pubblico.
Per questo avevo parlato (mi cito testualmente ;) ) di una "dialettica", le cui polarità ideali sono l'élite e la massa.
Ma tracciare una linea di demarcazione è impossibile! :)

So benissimo (e spero si sia capito) che vi sono ammiratori di Pavarotti anche fra le élites dei melomani e dei super-competenti, ma so anche molto bene su quali criteri si fonda il loro apprezzamento.
Certo NON su considerazioni teatrali.
Perché neanche il più sfegatato ammiratore di Pavarotti può avere la "faccia tosta" :) di affermare che quella roba imbarazzante che offriva in scena fosse recitare.
Certo NON su considerazioni musicali.
Perché ci vorrebbe davvero del bello e del buon per scovare nel suo canto (di felice analfabeta per quarant'anni di carriera)uno scampolo di ricerca sul ritmo, sulla tensione della frase musicale, sulla gestione delle dinamiche, delle pulsazioni emotive, tutto ciò che abitualmente ci aspettiamo da un virtuoso di qualsiasi strumento.
Queste lacune vastissime di Pavarotti non sono "ipotesi" e nemmeno possono essere messe a tacere con evocazioni di popolarità vere e presunte.
I fatti sono fatti.

Quello che può variare, lo ammetto, è solo il sistema di valori, in base al quale i fatti sono utilizzati per la formulazione di un giudizio critico.

Ad esempio il "mio" sistema di valori nell'opera pone il teatro e la musica sopra a tutto il resto.
Di conseguenza, ritengo che un interprete vada valutato per la sua efficienza di interprete e di musicista.
Credo molto nella validità di questo punto di vista e sono ben lieto di incontrare altri (e sono tanti) che la pensano come me.
In teoria, credo che sia il sistema di valori più largamente condiviso...
Anche perché questo punto di vista corrisponde linearmente alla definizione più semplice e corretta che si possa dare dell'"opera-in-musica", ossia genere di teatro musicale.

Però ammetto anche che una parte del pubblico (sia di massa o di élite, non importa) possa preferire altri sistemi di giudizio, come ad esempio i nostri amici Cellettiani (per cui tutto deve essere riportato all'osservanza del vangelo belcantistico: possibilmente anche Jim Morrison... che - ahi! ahi! - non chiudeva bene e non proiettava in maschera come avrebbe voluto il Garcia). ;)
Anche questo è lecito - come tutti i sistemi di valori - ma (secondo me e chi la pensa come me) è anche riduttivo, anti-storico e un pochino infantile.

E' altrettanto lecito, sono il primo a dirlo, il fondare il proprio sistema di valori sul "suono" e il fascino rapinoso, immediato (pre-teatrale e pre-musicale) che esso può esercitare su di noi.
Io però resto dell'idea che:
1) se a tutti i sostenitori del Riccardo di Pavarotti si facessero ascoltare tutti i Riccardi della discografia (anche Vickers, anche Roswaenge, anche Pertile, anche Patzak...), sono convinto che la metà di loro non considererebbe più Pavarotti un riferimento in questo ruolo! :)
2) se quel che ci interessa è il "suono", non vedo la ragione di scomodare un genere come l'opera che è teatro e musica, con dispendio di versi letterari, rime e figure retoriche, complessità di psicologie, scritture musicali più o meno complesse, orchestrazioni, e quindi scenografie, costumi, talora persino corpi di ballo, ecc...! :)
Perché questo sperpero?
Non si farebbe prima a concepire una bella forma di spettacolo autonoma, che ruoti tutta intorno al suono?
Convochiamo chi è in grado di "produrre suoni emozionanti" e facciamogliene fare tanti, uno di seguito all'altro, uno più emozionante dell'altro, senza disperderci in ammenicoli inutili.
Praticamente facciamogli fare dei bei "concerti negli stadi"!
:D
Pavarotti l'ha capita prima di noi! :)
E persino io devo riconoscere che in questa veste, ossia come mattatore da folle oceaniche, laddove null'altro gli era richiesto se non l'aspetto più bello che avesse (la spettacolarità elettrizzante di certe note), Pavarotti fu ciò che non poteva davvero essere come attore e come musicista (in sintesi, come interprete d'opera): IL PIU' GRANDE! :)

Salutoni carissimi e ...scusa la logorrea, ma è che sono a casa ammalato e ho deciso di passarmi il tempo rompendoti un po' le scatole! :)

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Re: ma se m'è forza perderti...sei tenori a confronto

Messaggioda liebelei » dom 25 mag 2008, 1:18

Non so cosa dire.Ho lasciato la melomania proprio quando stava montando -ma molto lentamente-la popolarita' di Pavarotti.Ma al di la' delle pur giuste osservazioni sulle peculiarita' del personaggio di Riccardo,io dico:proviamo a non vederli sti sei,e sentiamoli solo cantare.Lima e Alvarez non li conosco affatto,premetto.Ma al di la' della seduzione e della malia del timbro di Pavarotti,Bergonzi canta divinamente tutto.Non e' un professore di canto,nel Ballo.Se sotto sotto poi ci spiace che sia brutto,tozzo e statico,non so che farci.A parte Pavarotti -che nelle esecuzioni discografiche che conosco a mio avviso esce,e nettamente,sconfitto nel confronto- con gli altri non c'e' partita.
Credo che sia un po' la solita storia di quando ero giovane io: o il fascino del bel timbro,o quello della "verita' drammatica" di cellettiana memoria.Quando leggo di Vickers,beh io credo che MAI avrebbe potuto solo pensare di cantare quest'opera.Con quali mezzi?
liebelei
 
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Re: ma se m'è forza perderti...sei tenori a confronto

Messaggioda stecca » dom 25 mag 2008, 9:31

1) se a tutti i sostenitori del Riccardo di Pavarotti si facessero ascoltare tutti i Riccardi della discografia (anche Vickers, anche Roswaenge, anche Pertile, anche Patzak...), sono convinto che la metà di loro non considererebbe più Pavarotti un riferimento in questo ruolo!


Credo di averli (ovviamente in disco) sentiti più o meno tutti, e resto tuttora ammaliato dalla voce del Riccardo di Pavarotti e profondamente "verdianato" dallo stile, progere etc. etc. di quello di Bergonzi.......tutti gli altri a mio parere vengono dopo ci poco dopo e chi.....molto dopo (che è il caso di Lima tanto per non fare nomi)
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Re: ma se m'è forza perderti...sei tenori a confronto

Messaggioda MatMarazzi » dom 25 mag 2008, 17:20

liebelei ha scritto:Se sotto sotto poi ci spiace che sia brutto,tozzo e statico,non so che farci.


Caro Liebelei,
anzitutto benvenuto anche da parte mia.
Tuttavia quoto questa tua frase perché, nel mio ruolo di moderatore, sono costretto a farti osservare che se si cita il pensiero altrui occorrerebbe stare ben attenti a non fraintenderlo.
Nessuno ha mai rimproverato a Bergonzi la bruttezza; io nemmeno.
Gli rimprovero l'inerzia e la genericità musicale e attorale, che è una cosa diversa.

Credo che sia un po' la solita storia di quando ero giovane io: o il fascino del bel timbro,o quello della "verita' drammatica" di cellettiana memoria.


Può darsi che sia questo, però secondo me non ricordi bene il pensiero di Celletti.
Costui (trent'anni o quaranta anni fa) era un accanito sostenitore di Bergonzi e soprattutto non è mai è poi mai stato un sostenitore di alcuna "verità drammatica".
Celletti, al contrario, era disposto a rinunciarvi - alla verità drammatica - pur di sentire suoni che corrispondessero a quel vocabolario canoro che lui (arbitrariamente) riteneva giusto.
Mi pare sia esattamente il tuo problema, se posso permettermi! :)

Quando leggo di Vickers,beh io credo che MAI avrebbe potuto solo pensare di cantare quest'opera.Con quali mezzi?

Non credi che - prima di avventurarsi in affermazioni così clamorose - il primo passo dovrebbe essere quello di ascoltare il Riccardo di Vickers? L'hai mai ascoltato? In caso contrario la sospensione del giudizio potrebbe essere, a mia umile opinione, una buona norma.

Salutoni,
Matteo
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