vittoriomascherpa ha scritto:DottorMalatesta ha scritto:...due vie...
Anche se una discendenza diretta da Felsenstein non credo sia ipotizzabile per un Černâkov (oggi sono in vena d'usare, invece della mie prediletta e terra terra trascrizione fonetica, la traslitterazione "biunivoca" degli standard ISO 9:1995 / GOST 7.79 Sistema A...), gli spettacoli che ne ho visto, in particolare il
Boris e la
Carskaâ Nevesta, mi sembrano contenere una certa "volontà di denuncia", o perlomeno riferimenti molto diretti al mondo cosí com'è oggi (ricordo che nel
Boris berlinese di fine 2005 la scena dell'incoronazione era stata tramutata, con sorprendente efficacia anche grazie all'arte scenica di René Pape, in un discorso televisivo d'insediamento presidenziale).
D'altra parte, rispetto a Götz Friedrich mi sembra indubbio che Černâkov indulga a una certo gusto piú decorativo.
Nel caso tu sia d'accordo con entrambe le ipotesi, ricondurresti il relativo decorativismo del regista russo, rispetto alla scelta d'austero impatto emozionale propria del tedesco (forte al punto d'avere richiesto, come hai ricordato, "edulcorazioni" in sede di diffusione mediatica), a una differenza di gusto e sensibilità personale, oppure all'impossibilità di proporre, nel 2014, un discorso mirante davvero al "cambiamento del mondo", quindi necessariamente limitato alla sua "interpretazione"?
La questione è particolarmente complessa. A mio modo di vedere le due grandi vie cui facevo riferimento, riprendendo il testo di Carnegy, non sono più molto frequentate... Capita ancora di assistere a qualche regia di impronta brechtiana o con un chiaro intento di denuncia sociale, ma quasi inevitabilmente si tratta di spettacoli che "sanno di vecchio" (è, nel complesso, l'impressione che mi fece il Parsifal "brechtiano" di Konwitschny a Monaco, peraltro interessantissimo). A mio parere la realtà odierna è molto più "fluida" (per dirla con le parole del sociologo e filofoso Zygmunt Bauman che parlava di "modernità liquida") e difficile da inquadrare, definire e classificare. Altrove parlavo di "post-moderno", o di "trans-avanguardia" (mutuando termini della critica letteraria/artistica). Mi sembra che le principali tendenze registiche odierne siano caratterizzate dall'estrema eterogeneità nel linguaggio adottato, dall'utilizzo delle nuove tecnologie, dall'ammiccamento alla cinematografia, dalla commistione dei registri, dall'accostamento (quasi-casuale) di immagini diverse (non dissimile dall'alea o dall'alea controllata di certa musica contemporanea), dalla rinuncia alla valenza etica/politica del teatro (ora la "forma" mi sembra conti più del "contenuto"), dal ritorno al decorativismo e al formalismo.
Alcuni di questi aspetti li ritrovo in registi diversissimi tra loro (Guth, Cerniakov, Herheim, McVicar...) anche se in misura diversa. Concordo con te sul "decorativismo" di Cerniakov, se con questo termine intendiamo un'estrema cura per l'aspetto "formale" del linguaggio registico, elemento - questo - condiviso da tutti i "grandi" registi d'oggi. E comunque mi sembra che un elemento comune a molti spettacoli del regista russo sia proprio la rappresentazione di una realtà grigia, opprimente, angosciante, impregnata di violenza silenziosa e strisciante con forti richiami al linguaggio visivo cinematografico (non è un caso che, parlando del suo Trovatore, Maugham abbia tirato in ballo certi film pulp sovietici e Mattioli i thriller di Hitchcock: l'atmosfera e il "linguaggio" sono gli stessi).
DM