Trascinato dagli eventi non avevo ancora avuto modo di parlarvi del Fidelio cui ho assistito a Monaco il 1 gennaio scorso, in particolare sull'allestimento di Calixto Bieito.
Premessa: l'allestimento (attesissimo e pubblicizzatissimo) era di quelli che devono dare scandalo da contratto.
Lo scandalo è infatti uno strumento fondamentale di promozione per i teatri d'opera: senza lo scandalo quelli che governano un teatro non possono certo sperare di conquistare la stampa planetaria, di farsi pubblicità su internet e in televisione...
né possono farsi la nomea di dirigenti illuminati e all'avanguardia che servirà loro per il resto della loro carriera!
Non c'è strumento più efficace dello scandalo per "apparire" e anche per assicurarsi gli esauriti.
Per questo si chiama un Bieito (specialista pluridecorato dello scandalo operistico) ad allestire in un teatro tedesco l'opera che i tedeschi hanno eletto come propria bandiera culturale.
Si sa... Bieito costa... ma è un buon investimento...
E tuttavia... cosa succede se - magari per poca ispirazione - Bieito progetta un allestimento per nulla scandaloso?
I poveri dirigenti restano spiazzati...
in questo caso non rimane che pregare che il pubblico sia così beccaccione da fischiare lo stesso, fischiando cioé non perché ci sia qualcosa da fischiare, ma perché qualcuno li ha persuasi che uno spettacolo "è scandaloso" a prescindere... e dunque "va fischiato" a prescindere.
Che "scandalo" sarebbe quello in cui il pubblico non fischiasse? Sarebbe uno scandalo del piffero (specie in Germania)... di quelli di cui nessuno parla.
Senza i fischi i teatri se le sognano le code di stampa, i riflessi su siti, sitini, blogghini, la pubblicità a vastissimo raggio...
e soprattutto senza lo "scandalo" i teatri se li sognano gli esauriti!
Roba da rovinare la carriera a qualunque onesto sovrintendente...
Mi immagino, durante le prove, l'agitazione dei poveri dirigenti della Staatsoper, mentre realizzavano che lo "scandaloso" Bieito stava servendo loro una minestrina buonista... la solita pappa finto-giovanilista che ormai non scandalizza più nemmeno le nonne.
Per fortuna e con grande sollievo dei dirigenti bavaresi, il pubblico non li ha abbandonati.
Ed essendo (come si diceva) i più beccaccioni d'europa dopo quelli di Milano e di Vienna, i melomani di Monaco non si sono minimamente accorti che lo spettacolo fosse il meno scandaloso del mondo... e quindi non solo (come sempre in questi casi) hanno scatenato una guerra al biglietto da grandi occasioni, con esauriti su tutte le recite, ma soprattutto si sono prodotti in un baccano di urla e contestazioni furiose che hanno salvato la produzione.
Il putiferio di fischi, insulti e urla avranno fatto piangere di gioia il sovrintendente e il direttore artistico...
Lo "scandalo" così felicemente realizzatosi ha puntualmente portato il teatro all'onore della stampa internazionale (basta fare una ricerca su Internet per averne la prova) con i riflettori del mondo puntati - come previsto - sulla Staatsoper e "sold out" degni di tanto evento.
...Crisi rientrata, scandalo realizzato... Meglio di così...
E' andata bene anche a Bieito: ancora una volta ha confermato le ragioni del suo successo. Senza i beccaccioni che fanno putiferio ai suoi spettacoli (che pure risultano presi d'assalto al botteghino) dove sarebbe la sua fama?
Personalmente sono stato alla Staatsoper di Monaco tante volte e ricordo di aver SEMPRE sentito il pubblico contestare il regista!
...Senza distinzione alcuna!
Fischiarono undici anni fa a quello spettacolino da educande che furono I Troiani con la regia di Vick; li ho ritrovati a fischiare l'anno scorso a quel capolavoro che è stato il Lohengrin di Jones. Non sanno distinugere... fischiano allo stesso modo qualsiasi regista che venga presentato loro come "scandaloso"...
Probabilmente non sanno nemmeno perché....
Oh sì... Li ho anche sentiti applaudire fino a spellarsi le mani, facendo rintronare il teatro della loro gioia: per esempio questo è successo (la sera prima del Fidelio) per il Pipistrello più brutto, scemo, allucinante di tutta la mia vita...
Ero andato a sentirlo solo perché - essendo già in città - mi faceva piacere ritrovare il grande Bo Skovhus in Eisenstein e sentire per la prima volta dal vivo Pavol Breslik, star in ascesa dell'universo tenorile.
Immaginavo che questa produzione vecchiotta, senza grandi star, non sarebbe stata specialissima, ma non potevo assolutamente immaginare ciò a cui mi sono trovato davanti...
Ho rimpianto le operette della compagnia di Massimini.
Alla Bayerische St. si sono succeduti per tre ore trivialità da Oktober Fest, pacchianate di umorismo becero, tedeschissimo, coreografie (sui Can Can presi addirittura da Offenbach o sulla Marcia di Radetzky) che a me ricordavano la Mondaini nei suoi vecchi sketch in "tante scuse".
E non che le cose siano andate meglio musicalmente... a parte Breslik e Skovhus (splendidi entrambi) l'orchestra è stata pessima, i cantanti inascoltabili (cos'è stata la Ciarda della Kaune... indicibile); persino la direzione di Bertrand de Billy, solitamente validissimo professionista, è risultata greve, chiassosa, banale.
Non parliamo poi della Festa di Orlofsky (peraltro, la mia recita cadeva proprio al 31 dicembre).
Un solo ospite: il tenore Calleja (capirai!) che ha cantato "O sole mio" ( ) con il pubblico che sembrava uscire di testa fra urla di gioia e applausi assordanti... Per il resto, l'unica idea "festaiola" è stato il lancio sul pubblico (me compreso) di quintalate di orride stelle filanti dal loggione, che ti finivano negli occhi, in bocca, e che ti facevano inciampare all'uscita...
Bene: a questo spettacolo ho sentito per la prima volta applaudire il pubblico bavarese e con una felicità e una convinzione che forzavano la tenerezza.
Chapeau ai dirigenti dell'Opera di Monaco: proprio come Lissner a Milano e Holender a Vienna (vedremo Meyer) essi sanno far fare al loro pubblico quello che vogliono. E lui prontissimo! se deve applaudire applaude: basta fargli avere uno spettacolo idiota (come quel Pipistrello del terrore), pessimamente cantato, pessimamente suonato, pessimamente recitato, infarcito di idiozie e banalità, ma che non sarà fischiato perché non è "scandaloso" (tanto nessun giornale avrebbe mai parlato di questa inoffensiva ripresa, utile solo a rassicurare l'amministrazione pubblica dell'affetto che i bavaresi portano al loro teatro).
Mentre al Fidelio del giorno dopo ("scandaloso" da contratto) il pubblico deve fischiare e puntualmente fischia!
Che c'è di strano? Anzitutto che questo Fidelio tutto era fuorché scandaloso...
Era uno spettacolo estremamente semplice, lineare, persino prevedibile. Per giunta (e lo dice uno che non ama Bieito) anche molto curato e ben fatto.
La scenografia era semplicemente una struttura metallica gigantesca, labirintica, simile alle impalcature che si usano per i palazzi in restauro.
Su questa enorme architettura di vetri, aste, ripiani metallici, scalette, tubi al neon, i personaggi si arrampicavano, salivano, scendevano, con notevole prospettiva coreografica e spettacolarità.
I personaggi vestivano abiti di tutti i giorni: impiegati, operai, uomini d'affari (come Rocco). Infatti la struttura più che una prigione evocava - con facile e confortevole metafora progressista - la società stessa, solida, complessa, imprigionante...
Marzelline era la figlia scavezzacollo e un po' punk del borghesissimo uomo d'affari Rocco; Jaquino era il di lei spasimante coattone e metallaro (a un certo punto si scive sul petto "I love you" con un rossetto).
Anche i vari prigionieri (Florestano compreso) erano solo persone "normali", galeotti incravattati non di un carcere, ma del solito, brutto e cattivo, sistema capitalistico e borghese (sbadiglio...)
In quest'ottica Pizzarro e Fernando finiscono per essere gli unici personaggi interessanti.
Pizzarro non è più il direttore della prigione (che non c'è più) bensì un malavitoso da bassifondi, un picciotto che può anche terrorizzare Rocco e i prigionieri, ma non ci vuol molto a capire che ...i veri cattivi sono molto più in alto di lui.
I veri cattivi sono al vertice del sistema (altro sbadiglio)... lui è solo uno strumento.
Insomma... tutto qui lo scandalo?
Una regia piena satura di luoghi comuni, degli stessi buonismi che si possono trovare in ogni videoclip di musica pop o nelle sit com..., persino nelle prediche di George Clooney e nei film americani per famiglie!
E lo scandalo sarebbero queste rifritture moralistiche che possono sembrare audaci solo a uno spagnolo che ha studiato dai Gesuiti sotto Franco?
Anche il rovesciamento etico del finale (con Fernando più cattivo ancora di Pizzarro e la "finta" liberazione che apre la via a una nuova e peggiore dittatura) è ormai stato visto e stravisto...
Vi ricorderete che persino l'orribile Fidelio proposto da Abbado in Emilia e a Baden Baden (gravato da una regia di imbarazzante stupidità) era arrivato alla stessa conclusione... E prima ancora c'era arrivato Carsen ad Amsterdam... (ma con ben altra incisività...).
Contenutisticamente parlando, lo spettacolo di Bieito era non solo tranquillissimo, ma soprattutto prevedibile.
Solo l'ingresso finale di don Fernando vestito da Jocker (sì, proprio il Jocker di Batman! mi è parsa finalmente un'idea fresca e spiritosa in due ore di banalità.
Una gran noia... se non fosse stato per il fatto che tecnicamente parlando l'allestimento si è rivelato tutt'altro che disprezzabile.
Con questa produzione il regista spagnolo mi ha dimostrato che - se come rivoluzionario può giusto scandalizzare un pubblico beccaccione come quello di Monaco - come costruttore di "immagini in musica" sa il fatto suo.
Pur strappando l'opera alla sua ambientazione e inserendola in un contesto simbolico, Bieito sa tenere sempre alta la tensione narrativa, con una serie ininterrotta di effetti visivi dall'impatto immancabile: forte e immediato.
durante l'Ouverture (che stranamente non era la solita "Fidelio", bensì la Leonore III) i personaggi e i mimi correvano e saltavano per tutta l'altezza del reticolo metallico secondo un piano coreografico e illuministico che raccontava la "reclusione" dell'umanità con vivida intensità, sfruttando le grandiose accensioni della musica.
L'articolato sistema di movimenti dei personaggi (dalle raffinate figurazioni mimiche e geometriche) tradiva l'accanito lavoro sugli interpreti e soprattutto una considerevole capacità di sfruttarne la fisicità a fini drammatici.
Non mi era mai successo, tanto per fare un esempio, di essere così coinvolto negli scambi un po' scemi fra Marzeline e Jacquino al primo atto, che qui anzi - nello sfruttamento di una espressività da gioventù scontrosa e metropolitana - assumevano un dimensione quasi tragica.
Un altro esempio è stato il "O namenlose Freude" con i due protagonisti che, ben lungi dall'abbracciarsi, si spogliano delle loro tute (lei da inserviente uomo, lui da prigoniero) per mettersi semplici vestiti da tutti i giorni, in particolare lei un tubino rosso, molto femminile...
Per Leonore quella (momentanea) riconquista della sua femminilità funge da commovente contraltare all'effetto (ugualmente stupendo) di lei che durante l'ouverture si fascia il seno, stringendolo e appiattendolo, comunicandoci non solo un senso di dolore fisico ma anche di negazione del proprio essere donna.
La Kampe, con questo regista, sembrava trasformata rispetto alla pallidissima esibizione che mi aveva offerto, nello stesso ruolo, a Modena con Abbado: segno di un lavoro impressionante svolto con Bieito.
Lo spazio astratto e freddo era sfruttato in modo altrettanto incisivo, con i bagliori metallici della scena che ingigantivano per contrasto l'oscurità senza speranza dello sfondo; e così anche l'animazione dei personaggi (che salivano e scendevano con vertiginosa insistenza dalle impalcature) esasperavano l'ossessiva staticità della struttura.
E' stato splendido - mi tocca ammetterlo - l'ingresso del coro dei prigionieri: tanti impiegati in giacca e cravatta, ma sporchi e feriti, che si materializzano - con la loro ventiquattrore aperte - fra i ferri e i ponteggi della scenografia.
Filologicamente aberrante, eppure teatralmente forte è stata l'apparizione di un quartetto d'archi chiuso in gabbie metalliche che calavano dall'alto... subito prima del finale, intenti a suonare, sul silenzio terreo dell'orchestra, uno degli ultimi adagi di Beethoven.
Quanto poi all'apertura del secondo atto ciò che si visto è stata una delle esibizioni scenotecniche più audaci e grandiose di cui personalmente abbia memoria...
Per farci capire che l'azione si sposta (con Florestano) "sotto" la montagna di metallo, come nelle segreta della società, nelle caverne dei "desaparecidos", Bieito ci ha presentato ad apertura di sipario la scenografia come all'atto precedente; poi l'enorme complesso veniva lentamente piegato all'indietro e adagiato a terra, per tutta la profondità del sipario... Un miracolo di tecnologia! Un effetto stupefacente che resterà nella storia delle prodezze tecnologiche a teatro...
Peccato che anche questo effetto sia stato un po' rovinato dalle urla e dalle sghignazzate del pubblico beccaccione, talmente ossessionato da far quello che a lui si richiedeva (i fischi "promozionali" di cui sopra, la simulazione di uno scandalo ... senza nulla di scandaloso) da non prestare più attenzione non solo a ciò che di obbiettivamente straordinario l'allestimento offriva, ma nemmeno alla musica di Beethoven, regolarmente coperta dai lazzi e dalle esternazioni.
Salutoni,
Mat