Eccomi Willy!
Scusa il ritardo, ma non sono proprio riuscito a risponderti prima.
Maugham ha scritto:lavorava con Oskar Wälterlin. Che però, da quanto so, era quello che oggi definiremmo un direttore di scena. Ovviamente la regia come la intendiamo oggi non esisteva.
Certo, ma proprio perché Appia era uno scenografo e un teorico dello spazio scenico (
e non un regista) va giudicato solo in base a quello che era e che voleva essere.
Rimproverargli di "non essere un vero regista" quando non ha mai fatto una regia dell'opera, né avrebbe voluto farla, mi sembra un po' ingiusto.
Si dovrà valutare l'incommensurabile contributo artistico e culturale di Appia come scenografo (e in questo senso quei numerosi e sconvolgenti bozzetti sono perfettamente efficaci) e soprattutto come come ideatore di un nuovo spazio della ritualità teatrale e musicale di cui - successivamente - si sarebbero nutriti i registi e gli scenografi di quattro generazioni (e non solo in Wagner).
Per quanto mi riguarda, lo spettacolo d'opera moderno inizia con Appia; temo non con Reinhardt e sono certo non con Ejzenstein.
Purtroppo sono del parere che in teatro una buona intenzione non realizzata... non sia più una buona intenzione.
Eh... dipende!
E poi, Maugham, il pragmatismo è buona cosa. Ma alle volte una teoria dirompente e geniale può fare di più per la storia della cultura di mille rassicuranti buoni spettacolini.
I quali magari non lasciano alcun segno, mentre la teoria agisce su generazioni di nuovi, ne arde gli entusiasmi, ne forgia il linguaggio.
Proprio come è successo per lo "spazio drammatico" di Appia.
Resta inoltre da vedere se davvero le buone intenzioni di Appia fossero "mal realizzate" (come affermi tu) o non fossero piuttosto di anni luci avanti sul gusto dell'epoca e solo per questo destinate a non essere messe in pratica sul momento.
Sarebbe come dire che le ultime sonate di Beethoven (talmente avveniriste che ai loro anni nessuno osava programmarle in concerto) in fondo non dovevano essere granché, dato lo scarso successo di pubblico.
Inoltre di Appia abbiamo gli scritti teorici e un po' di bozzetti e foto sgranate. E l'allestimento è la parte più effimera di uno spettacolo. Possiamo al massimo immaginare cosa fosse il suo Tristano.
Una cosa è giudicare una regia, una cosa è giudicare una scenografia.
Una regia, in quanto successione di immagini e contrappuntistico ingranaggio con la musica, non si può nè capire, nè valutare da sole immagini.
Una scenografia invece si giudica più che efficacemente dai bozzetti e dalle foto di scena.
E poiché, come abbiamo detto, Appia era scenografo e non regista...
Figurati io già prendo le distanze da chi si lancia in
analisi dettagliate su come Caruso cantava un ruolo basandosi su tre 78 giri...
Perché ami la vita comoda!
E ne hai tutto il diritto intendiamoci, perché non sei nè uno storico, nè un filologo.
Per nostra fortuna sono altri che si sbattono per ricostruire il passato dalle fonti esistenti, dopo averle reperite, verificate e messe a confronto.
Anche loro (gli storici e i filologi) preferirebbero avere un bel video della DG con intervista e bonus del tal tragediografo greco pre-eschileo, mentre devono dannarsi su un paio di citazioni e qualche iscrizione semi cancellata.
A chi come loro è abituato a scervellarsi sui toponimi dei paesini di mezza europa per rintracciare una ...possibile "radice indoeuropea", il tuo esempio di Caruso farebbe ridere!
Baciarsi i gomiti (direbbe qualsiasi storico e filologo)!!!
Con tutto quello che abbiamo di Caruso (a parte i dischi, che sono già un'incalcolabile fonte di informazioni, abbiamo foto, scritti, recensioni, documentazioni di tutti i tipi, testimonianza dirette e indirette, film muti, biografie di tutte le epoche, migliaia di articoli di giornale), bisognerebbe essere tonti per non essere capaci di fare analisi dettagliate su di lui!
Fosse quella la fatica del fare la Storia!!
D'altronde, se ci si dovesse arenare sempre di fronte al fatto di non possedere un bel video della DG con intervista e bonus, staremmo freschi... non sapremmo nemmeno chi era Giulio Cesare!!
...Ma siamo OT
Vedi, Benois con il suo naturalismo spinto (piaccia o meno) sembra molto efficace su carta. Temo che visto dal vero ci farebbe tutt'altro effetto.
Benois? Intendi Nicola?
Ti pare fosse naturalista?
A me pare in tutto e per tutto un simbolista, magari orientato verso il decadente nell'ultima parte della carriera, ma con un senso del magico e del poderoso geometrico che non è mai venuto meno.
Per quanto mi riguarda, la sua efficacia è indubbia: come scenografia mi pare che dovesse essere di impatto sconvolgente.
Se poi i registi che allora la Scala scritturava (a partire dalla Wahlmann) non erano capaci di gestirla, questo non ci è dato sapere. Perché ritieni che non fosse efficace?
Poi che Appia abbia aperto una strada che Wieland ha seguito e Wolfgang (con i Ring post-Wieland) ha banalizzato non ci piove. (Riconosco però a Wolfgang una buona fede notevole.)
NOn mi è chiaro cosa intendi per Ring
post-Wieland di Wolfgang?
L'unico Ring che ha fatto Wolfgang è stato pre-Wieland, o meglio piazzato fra le due produzioni del fratello maggiore (per la precisione nel 1960).
O ti risulta che ne abbia fatti fuori di Bayreuth?
No, dico solo che l'elemento ideologico -ovviamente presente- non mi pare così invasivo come si potrebbe dedurre dagli scritti programmatici (quello della Lulu non l'ho letto) che ci sono nel librone che accompagnava i laserdisc della Philips. Non mi è parso allora, nel 1979 quando lo vidi la prima volta, nè mi pare adesso. Forse perchè, nella realtà, come ho detto, Chéreau non ha mai fatto teatro a tesi.
Capisco la tua tesi!
A me però non viene facile stabilire quando un'ideologia è invasiva e quando non lo è.
Per me non lo è mai... nel senso che l'idea di un regista non è ciò che - artisticamente parlando - è interessante al fine di un giudizio.
Lo spettacolo più bello ed efficace del mondo non diventa brutto perché ha dietro un'ideologia fortissima e aggressiva(naturalmente è vero anche il contrario: che una regia non diventa più bella perché è politicamente "corretta").
E' in noi che dobbiamo trovare la "libertà mentale" di giudicare un'opera d'arte nel suo valore intrinseco, considerandone l'ideologia come un mero accessorio, costituitvo, ok, necessario, ma non vincolante in sede critica.
Io ad esempio potrei urlare dai tetti che Leni Riefenstahl è stata una delle più geniali registe di tutta la storia del cinema e che i suoi film andrebbero studiati a memoria da chiunque voglia capire cos'è la regia cinematografica.
Che poi tutta la sua arte fosse al servizio dell'idea nazista è un elemento che, per me, in sede critica non ha alcun interesse.
Allo stesso modo, non mi crea alcun imbarazzo il constatare che nella Bayreuth degli anni 70-80 agì, anzi fu vincolante una esplicita volontà di aggrapparsi alla Contestazione, cavalcarne le idee e persino le ingenuità per cercare di rifarsi ...una verginità dopo la crisi (anche economica e di pubblico) seguita alla morte di Wieland.
E di questa mentalità il Ring del centenario fu un prototipo, non per altro ma perché l'opera (come già aveva scoperto Bernard Shaw) si presta benissimo a semplificazioni e sintesi da Capitale.
Personalmente considero il Ring di Chéreau una delle regie più "politiche" che abbia mai visto, proprio perché il grado di ingenuità didascalica con cui l'ideologia vi si esprime è estremo e immediato...e non sarebbe forse stato nemmeno tollerabile non considerando la giovane età di Chéreau e gli anni di "ubriacatura ideologica" in cui fu concepito.
Vedere la Jones nell'immolazione, tutta di bianco vestita, che agita la fiaccola come una Rosa Luxemburg mentre conciona i minatori che con lei sognano un mondo di giustizia e uguaglianza... e dalla fossa si leva il tema della redenzione... insomma, mi è difficile restare serio!
Neanche le favole in cassetta che ascoltavo da bambino erano risolte in modo così deliziosamente naif.
Eppure ti dirò che è proprio questa ingenuità, questo candore a rendermi caro il Ring di Chéreau e a farmelo considerare ancora oggi il più emozionante.
Perché Chéreau è talmente investito nel suo obbiettivo da evitare l'intellettualismo, il male oscuro di qualsiasi regista wagneriano. Punta sulle emozioni, sulla semplicità dei gesti, sul calore delle recitazioni.
Non si mette in cattedra e nemmeno sul pulpito.
E non persegue altro obbiettivo che il coinvolgimento di chi ascolta.
In simile fuoco di emozioni, non mi interessa nemmeno che, dal punto di vista tecnico, si avverta talora una certa imperizia: ad esempio nella gestione dei temi conduttori (da cui si vede la stoffa di un vero regista wagneriano, e questo fin dai tempi di Wagner stesso) il lavoro di Chéreau è elementare.
Oggi, sotto questo aspetto, è molto cambiato! In particolare la Casa di Morti che ho visto ad Amsterdam (sempre con Boulez) mi è parso un vero gioiello di "tecnica" registo-musicale. Persino il Tristano, nonostante tutto, era scafatissimo al confronto!
Ma il calore di quel Ring....
Salutoni
Mat