Le fotografie di Maugham del prossimo Ring al Met mi hanno indotto ad aprire un thread su questa eminente figura della cultura teatrale canadese, recentemente divenuto anche in ambito operistico punto di riferimento delle stagioni internazionali.
Tanto che appunto oggi il mondo è in attesa febbrile della sua tetralogia, che verrà videotrasmessa in diretta in decine di paesi e che raccoglierà un cast semplicemente fantascientifico (fra cui il primo Siegmund di Jonas Kaufmann).
Personalmente non ho avuto subito un rapporto positivo con Lepage: la prima occasione in cui vidi un suo spettacolo fu la Damnatione de Faust di Berlioz nella Parigi di Mortier (era, se ben ricordo, il 2005).
Lo spettacolo non mi era piaciuto troppo; Già il cast era irritante: la De Young (futura Brangania alla Scala) aveva voce poco rifinita e presenza scenica pesante, quanto a Sabbatini e Van Dam, di loro (specie di quest'ultimo) restava appena un ricordo.
Dalla regia di Lepage (che allora non conoscevo) trassi un'impressione strana, impressione non necessariamente positiva ma che poi mi sarebbe stata confermata da successive esperienze.
Mi pareva che nell'allestire Berlioz egli si fosse ispirato alle tecniche e alle visioni dei Manga, i cartoni animati giapponesi.
La sensazione mi sorprese, specie perché non me l'aspettavo in un teatro serioso e debitore della cultura tedesca come quello di Mortier.
Né posso affermare che alla fine lo spettacolo mi piacque davvero: mi parve invece un po' malriuscito. Tanto che, tornato a Parigi poche settimane dopo, non ebbi alcuna voglia di tornarlo a vedere.
Probabilmente fu questo primo, non esaltante, approccio che mi trattenne dall'andare a vedere il suo Rake's Progress, che raccolse trionfi sensazionali e circolò per tutto il mondo (arrivò persino alla Scala).
Alcuni mesi fa, in compenso, ho ritrovato Lepage in uno spettacolo fra i più emozionanti, struggenti, riusciti della mia vita.
Si trattava del Rossignol rappresentato al Grand Theatre de Provence di Aix (insieme ad altre "piccole storie" di Strawinsky: Renard, Pribautki, ecc...).
Dirigeva il grande Kazushi Ohno e si esibiva un cast giovane ma magnifico (in cui brillava, con un angelo, Olga Peretyatko nella parte dell'usignolo).
Descrivere la regia non è semplice. LePage ha attinto a piene mani a varie espressioni di teatro popolare, specie orientale: le ombre cinesi, ad esempio, ma soprattutto le marionette vietnamite, a cui è stato affidato tutto il Rossignol.
il palcoscenico era inondato d'acqua, nella quale si muovevano i cantanti che - cantando - tenevano in mano e muovevano le loro splendide marionette.
Giochi di luce di una bellezza irreale si riflettevano sull'acqua, creando effetti talmente suggestivi e incantati da dare il batticuore; la musica di Strawinsky (esaltata da Ohno come nessun direttore - tranne Salonen - è mai riuscito a fare) si distillava fra queste sublimi bellezze con una magia sconvolgente.
Uscendo da teatro semplicemente senza fiato, con la consapevolezza di aver assistito a un capolavoro irripetibile di regia musicale, ho riflettuto sulla vera, straordinaria "modernità" di questo taglio registico.
E ho apprezzato tanto più questa modernità "vera" grazie al contrasto con la modernità "finta" del Lohengrin di Neuenfels e del Parsifal di Hereim (visti subito dopo a Bayreuth), registi portavoce di un modo vecchio di fare opere, vecchio nella sostanza e nello spirito, benché spruzzato di qualche effettino moderno (nella maggior parte dei casi copiato ai registi americani e britannici).
L'operazione registica di LePage era anzitutto totalmente "linguistica" (e non contenutistica).
Pensate alle radicali trasformazioni dei tempi: nel suo caso sganciarsi completamente dal messaggio, dal contenuto, dalla "denuncia" (tutti elementi grazie ai quali, fino a un decennio fa, avremmo esaltato la "modernità" di un regista) rappresenta la novità.
Il bello che l'eliminazione del contenuto - ossia uno dei totem del vecchio teatro di regia - non ci riporta a Zeffirelli; tutt'altro, perchè Zeffirelli - piace ai passatisti per questo - non è fiacco solo a livello contenutistico; lo è da molto tempo anche a livello linguistico, così come strettamente drammaturgico.
LePage invece si esalta di linguaggi complessi, studia le espressioni teatrali di un vastissimo repertorio di cultura popolare, le mescola e le fonde in un turbinare sconcertante di idee, le rielabora con una sagacia tecnico-narrativa-emozionale fuori dal comune.
In linea con i processi di globalizzazione e carnevalesca contaminazione fra le culture (tipici della nostra società) egli elabora progetti linguistici non solo esplosivi, ma capaci di eccitare tutto il bagaglio di fantasie e suggestioni del pubblico.
In questo LePage porta all'estremo la lezione di un altro sommo regista canadese, Robert Carsen, scatenando ancora di più le potenzialità linguistiche non solo del teatro di oggi, ma di tutto ciò che chiamiamo "fiction" (compreso il cinema, la televisione, il circo - ha lavorato ad alcuni degli allestimenti più grandiosi del Cirque du Soleil - e persino lo spettacolo tipicamente "turistico" come appunto le Marionette vietnamiti sull'acqua), avendo il coraggio di superare (a differenza dei tedeschi e della loro spocchia passatista) le antiche gerarchie "culturali" insite nel loro modo di intendere il teatro.
In questo senso l'opera di LePage - benché di impatto "immediatissimo" e fruibile da tutti i livelli di pubblico - rappresenta una delle forme più elaborate, complesse di regia musicale che oggi sia possibile vedere.
Tutte queste considerazioni mi autorizzano a riflettere sul suo prossimo Ring al Met.
Giustamente il Met insiste sulla necessità di rendere immediatamente fruibile la Tetralogia (contro l'avvitamento europeo di una complessità esegetica sempre maggiore, emerso in questi ultimi anni); ma chiamando LePage non commette l'errore di ricorrere ancora alla formula Zeffirelliana scelta da Schenk, ossia di un taglio talmente facile e vecchio da risultare sciocco.
Sono infatti convinto - ma potremo valutarlo dalla visione dell'opera - che LePage opterà anche per questo Ring per un massiccio sfruttamento (più linguistico che contenutistico) di tutte le formule espressive e figurative esplorate, in questi ultimi anni, dal cinema "fantasy", tolkieniano, costruendo così atmosfere di impatto immediato ma non semplice, di suggestione possente proprio perchè tratta dall'immaginario figurativo ed emozionale della nostra epoca.
E proprio per questo scommetto che sarà una Tetralogia storica e persino rivoluzionaria.
Salutoni,
Mat